martedì 3 novembre 2009

Considerazioni libere (24): a proposito della storia recente d'Italia...

In questo strano paese, continuamente immerso in un presente confuso che sembra non conoscere il passato né sperare nel futuro, pare che l'esercizio della memoria sia delegato quasi unicamente alle figlie e ai figli delle persone uccise dal terrorismo. Ciascuno di loro ha già un carico pesante da sopportare, l'aver perso un padre quando erano bambini, a volte non essere neppure riusciti a conoscerlo, eppure è solo grazie a loro, ai loro sforzi, anche psicologici, che è possibile in qualche occasione tornare a parlare di quello che è avvenuto in questo paese a partire dalla fine degli anni sessanta, a cercare di capire, di intuire brandelli di verità. Dobbiamo essere loro grati, deve essere loro grata la democrazia; immagino sia difficile per qualsiasi ricercatore provare a trovare una qualche traccia di verità tra le tante omertà italiane, ma che sia tanto più difficoltoso per chi vi aggiunga la tristezza del proprio vissuto personale e familiare.
Penso a Sabina Rossa, a Mario Calabresi, a Umberto Ambrosoli, a Benedetta Tobagi; penso in particolare proprio a lei, perché è l'autrice di un libro - "Come mi batte forte il cuore" - di cui il "Corriere della sera" di ieri ha anticipato uno stralcio. Vi invito a leggere l'articolo, che trovate anche nella versione on line del quotidiano. Tra le altre cose Benedetta trova le tracce di un "interessamento" di Licio Gelli all'omicidio di Walter Tobagi, in un momento molto particolare per il quotidiano di via Solferino, allora di fatto controllato dalla loggia P2; di questa attenzione verso l'assassinio di Tobagi da parte di Gelli si era persa traccia sia tra gli inquirenti (si è proprio perso l'incartamento) sia tra i componenti della pur meritoria Commissione parlamentare di inchiesta.
Al di là di questo episodio specifico, c'è ancora tantissimo da raccontare, da scoprire. Tra poche settimane sarà il quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana, con tutto il suo carico di misteri, a partire dalla morte di Giuseppe Pinelli per finire a quella del commissario Calabresi. La giustizia italiana non ha saputo dare una risposta alle tante domande poste dalle famiglie e dall'intero paese, a partire dal perché di quell'attentato, in cui morirono 17 persone. La politica non ha voluto indagare sulle responsabilità, capire le ragioni di fondo, soprattutto non ha voluto risolvere i problemi che fecero da esca a quella stagione di violenza. Fa impressione rileggere ancora una volta l'articolo che Pier Paolo Pasolini scrisse per il "Corriere" il 14 novembre del '74.
Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969 [...] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

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