martedì 10 novembre 2009

Considerazioni libere (27): a proposito di vent'anni fa...

Questa "considerazione", pur prendendo spunto da due anniversari che si celebrano in questi giorni, è una riflessione strettamente personale e autobiografica; ho un qualche pudore a pubblicarla, ma confido sulla benevolenza e sull'affetto dei miei pochi lettori.
I due fatti che voglio ricordare risalgono al mese di novembre di vent'anni fa. Il 9 crollò all'improvviso il muro di Berlino; in quelle settimane si sentiva che qualcosa stava rapidamente cambiando, che stavano per cedere, uno dopo l'altro, i regimi comunisti dell'Europa orientale, eppure nessuno avrebbe immaginato che quel muro, così fisicamente e simbolicamente invalicabile, sarebbe caduto come un castello di carte, con un'apparente semplicità. Il 12 alla Bolognina, davanti a un'assemblea di partigiani, Achille Occhetto, quello che ancora per un po' sarebbe stato l'ultimo Segretario generale del Partito comunista italiano, disse che ormai era maturo un cambiamento profondo del partito, a partire dal nome e del simbolo.
In quell'89 così denso di avvenimenti, io ho dato l'esame di maturità e sono andato per la prima volta a votare; a dire la verità prima ho votato poi ho sostenuto la maturità. Si votava allora per il Parlamento europeo e io votai per la lista del Pci. Naturalmente.
Su questo "naturalmente" mi vorrei soffermare un po'. Provo a risalire indietro nella memoria e francamente non ricordo un momento che segni la mia consapevolezza politica: in sostanza non credo ci sia un momento in cui ho espressamente deciso che sarei stato di sinistra piuttosto che di destra. I miei genitori erano iscritti al Pci, partecipavano alla vita del partito - erano attivisti, come si diceva una volta - lavoravano alle Feste de l'Unità. Ho un ricordo molto netto, uno dei più nitidi della mia infanzia: avevo sei o sette anni, i miei genitori andarono a lavorare alla Festa nazionale di Modena nell'ultimo giorno della festa, quello del comizio finale (allora era una prassi questa solidarietà tra federazioni). Ricordo la pioggia che batteva fortissima sul tettuccio del camioncino Ford che aveva mio padre in quegli anni, la gran confusione e il carrello da supermercato che mia madre usava per raccogliere tra i tavoloni i piatti sporchi e a cui io dovevo stare attaccato, per non prendere le sue sgridate, preoccupata che mi perdessi. Tutti i miei zii erano iscritti al Pci; anche il prete davanti a cui i miei si sono sposati votava per il Pci. Mio nonno materno era iscritto al Partito socialista, era uno di quelli che alcuni anni dopo si sarebbero definiti vecchi socialisti, per distinguerli dal Psi di Craxi e di tutto quello che sarebbe venuto dopo, purtroppo. Il Pci è stato per me, prima di tutto l'esempio della mia famiglia e di tante persone che mi avevano insegnato a stimare e rispettare. Poi fu l'emozione della morte di Enrico Berlinguer, la cui breve agonia fu seguita con dolore in casa mia, come se stesse per morire qualcuno di famiglia.
Non so se sono riuscito a spiegare cosa significa per me la "naturale" adesione al Pci. Un'adesione che non fu acritica. Era un problema per me definirmi comunista, perché in Unione sovietica, in Cina, a Cuba, esistevano regimi totalitari che negavano quelle libertà fondamentali per cui i comunisti che conoscevo io, che stimavo, avevano combattuto e lottato. Francamente era troppo forte la contraddizione tra la storia della Resistenza e le truppe sovietiche che avevano soffocato i tentativi di riforma in Ungheria e in Cecoslovacchia. E sempre in quell'incredibile '89 era naturale per me condannare il regime comunista cinese che aveva ucciso gli studenti di piazza Tiananmen. Per questo decisi che non mi sarei mai iscritto a un partito che si chiamasse comunista. Era probabilmente un atteggiamento un po' velleitario, da studente universitario di campagna. Certo c'era una contraddizione tra il comunismo in astratto e i comunisti in carne e ossa che conoscevo, con il tempo avrei sempre più imparato ad apprezzare i valori di queste persone. Il Pci, specialmente qui in Emilia-Romagna, ha rappresentato - lo avrei capito un po' più tardi, studiando meglio - uno degli esempi più alti di riformismo; la socialdemocrazia l'ho imparata qui, non era necessario andare in Svezia.
Per me fu davvero formidabile quell'89: il primo voto, la maturità, il primo anno di università. E poi la perestrojka, fino alla caduta del muro, simbolo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. E poi ci fu, con la Bolognina, la speranza che anche in Italia si aprisse una stagione nuova, con la nascita di un grande partito di sinistra; il Pds purtroppo non fu quel partito. Non ci riuscimmo (all'anno successivo risale la mia prima elezione in Consiglio comunale, un impegno diretto e in qualche misura, seppur modesta, un'assunzione di responsabilità), ma questa è già un'altra storia.

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