venerdì 2 aprile 2010

"Notte di Sine" di Léopold Sédar Senghor


Donna, posa sulla mia fronte le tue mani balsamiche, le tue mani più morbide della pelliccia.
In alto le palme oscillano, stormiscono appena nell'alta brezza
notturna. Non s'ode neppure il canto della nutrice. Ci culli il silenzio ritmato.
Ascoltiamo il suo canto, ascoltiamo battere il nostro sangue oscuro, ascoltiamo
battere il polso profondo dell'Africa nella bruma dei villaggi perduti.

Ecco, declina la luna stanca verso il suo letto di mare disteso.
Ecco che si assopiscono gli scoppi di riso, che gli stessi narratori
ciondolano il capo come il bimbo sul dorso della madre.
Ecco che i piedi dei danzatori si appesantiscono, si fa pesante la lingua dei cori alternati.

E' l'ora delle stelle e della Notte che sogna.
Si appoggia a questa collina di nubi, drappeggiata nel suo lungo perizoma di latte.
I tetti delle case luccicano teneramente. Che dicono, così confidenziali, alle stelle?
Dentro, nel facolare si spegne nell'intimità di odori acri e dolci.

Donna, accendi la lampada dall'olio chiaro perché parlino intorno gli antenati come i genitori, i bambini nel letto.
Ascoltiamo la voce degli Antichi d'Elissa. Come noi esiliati.
Non hanno voluto morire, che si perdesse nelle sabbie il loro torrente seminale.
Che io senta, nella casa fumosa visitata da un riflesso di anime amiche
la mia testa sul tuo seno caldo come un dang tratto fumante dal fuoco,
che respiri l'odore dei nostri Morti, che raccolga e ripeta la loro viva voce, che apprenda
a vivere prima di discernere, più in là del tuffatore, nelle alte profondità del sonno.

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