martedì 22 dicembre 2009

Considerazioni libere (49): a proposito della giustizia e della pena di morte...

In questi giorni di neve e gelo - l'informazione italiana preferisce sempre occuparsi di un disastro, più o meno annunciato, per poi passare ad altri disastri - è passata sotto silenzio una notizia proveniente dagli Stati Uniti. Alcuni giorni fa un tribunale della Florida ha definitivamente scagionato, grazie alla prova del Dna, James Bain dalla terribile accusa di aver rapito e violentato un bambino. L'omicidio è avvenuto nel 1974, quando Bain aveva soltanto 19 anni; allora non esisteva la prova del Dna e quest'uomo ha trascorso, da innocente, 35 anni in carcere. Aveva chiesto da oltre un decennio di sottoporsi alla prova del Dna, ma soltanto quest'anno un giudice ha accolto la sua richiesta, grazie all'impegno di "Innocence projet", una combattiva associazione dei diritti umani. L'uomo, che quando avvenne il sequestro del bambino era a casa sua con la sorella, fu arrestato dalla polizia in base a un affrettato identikit. La vittima dichiarò di essere stato stuprato da un giovane con le basette e i baffi, connotati rispondenti a quelli di Bain. Non è stato fatto un faccia a faccia tra i due, ma il bambino pensò di riconoscerlo in una fotografia. "In realtà - ha protestato l’avvocato Seth Miller dell'associazione "Innocence project" - la vittima fu spinta a farlo dalla polizia". Ha ammesso Ed Threadgill, l’ex procuratore della Florida che lo fece condannare: "Mi rammarico del tragico abbaglio, se ci fosse stata la prova del Dna lo avremmo evitato".
La storia di James Bain non è isolata. Dal 1989, ossia da quando i tribunali hanno accettato le prove del Dna per riesaminare casi già passati in giudicato, 248 detenuti innocenti sono stati scarcerati negli Stati Uniti, di questi 17 erano stati condannati a morte. La maggioranza di queste persone sono afroamericane. Kirk Bloodswort nel 1993 è stato il primo condannato a morte strappato alla sedia elettrica dalla prova del codice genetico. Bloodsworth era stato condannato per lo stupro e l'omicidio di una bambina di nove anni a Baltimora. Sempre proclamandosi innocente, chiese che le prove contro di lui venissero esaminate. All' inizio gli dissero che quella decisiva, le tracce di seme umano sui vestiti della vittima, era stata distrutta; poi, grazie alle pressioni di "Innocence project", la prova riapparve misteriosamente e Bloodswort potè essere scagionato in via definitiva.
Nonostante questi fatti, le esecuzioni quest’anno sono aumentate a 52, contro le 42 del 2007 e le 37 del 2008. Dobbiamo sempre ricordare che nel mondo ci sono ancora 85 Stati che prevedono effettivamente la pena di morte nel loro ordinamento. Voglio riportare un passo di un discorso che Norberto Bobbio tenne il 3 aprile del 1981 in occasione della sesta Assemblea annuale di "Amnesty International".
La pena di morte di morte non serve a diminuire i delitti di sangue. Ma se si riuscisse a dimostrare che li previene? Ecco allora che l'abolizionista deve fare ricorso a un'altra istanza, a un argomento di carattere morale, a un principio posto come assolutamente indiscutibile (un vero e proprio postulato etico). E questo argomento non può esser desunto che dall'imperativo morale: non uccidere, da accogliersi come un principio che ha valore assoluto. Ma come? Si potrebbe ribattere: l'individuo singolo ha diritto di uccidere per legittima difesa e la collettività no? Rispondo: la collettività non ha questo diritto perché la legittima difesa nasce e si giustifica soltanto come risposta immediata in istato di impossibilità di fare altrimenti; la risposta della collettività è mediata attraverso un procedimento, talora anche lungo, in cui si dibattono argomenti pro e contro; in altre parole la condanna a morte in seguito a un procedimento non è piú un omicidio per legittima difesa, ma un omicidio legale legalizzato, perpetrato a freddo, premeditato. Un omicidio che richiede degli esecutori, cioè persone autorizzate a uccidere. Non per nulla l'esecutore della pena di morte, per quanto autorizzato a uccidere, è sempre stato considerato un personaggio infame [...]. Questa autorizzazione non giustifica l'atto autorizzato e non lo giustifica, perché l'atto è ingiustificabile, ed è ingiustificabile perché è degradante per chi lo compie e per chi lo subisce (come si vede dicendo “degradante” uso un giudizio morale). Lo stato non può porsi sullo stesso piano del singolo individuo. L'individuo singolo agisce per rabbia, per passione, per interesse, per difesa. Lo stato risponde meditatamente, riflessivamente, razionalmente. Anch'esso ha il dovere di difendersi. Ma è troppo piú forte del singolo individuo per aver bisogno di spegnerne la vita a propria difesa. Lo stato ha il privilegio e il beneficio del monopolio della forza. Deve sentire tutta la responsabilità di questo privilegio e di questo beneficio. Capisco benissimo che è un ragionamento arduo, astratto, che può essere tacciato di moralismo ingenuo, di predica inutile. Ma cerchiamo di dare una ragione alla nostra ripugnanza alla pena di morte. La ragione è una sola: il comandamento di non uccidere.

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