martedì 17 novembre 2009

Considerazioni libere (29): a proposito di guerra al terrorismo...

La lotta contro il terrorismo islamico ha richiesto (e richiede ancora) una grande massa di informazioni, considerate indispensabili non solo per scoprire e perseguire i responsabili degli attentati già avvenuti, ma soprattutto per prevenire altri futuri, probabili attacchi. Questa tenace volontà politica ha fatto sì che si sviluppasse un fiorente mercato di queste informazioni: da un lato c'è chi le vuole comprare e ha moltissime risorse per farlo (segnatamente i servizi di sicurezza degli Stati Uniti) e naturalmente dall'altro lato ci sono coloro che sono disposti a offrire questa "merce" preziosa, senza farsi troppi scupoli sul modo di ottenerla. E' la vecchia legge della domanda e dell'offerta. Troppo spesso questa "merce" sono donne e uomini sospettate di far parte della rete terroristica e quindi interrogate, anche con la tortura, per ottenere informazioni sulle trame e i progetti dei terroristi.
Il Pakistan si è distinto in questo mercato. Joanne Mariner, direttrice di Human rights watch, precisa che in questo paese già prima del 2001 erano stati segnalati casi di sparizioni forzate, ma questo fenomeno è drammaticamente aumentato tra il 2002 e il 2004, ossia nel periodo in cui si sono intensificate le operazioni antiterrorismo degli Stati Uniti. Negli stessi anni gli "aiuti" degli Usa al Pakistan hanno raggiunto i 4,7 miliardi di dollari, contro i 9,1 milioni dei tre anni precedenti l'invasione dell'Afghanistan. Nella sua autobiografia, lo stesso ex-presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, ha ammesso che il suo paese ha consegnato agli Stati Uniti 369 persone sospettate di avere legami, a vario titolo, con Al Qaeda, ricevendo in cambio milioni di dollari; è da credere che l'ex dittatore pachistano, impegnato a ricostruirsi una legittimità politica a posteriori, tenda a sottostimare questo dato.
Queste persone sono state "prelevate" da agenti dei servizi segreti pachistani, spesso in borghese e con auto senza targa, e quando i parenti hanno cercato informazioni e ne hanno denunciato la scomparsa, la polizia locale non ha accettato le loro denunce e nessuna autorità ha ammesso di averli in custodia. A questo punto gli arrestati sono stati "passati" direttamente ai servizi segreti statunitensi e sono riapparsi a Guantanamo o nella base americana di Bagram in Afghanistan. Spesso i servizi segreti del Pakistan hanno lavorato in proprio, come è avvenuto nella regione separatista del Belucistan, dove, secondo le stime dell'ong Human rights commission of Pakistan, almeno 600 persone risultano scomparse.
Una di queste persone è Aafia Siddaqui, una donna nata a Karachi da una famiglia della ricca borghesia della città, che si è laureata in medicina al Mit di Boston e ha vissuto undici anni negli Stati Uniti, lavorando in diversi ospedali. Aafia è sparita nel 2003 a Karachi ed è riapparsa, per essere arrestata, il 17 luglio 2008 a Ghazni in Afghanistan, mentre era in possesso, secondo le autorità afgane, di istruzioni per fabbricare armi con materiale biologico, di varie sostanze chimiche e di descrizioni di dispositivi militari americani. L'arresto in Afghanistan desta in particolare i sospetti degli osservatori internazionali: coloro che si sono dichiarati testimoni oculari dell'arresto hanno raccontato versioni molto divergenti dell'accaduto, gli agenti afgani che hanno eseguito l'arresto hanno portato quello che la donna aveva con sé, quindi le prove della sua presunta affiliazione al terrorismo, alla base americana della città, in barba a ogni procedura giuridica. Il giorno successivo Aafia nel carcere di Ghazni avrebbe minacciato, con un arma dimenticata sul pavimento, alcuni soldati americani e da questi è stata gravemente ferita. Anche su questo episodio, per cui Aafia è tutt'ora sotto processo in un tribunale di New York, le versioni sono divergenti. Aafia ha trascorso quasi cinque anni della sua vita in una prigione "fantasma" degli Stati Uniti, probabilmente la base di Bagram, ma non ci sono prove di tutto questo. I servizi statunitensi hanno sostenuto che Aafia, oltre a essere coinvolta nelle attività di Al Qaeda, nel 2001 fosse in Liberia per conto di una banda di trafficanti di armi, ma nel periodo indicato lavorava in un ospedale statunitense.
Contro Aafia sono state costruite - in maniera maldestra, a dire la verità - una serie di false prove, per presentarla come un pericolo per il popolo americano. Soprattutto Aafia si è vista negare per cinque anni la libertà, senza avere la possibilità di essere difesa secondo le normali procedure di legge. Aafia e tutte le altre persone "vendute" dal Pakistan agli Stati Uniti erano terroristi? Non lo so, forse qualcuno di loro lo era, forse qualcuno aveva un qualche collegamento con Al Qaeda, ma questo solo fatto giustifica una tale sospensione dei diritti civili?

p.s. devo queste considerazioni alla giornalista americana Petra Bartosiewicz, autrice di un articolo sulla rivista Harper's Magazine, tradotto e pubblicato nel nr. 820 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

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