giovedì 24 settembre 2009

La democrazia ateniese ai tempi di Pericle e di Protagora (III di V)

I cittadini ateniesi avevano realmente la possibilità di decidere del proprio futuro. L'artigiano ateniese, il marinaio e qualsiasi altro lavoratore povero aveva chiara coscienza di non dipendere da nessuno, se non esclusivamente da se stesso.
La critica che ricorreva continuamente nei detrattori del sistema democratico ateniese, e in particolare nel più lucido di essi, l'aristocratico Platone, il cui maestro era stato condannato a morte proprio da quel sistema, era l'incompetenza e l'ignoranza del popolo. La propaganda aristocratica si basava su questo argomento: così come nessuno si vorrebbe imbarcare su una nave condotta da un timoniere inesperto o si vorrebbe far curare da un medico incapace, è assurdo affidare le proprie vite in balia dei capricci di una massa tumultuosa e ignorante, manovrata da politicanti senza scrupoli, contenta di non lavorare grazie al sistema delle indennità.
Il cosiddetto mito di Protagora, con le considerazioni che lo accompagnano, è la più puntuale risposta elaborata dai sostenitori della democrazia contro questo argomento. Un cittadino ateniese non sapeva quant'era grande la Sicilia, aveva un'idea piuttosto vaga su dove fossero Corcira ed Epidamno, ignorava i costi per l'allestimento di una flotta o per la costruzione di un tempio, gli mancava, e non poteva essere altrimenti, tutta una serie di informazioni specialistiche, ma aveva una forte coscienza politica, educata in vari modi dalla comunità cittadina, aveva quello che gli studiosi delle società moderne chiamano senso civico. Il cittadino ateniese, anche se di umile condizione si sentiva uguale al ricco, perché all'atto pratico, al momento di prendere le decisioni in assemblea, la sua mano alzata valeva allo stesso modo. Ogni cittadino ateniese, ogni lavoratore povero trattava con gli aristocratici e con i ricchi possidenti da pari a pari; non era un uomo istruito, ma conosceva tutto ciò che gli era necessario a vivere, lavorava nei tribunali e nel consiglio secondo le sue capacità, senza molte conoscenze specifiche, ma con molta fiducia nel proprio sano raziocinio.
La partecipazione a diverse sedute dell'assemblea, l'ascolto dei diversi oratori, l'impegno annuale come buleuta o magistrato, la discussione continua nell'agorà, la possibilità di partecipare agli spettacoli teatrali davano a un cittadino ateniese una conoscenza della vita politica, un'esperienza amministrativa, una maturità di decisione, che molto probabilmente i cittadini di una moderna democrazia non raggiungono attraverso la lettura dei giornali e l'ascolto dei dibattiti televisi. In sostanza il livello di senso civico e di responsabilità politica degli ateniesi, in sostanza di rispetto e di giustizia, come li definiva appunto Protagora, era più alto di quanto Platone avesse interesse a mostrare.
Ad Atene negli anni di Pericle e di Protagora ha funzionato un sistema politico in cui non c'era distinzione tra coloro che governavano e coloro che erano governati. Per ottenere questo risultato gli ateniesi accettarono una forma di democrazia che aveva indubbiamente dei difetti. Il più grave di questi era che le decisioni erano prese a volte in maniera affrettata, sull'onda delle emozioni e in risposta a eventi contingenti, e rischiavano quindi di essere incaute o incoerenti con altre posizioni assunte in precedenza. Tucidide racconta due drammatiche sedute dell'assemblea, svoltesi nel 428, per decidere l'atteggiamento di Atene verso l'alleata ribelle Mitilene: durante la prima si decise, su proposta di Cleone, di distruggere la città dell'isola di Lesbo, mentre il giorno successivo, su iniziativa di Diodoto, gli ateniesi decretarono di sospendere la decisione del giorno innanzi e di imporre soltanto un'ammenda. Entrambe le decisioni furono dettate più da impulsi che da meditate considerazioni politiche. Gli ateniesi accettarono questo rischio, implicito nella loro costituzione, e per diverso tempo riuscirono a limitarne le conseguenze negative, grazie anche all'indiscussa abilità di timoniere mostrata da Pericle.
La mancanza di una burocrazia e l'assegnazione delle cariche per un solo anno non garantivano in alcun modo la continuità dell'azione di governo e senza tale continuità era impossibile preparare piani a lunga scadenza. Il sistema democratico di Atene, preso come statico modello costituzionale, poteva gestire i problemi di routine, ma non avrebbe mai potuto far sì che Atene diventasse e rimanesse per tanti anni la città più importante dell'intero mondo ellenico, con precise linee di politica estera, economica e culturale. Per assicurare la continuità di governo e quindi la definizione di indirizzi politici precisi dovevano esserci degli uomini, che per capacità e per ambizione sceglievano di dedicarsi completamente alla vita della polis. La democrazia ateniese, come ogni società, non poteva fare a meno di un gruppo di uomini in grado di assumersi la responsabilità di fare politica. L'originalità del modello ateniese sta nell'aver inventato un sistema, probabilmente unico, per cui la presenza di una classe politica non causava la dicotomia tra governanti e governati.
Nella democrazia ateniese le doti che si richiedevano a un uomo politico erano quelle di essere un generale coraggioso, un amministratore oculato e un buon padre di famiglia, ma soprattutto quella di essere un grande oratore: la democrazia infatti è essenzialmente un “governo della parola”. L'assemblea rimase sempre sovrana e quindi l'uomo politico che voleva far carriera doveva sapere bene come comportarsi di fronte ai suoi concittadini: doveva riuscire a convincere l'assemblea che le sue proposte erano le migliori, doveva saper cogliere il momento più opportuno per presentare un decreto piuttosto che un altro, doveva essere pronto in qualsiasi occasione a controbattere le proposte dei suoi avversari; doveva soppesare i vari termini, per cercare sempre i più efficaci, doveva costruire le frasi e i periodi, in modo da tener desta l'attenzione dell'ascoltatore nel corso di tutto il suo discorso, doveva citare opportunamente versi di poeti, per renderlo più elegante; doveva con la sua voce accendere la fantasia e suscitare il consenso di una folla di seimila persone, che, come Diceopoli, erano sempre pronte a urlargli contro, a interromperlo, a insultarlo. Nell'elogio di Pericle Tucidide descrive la capacità dell'Alcmeonide di parlare al popolo, anche in momenti difficili, “quando li vedeva inopportunamente audaci per tracotanza, con la parola li riduceva al timore, mentre quando erano irragionevolmente spaventati li rimetteva in condizione di aver coraggio”. Già Esiodo canta la forza della parola nei re. Quando, nelle Supplici di Eschilo, Pelasgo lascia le Danaidi per andare a spiegare agli argivi che bisogna affrontare una guerra per difendere quelle ragazze esuli, invoca la persuasione. Nel IV secolo, anche in alcuni documenti ufficiali, appare il termine retor per indicare l'uomo politico, cioè colui che si alza e parla davanti all'assemblea.

Nella polis attica il sistema democratico nacque tra il 509 e il 507, con la fine della tirannide dei Pisistratidi e la successiva lotta tra Clistene, dell'antica quanto discussa famiglia degli Alcmeonidi, sostenitore della concessione dei diritti politici a strati sempre più larghi della popolazione, e Isagora, anch'egli aristocratico, il quale proponeva una costituzione oligarchica di chiaro orientamento spartano. Quindi già dal suo apparire la democrazia di Atene fu caratterizzata dall'alleanza tra il popolo e una parte influente e spregiudicata dell'aristocrazia. L'aristocrazia ateniese, a differenza di quello che è avvenuto a Sparta, si è adattata a un sistema politico aperto e ha mantenuto la legittimazione a dirigere lo stato, fondata sul possesso di specifiche competenze. Nella settantina d'anni tra l'instaurazione del regime democratico e l'inizio della guerra del Peloponneso i grandi leaders della democrazia ateniese sono venuti tutti dall'aristocrazia: erano signori che sapevano parlare, avevano ricevuto una buona educazione e avevano ricchezze sufficienti per non essere costretti a lavorare. Si è già detto che Clistene apparteneva a una delle più antiche famiglie di Atene, ma aristocratici erano pure Milziade, il vincitore di Maratona, Temistocle e Aristide, prima avversari, poi entrambi impegnati, seppur con compiti diversi, a creare la lega delio-attica e quindi a gettare le basi dell'imperialismo ateniese.
Aristocratico era anche Eschilo, discendente di una famiglia di proprietari terrieri di Eleusi, il poeta che ha cantato i valori della giovane democrazia e ha combattuto a Maratona e a Salamina. I Persiani è stato uno dei maggiori veicoli della propaganda ateniese per dimostrare che il ruolo più importante nella vittoria sulle forze del Gran Re era stato svolto proprio dalla città dell'Attica. L'unità di intenti tra la maggioranza dell'aristocrazia e il popolo si stabilì proprio con la vittoria di Salamina. Grazie all'arte d'un grande poeta, che si sentiva del tutto membro del suo popolo, veniva instillata nella collettività la disposizione d'animo della vittoria; queste memorie storiche, questo patrimonio spirituale apparteneva, una volta per sempre, non più a una classe sola, ma al popolo intero. Eschilo non esalta l'imperialismo, anzi si può dire che la sua opera sia la condanna di ogni forma di sopraffazione. Egli infatti si vuole mettere nei panni degli sconfitti, per far vedere che i morti sono uguali da entrambe le parti e il dolore di chi perde i propri figli, i propri mariti, è straziante tanto tra i greci, quanto tra i barbari. La storia della tragica ubris di Serse doveva insegnare agli ateniesi che la giustizia degli dei sempre, anche se per vie tortuose e misteriose, punisce l'ambizione umana, e che l'uomo è un essere che non deve pretendere troppo da sé, ma deve saper accettare i propri limiti, se non vuole essere schiacciato dal destino, assieme alla sua stirpe.
L'incontro tra Creso e Solone, inventato da Erodoto per compiacere il suo pubblico ateniese, rientra in questa rigida visione del mondo. Quando il re della Lidia, dopo avergli mostrato le sue incommensurabili ricchezze, chiede al saggio ateniese chi è il più felice tra i mortali, Solone cita un oscuro ateniese di nome Tello, che aveva visto crescere tutti i suoi figli e che poi era morto in difesa della sua città; di fronte all'ira del re, che crede davvero di essere il più felice dei mortali, il legislatore di Atene può dire soltanto queste parole: “L'uomo è tutto in balia degli eventi”. In Eschilo e nell'Atene dei maratonomachi, di cui egli è stato il maggior poeta, convivevano entusiasmo e spirito di rinuncia, orgoglio e timor divino. Al centro del dramma eschileo non sta il mondo dei mortali preso a sé, ma in quanto oggetto del destino. Con il passare degli anni Eschilo è rimasto sostenitore convinto della democrazia, anche nei suoi esiti più radicali. Nelle Supplici Eschilo descrive la mitica Argo del re Pelasgo come una democrazia: il re infatti non ha il potere di decidere da solo se ospitare o meno in città le supplici figlie di Danao, deve convocare l'assemblea dei cittadini e convincerli con la forza della persuasione sul migliore partito da prendere. Danao racconta poi alle figlie lo spettacolo delle mani alzate degli argivi riuniti in assemblea per accettare la proposta, tanto da far fremere il cielo. In questa tragedia vi è, seppure in perifrasi, la prima attestazione del termine democrazia: demou cratousa cheir; il termine astratto democrazia non ha ancora preso forma, ma si materializza nella mano che esprime il voto. Quasi sicuramente all'ultima fase della produzione di Eschilo appartiene il Prometeo incatenato: vi si racconta lo scontro tra Zeus, dispotico e violento signore dell'Olimpo, il dio da cui l'aristocrazia faceva dipendere la propria autorità, e Prometeo, il dio civilizzatore. Questo dio riceveva ad Atene un culto regolare, era il patrono degli artigiani e degli industriali, che erano il motore dell'economia dell'Atene periclea, ma era anche un Titano, una divinità ctonia, che quindi si collegava a Demetra, dea a cui Eschilo era particolarmente devoto. Il dramma eschileo, che faceva parte di una trilogia, può così essere interpretata come un appello per una maggiore partecipazione maggiore del ceto agricolo al governo della polis e per una sua salda alleanza con quello artigianale. Nel Prometeo incatenato c'è l'esaltazione dell'uomo come artefice del proprio destino: il Titano incatenato alle rocce del Caucaso è una figura potente che ha influenzato notevolmente i poeti, specialmente del periodo romantico. Questa immagine non è in contraddizione con quanto detto prima a proposito della condanna di ogni forma di ubris. Certamente c'è stata un'evoluzione nel pensiero di Eschilo a favore di un ruolo sempre più marcato dell'uomo nel cosmos universale; ma Prometeo non è un eroe superbo, è un personaggio che raggiunge la conoscenza attraverso il dolore. Già per Esiodo il dolore è la fonte della conoscenza, così come avviene per tutti i personaggi delle tragedie eschilee. La soluzione del dramma, nella terza tragedia, sta tutta all'interno dell'ambito politico: Prometeo è destinato a sedere accanto a Zeus; al cratos, la forza, dell'Olimpio non si accompagna più la bia, la violenza, ma la gnome, l'intelligenza, propria di Prometeo: è all'interno della polis che possono e debbono stare insieme forza e saggezza. Così, alla fine dell'Orestiade, le terribili Erinni si adeguano allo spazio politico, divenendo Eumenidi. In ogni caso gli dei hanno grande parte nella vita dell'uomo e della polis.

continua...

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