martedì 22 settembre 2009

La democrazia ateniese ai tempi di Pericle e Protagora (I di V)

Quando Protagora giunse ad Atene e iniziò la sua fortunata carriera di sofista, trovò una città in cui ogni cittadino, indipendentemente dalla sua nascita e dalla sua ricchezza, aveva la possibilità di sedere in assemblea e di fare le proprie proposte per il bene della polis. Questo regime politico, definito dai moderni democrazia, era chiamato dagli ateniesi in vario modo: isonomia, l'uguaglianza di tutti gli uomini liberi davanti alle leggi; isotimia, l'uguaglianza delle prerogative e degli onori per tutti i cittadini; isegoria, la libertà per tutti di prendere la parola nell'assemblea.
Protagora nel corso degli anni imparò a conoscere molto bene la democrazia assembleare e il suo funzionamento. Come straniero non poteva partecipare alle sedute dell'assemblea, ma è da credere che fosse abbastanza facile mischiarsi alla folla che riempiva lo spiazzo della Pnice e quindi deve aver assistito a molti dibattiti; certamente è stato amico e consigliere di Pericle, il leader più influente sulla scena politica di quegli anni e poteva avere informazioni di prima mano su quello che avveniva ad Atene; aveva, assieme agli altri sofisti, un ruolo preciso e importante, anche se non istituzionalizzato, nella democrazia: insegnava, dietro compenso, le tecniche per parlare e per essere convincenti in assemblea. Egli inoltre formulò una teoria della democrazia (che Platone riporta, non senza ironie, nel cosiddetto mito di Protagora): per lui tutti i cittadini hanno lo stesso titolo per partecipare ai lavori dell'assemblea e per far parte dei tribunali, perché tutti gli uomini liberi sono uguali e possiedono rispetto e giustizia.
Nelle città greche, dopo la caduta delle tirannidi, il potere passò nelle mani di coloro che avevano il diritto di cittadinanza e quindi avevano il diritto di partecipare all'assemblea. Nel conflittuale mondo delle poleis greche era cittadino chi combatteva in difesa della propria città. Così nella polis arcaica, mentre la massa “pascolava” fuori dalla città, per usare un'espressione di Teognide, cantore di un'aristocrazia che ai suoi tempi non c'era più (se mai c'era stata), il potere era nelle mani di quei ben nati in grado di portare le armi. La sideroforia, l'uso di portare in giro le armi, era un segno di nobiltà che accompagnava l'aristocratico anche quando moriva: nella tomba infatti venivano deposte le armi che aveva da vivo.
Una prima fondamentale trasformazione del sistema politico fu legata all'introduzione della tattica oplitica. A sopportare gli scontri non erano più i cavalieri, che con i loro splendenti cimieri riecheggiavano le gesta dei solitari eroi dell'epos omerico, ma un corpo di fanti che aveva la propria forza nel numero e nella compattezza della fila. Ogni oplita con lo scudo difendeva la parte sinistra del suo corpo e la parte destra di quello del compagno che gli stava a lato e quando cadeva era sostituito dal compagno che stava nella fila successiva: più una falange era compatta e serrata più era difficile da sconfiggere. Ideologicamente questa tattica militare portava alla costituzione di un gruppo di omoioi, di uguali, che erano possidenti e quindi erano in grado di pagarsi le armi, lo scudo e l'armatura; questi uomini, che costituivano il nerbo della difesa della città, ben presto vollero avere un peso nella vita politica e non dipendere più dagli aristocratici cavalieri. L'esempio più tipico di questa ideologia era senza dubbio Sparta; il sistema politico spartano era basato su una netta distinzione di classi: da una parte gli spartiati, che possedevano la terra, combattevano nelle ordinate falangi oplitiche e facevano vita comunitaria, dall'altra gli iloti, che non godevano di alcun diritto e coltivavano i terreni degli spartiati.
Ad Atene nell'epoca di Solone e ancora in quella di Clistene la completezza dei diritti politici e civili spettava soltanto ai possidenti: la trasformazione costituzionale fu legata ancora una volta a un cambiamento radicale nel modo di combattere. La creazione della flotta, nel 480, richiese un gran numero di marinai che, non avendo bisogno di alcun equipaggiamento, se non della forza delle proprie braccia, potevano essere reclutati anche tra i poveri; questo portò, come logica conseguenza, all'estensione dell'esercizio della piena cittadinanza ai poveri e alla costituzione di un regime politico in cui essi detenevano il controllo dello stato attraverso l'assegnazione per sorteggio di gran parte delle magistrature e l'attribuzione di un'indennità per la partecipazione alla vita pubblica. All'inizio del V secolo il passaggio dall'oligarchia alla democrazia può essere considerato non tanto il traumatico passaggio da un regime costituzionale a un altro, quanto il progressivo allargamento della base politica e sociale di coloro che erano cittadini a pieno titolo. Quello che marcava la differenza tra gli ordinamenti costituzionali di Atene e di Sparta non era la natura del sistema politico, ma il numero di coloro che beneficiavano della cittadinanza. Aristotele, in una successiva evoluzione e radicalizzazione degli ordinamenti costituzionali, mette bene in luce che la differenza tra democrazia e oligarchia stava che nella prima detenevano il potere i nullatenenti, mentre nella seconda i possidenti: aggiunge poi “che l'essere pochi o molti sovrani del regime è un elemento accidentale, l'uno delle oligarchie, l'altro delle democrazie, dovuto al fatto che i ricchi sono pochi e i poveri sono molti dovunque”.
La democrazia ateniese è stato un esperimento politico che non ha probabilmente uguali nella storia: per questo è necessario soffermarsi sui principali meccanismi di funzionamento di quel regime politico, soprattutto per capire meglio cosa voleva dire essere cittadino ad Atene.
Occorre prima di tutto sgombrare il campo da anacronistici paralleli tra la democrazia di Atene e le democrazie moderne. Per un cittadino di un moderno stato democratico la partecipazione alla vita politica del suo paese può essere ridotta a un impegno minimo, quello di esprimere un voto ogni quattro o cinque anni, per eleggere i propri rappresentanti nelle amministrazioni locali e nel governo nazionale. In alcuni paesi addirittura quasi la metà di coloro che ne hanno diritto non partecipa regolarmente alle elezioni. Esiste poi un gruppo di persone che si assume il compito di fare politica, si struttura in organizzazioni sociali complesse con regole definite, i partiti politici, crea un proprio linguaggio tecnico, fa insomma della politica la propria professione. Vi è una distinzione ben chiara tra governanti e governati: il ruolo del cittadino, del governato, consiste nello scegliere, durante le elezioni, questo o quell'uomo, questo o quel partito, che ha idee simili o non troppo dissimili dalle proprie. Ad Atene la situazione era completamente diversa: la partecipazione di un cittadino ateniese al governo della sua città era un'esperienza totalizzante che oggi, anche chi fa politica, fatica a comprendere, e questo faceva sì che non ci fosse alcuna distinzione tra governanti e governati. Il cittadino doveva allo stesso tempo saper comandare ed essere comandato. Platone definisce il perfetto cittadino come colui che “è capace di comandare e di obbedire come è giusto farlo” e Aristotele afferma che è “virtù del cittadino rispettabile un'adeguata capacità a ben comandare e ad obbedire”.

Atene nel V secolo era una polis relativamente piccola. Occorre tenere ben presente che lo stato ateniese non coincideva con il nucleo cittadino di Atene, l'astu, ma comprendeva tutto il territorio dell'Attica, al cui interno c'erano centri urbani di una certa consistenza, come Eleusi, importante sede religiosa legata ai culti misterici di Demetra, Acarne, File, Maratona, il centro portuale del Pireo e una serie di piccoli villaggi, di borghi agricoli, sparsi per la campagna e per le colline. Tucidide ricorda che quando nel 431 gli Ateniesi decisero di chiudersi entro le Lunghe Mura, “lo sloggiare fu gravoso, per il fatto che la maggioranza era stata sempre abituata ad abitare nei campi”. La superficie dell'Attica è di circa 2.600 kmq; la distanza in linea retta tra l'acropoli e Torico, a sud, vicino alle miniere di argento del Laurio, è di circa 40 km, e quella tra l'acropoli e Oropo, ai confini con la Beozia, di fronte all'Eubea, è circa la stessa. Le strade nella pietrosa, collinare e assolata Attica non erano certo in buone condizioni, e un viaggio di una ventina di chilometri richiedeva un certo tempo e una certa fatica; comunque esisteva la possibilità reale, anche per chi abitava più lontano nel territorio attico, di recarsi ad Atene, per raggiungere il mercato o l'assemblea, se lo riteneva importante e vantaggioso.
È difficile calcolare il numero di abitanti dell'Attica nel V secolo, si può arrivare soltanto a un dato approssimativo: attorno al 431, basandosi sulle notizie di Tucidide, quando descrive la forza di Atene all'inizio della guerra del Peloponneso, in Attica dovevano esserci quarantamila cittadini, ossia maschi adulti con diritto di voto. Il numero dei meteci, degli stranieri residenti senza diritti politici, doveva essere circa ventimila. Se si considerano mogli e figli, sia dei cittadini sia dei meteci, si arriva a una popolazione stimata di duecentomila persone. Altrettanti dovevano essere gli schiavi, anche se il calcolo del loro numero è estremamente difficoltoso e soggetto a numerose variabili.
Il numero di maschi adulti liberi, che quindi godevano dei diritti civili e soprattutto potevano partecipare alle sedute dell'assemblea tutte le volte che lo desideravano, non era molto alto. Questo elemento aiuta a capire che era possibile un coinvolgimento diretto e continuo nella vita della polis. I cittadini per lo più si conoscevano, si potevano incontrare in campagna quando lavoravano e ad Atene nelle officine e nell'agorà. L'ateniese non era abituato a stare nella propria casa, che era in genere piccola e male illuminata, se non per consumare il sostanzioso pranzo serale e per dormire. La casa era altrimenti il luogo della donna e dei bambini. Gli ateniesi passavano gran parte del proprio tempo fuori casa, assieme agli altri e quando si trovavano era naturale che parlassero di politica: discutevano e commentavano le vicende della città, di cui essi stessi erano protagonisti, formavano, attraverso il confronto di varie opinioni, i loro giudizi sui temi d'attualità, che si sarebbero dovuti discutere nei giorni successivi nell'assemblea. La familiarità con i problemi politici era naturale in quella società face-to-face. Plutarco racconta che per un'intera giornata un ateniese seguì Pericle, lanciandogli insolenze di ogni genere, infine fattasi sera e giunti insieme a casa dell'uomo politico, questi ordinò ai suoi servi di dare una lampada a quell'uomo così che potesse tornare a casa senza pericoli. L'episodio che Plutarco riporta per esaltare la compostezza e la dignità di Pericle, è un segno della dimestichezza degli ateniesi con gli uomini più in vista della loro città: oggi sarebbe certamente inimmaginabile.
Ad Atene nel V secolo il numero degli analfabeti tra i maschi adulti era basso. I personaggi del popolo descritti da Aristofane, come il contadino Strepsiade, che certo non ama gli intellettuali della sua città, ma è abituato a lavorare duro, per mantenere la moglie e il figlio amanti del lusso, e il grossolano salsicciaio Agoracrito sanno leggere e scrivere. Anche se in nessuna città della Grecia esisteva un sistema di istruzione elementare obbligatoria e gratuita, gli ateniesi dovevano sentire un obbligo morale a far educare i propri figli. Inoltre il costo dei maestri privati non era particolarmente elevato. Secondo le testimonianze degli antichi quella del grammateus non era una professione molto redditizia e particolarmente onorata. Demostene in un violento attacco contro Eschine rinfaccia all'avversario di essere figlio di un maestro di scuola e di essere stato costretto a pulire l'aula, dove il padre faceva lezione, perché questi non riusciva a pagare degli assistenti.
In genere un ateniese sapeva leggere, scrivere e far di conto e conosceva a memoria molti passi dei poemi omerici. Questi ancora nel V secolo continuavano a essere il sussidiario e il libro di lettura di ogni greco: in essi infatti sono descritte le attività della pace e della guerra, l'arte della politica e della diplomazia, e vengono forniti esempi di saggezza e di coraggio, di rispetto verso gli antenati e verso gli dei. I poemi omerici debbono essere considerati una sorta di enciclopedia tribale, il deposito dell'intero sapere di una civiltà. I figli dei ricchi potevano continuare a studiare fino all'efebia, ossia al compimento del diciottesimo anno d'età, seguendo le lezioni di un citarista e di un pedotribo (grande importanza era infatti assegnata alla musica e al canto e alla cura del corpo), mentre i figli dei poveri erano pronti per seguire i loro padri, per coltivare la terra o per fare i manovali nelle botteghe artigiane, insomma per imparare un mestiere.

continua...

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