mercoledì 9 dicembre 2009

da "Apologia di Socrate" di Platone (II)

Però, a voi che mi avete condannato, voglio anticiparvi una cosa, dato che è giunta, per me, l'ora in cui gli uomini, di solito, vedono il futuro, quando cioè stanno per morire. Ebbene, cittadini, io vi dico che su di voi che mi avete ucciso, cadrà, dopo la mia morte, un castigo molto più tremendo, per dio, di quello che avete inflitto a me. Voi avete creduto, facendo quello che avete fatto, di liberarvi dal dover rendere conto della vostra vita, ma sarà tutto l'opposto, ve lo assicuro, perché ora saranno in molti quelli che vi biasimeranno e che io un po' moderavo senza che voi ve ne rendevate conto e saranno tanto più molesti con voi quanto più sono giovani e vi daranno tanto filo da torcere. Perché se voi pensate che mettendo a morte la gente non vi sarà più nessuno a biasimare la vostra vita iniqua, voi vi sbagliate di grosso; e, oltretutto, non è il sistema più bello, questo, né il più efficace. La cosa migliore, invece, e anche la più semplice è quella di non opprimere gli altri ma di tendere ad essere, quanto più possibile, migliori.
Questo dovevo predire a quelli che mi hanno condannato. Ora possiamo anche andarcene.

Però, vorrei dire volentieri, ora, due parole su quanto è accaduto, a quelli che mi hanno assolto, approfittando del fatto che i magistrati hanno il loro da fare e che ancora non mi portano via verso il luogo del supplizio. Finché è possibile, dunque, fermatevi un po', voi, perché nulla ci impedisce di conversare un poco tra noi.
Io voglio dirvi, dato che mi siete amici, che cosa significhi per me quello che m'è ora accaduto. Dovete sapere, giudici (e lasciate che io vi chiami a buon diritto, così), che mi è capitata una cosa straordinaria. La voce profetica, quella di dio, così frequente in me, io la sentivo sempre, per il passato, che mi si opponeva anche nelle minime cose, quando stavo per fare qualcosa di male; la sorte che m'è toccata ora, voi la sapete e qualcuno potrebbe ritenerla come il peggiore dei mali. Ebbene, nessun avvertimento c'è stato da parte di dio, né quando, stamane, sono uscito di casa, né quando son salito qui, in tribunale, e neppure durante la mia difesa, per quello che stavo dicendo, mentre molte volte, in altri discorsi, esso intervenne, troncandomi a mezzo la parola. Oggi, invece, in tutta questa faccenda, non mi ha minimamente contrastato, sia nei miei atti che nelle mie parole. Che devo dedurre, allora, da tutto questo? Ve lo dico io: può darsi che quanto m'è accaduto sia un bene e che non è possibile che noi siamo nel vero quando pensiamo che la morte è un male. Io ne ho avuta chiara dimostrazione perché è impossibile che l'avvertimento consueto non si sarebbe espresso qualora ciò che si stava compiendo non fosse stato un bene per me.

Ma facciamo anche un'altra considerazione da cui io traggo molta speranza che tutto questo sia un bene. La morte, infatti, o è assenza totale di sensazioni, e quindi è il nulla o, come si dice, è un passaggio, un mutar di dimora dell'anima da un luogo a un altro. Se la morte è assenza totale di sensazioni, come se si dormisse un sonno senza sogni, oh, essa sarebbe un guadagno meraviglioso.Proviamo, infatti, a pensare a una notte in cui abbiamo dormito senza far sogni e confrontiamola, poi, con tutte le altre notti e gli altri giorni della vita; se dovessimo dire, dopo aver riflettuto attentamente, quanti sono stati i giorni e le notti in cui meglio abbiamo vissuto, rispetto a quella, oh, io credo che non solo l'uomo qualunque, ma anche il re dei re, ne avrebbe molto poche da contare.Se tale è la morte, io la considero un gran guadagno perché tutto il tempo infinito non sarà che una sola, lunghissima notte. Se, poi, invece, la morte è come un viaggio da questo luogo a un altro e ciò che si dice è vero, cioè che nell'al di là si radunano tutti quelli che sono morti, vi potrebbe essere, allora, o giudici, un bene più grande? Si giunge - pensate - nell'al di là, liberi alfine da costoro che si fingono giudici e si trovano quelli veri, coloro che laggiù, si dice, amministrano veramente la giustizia, Minosse, Radamante, Eaco, Trittolemo e quanti, tra i semidei, furono giusti nella loro vita. Che, forse, questo viaggio sarebbe poco bello? E chi di voi non pagherebbe chissà che cosa pur di trovarsi con Orfeo e Museo, con Esiodo ed Omero? Ah, io, personalmente, vorrei morire mille volte se questo fosse vero.
E che luogo meraviglioso sarebbe per me se laggiù potessi incontrarmi con Palamede, con Aiace Telamonio o con qualche altro antico, anch'egli ingiustamente ucciso; penso che non sarebbe affatto spiacevole paragonare la sorte che m'è toccata alla loro. E sarebbe un gran piacere trascorrere il tempo esaminando e interrogando quelli di là, come facevo qui, con i vivi, per conoscere chi di loro è sapiente e chi crede, invece, di esserlo soltanto e non è.
E cosa pagherebbe, poi, o giudici, uno che potesse interrogare colui che guidò a Troia il grande esercito o Ulisse o Sisifo, e infiniti altri, uomini e donne, che si potrebbero elencare? Conversare, indugiarsi con loro, interrogarli, sarebbe una felicità immensa. E, oltretutto, costoro non mettono mica a morte nessuno per questi motivi e sono, tra l'altro, di gran lunga più felici di noi perché, per giunta, immortali, se quel che si dice è vero.

Anche voi, giudici, dovete, quindi, sperare nella morte e pensare a una cosa sola, che cioè all'uomo buono non può toccare alcun male né in vita né dopo morto e che gli dei non dimenticano le sue azioni; anche quello che ora è toccato a me, non è accaduto per caso ed è chiaro che la cosa migliore per me è morire e liberarmi, così, da tante brighe.
Ecco il motivo per cui la voce di dio non mi ha interdetto e perché io, contro i miei accusatori, contro quelli che mi hanno condannato, non ho alcun rancore, sebbene essi mi abbiano accusato e condannato non con questa intenzione, ma per farmi del male: in questo sono da biasimare.
Tuttavia io li voglio pregare di una cosa: quando i miei figli saranno cresciuti, puniteli, cittadini, stategli dietro come io facevo con voi, se vedrete che si preoccupano più delle ricchezze o degli altri beni materiali che della virtù e se si crederanno di valere qualcosa senza valer poi nulla, rimproverateli, come io rimproveravo voi, per ciò che non curano e che, invece, dovrebbero curare, se credono di essere "grandi uomini" e poi non sono niente.
Se farete questo, io e i miei figli avremo avuto da voi ciò che è giusto.
Ma è giunta, ormai, l'ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne dio.

Nessun commento:

Posta un commento