lunedì 14 dicembre 2009

da "Democrazione ed educazione" di John Dewey

La devozione della democrazia all’educazione è un fatto ben noto. La spiegazione superficiale è che un governo che dipende dal suffragio popolare non può prosperare se coloro che eleggono e seguono i loro governanti non sono educati. Poiché una società democratica ripudia il principio dell’autorità esterna, deve trovarle un surrogato nelle disposizioni e nell’interesse volontari; e questi possono essere creati solamente dall’educazione. Ma vi è una spiegazione più profonda. Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione nello spazio del numero degli individui che partecipano a un interesse in tal guisa, che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua, equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli uomini di cogliere il pieno significato delle loro attività. Questi punti di contatto più numerosi e più svariati denotano una maggior diversità degli stimoli cui deve rispondere un individuo e per conseguenza stimolano il variare della sua azione. Essi assicurano la liberazione di facoltà che rimangono soffocate fintanto che gli incitamenti all’azione sono parziali, come lo sono necessariamente in un gruppo che, nella sua esclusività, elimina molti interessi.
L’estendersi dell’area degli interessi condivisi, e la liberazione di una maggior varietà di capacità personali che caratterizzano una democrazia, non sono naturalmente il prodotto di uno sforzo deliberato e cosciente. Al contrario, furono determinati dallo svilupparsi di forme di industria e di commercio, di viaggi, di migrazioni e intercomunicazioni che scaturiscono dal dominio della scienza sull’energia naturale. Ma una volta create, da una parte una maggior individualizzazione e dall’altra una più vasta comunità di interessi, uno sforzo deliberato s’impone per sostenerle ed estenderle. È evidente che una società alla quale sarebbe fatale la stratificazione in classi separate deve provvedere a che le opportunità intellettuali siano accessibili a tutti e a condizioni eque e facili. Una società distinta in classi deve prestare attenzione speciale soltanto all’educazione dei suoi elementi dirigenti. Una società mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbero dei risultati delle attività altrui, cieche e dirette dall’esterno.
[...]
Io credo che il dovere dell'educazione è perciò il dovere morale fondamentale di una comunità. Con le leggi e le pene, con l'agitazione e la discussione sociale la società può darsi regola e forma in un modo più o meno caotico e casuale. Ma mediante l'educazione la società può formulare i suoi scopi, organizzare i suoi mezzi e le sue risorse, e plasmarsi così con definitezza e con economia nella direzione in cui desidera muoversi. Io credo che quando la società riconoscerà le possibilità esistenti in questa direzione e gli obblighi che tali possibilità impongono, non si ha idea delle disponibilità di tempo, di attenzione e di denaro che saranno offerte all'educatore. Io credo che l'insegnante è impegnato non solo nell'educazione degli individui, ma nella formazione della giusta vita sociale. Io credo che l'insegnante deve rendersi conto della dignità della sua vocazione; che esso è un uomo addetto al servizio sociale col compito di mantenere il giusto ordine sociale e di assicurare il giusto sviluppo sociale.

Nessun commento:

Posta un commento