sabato 8 maggio 2010

Considerazioni libere (108): a proposito della solitudine dei lavoratori...

Il 7 maggio un operaio di 38 anni ha tentato di uccidersi con un coltello: nella sua azienda, dopo un periodo di cassa integrazione a rotazione, deve cominciare un periodo di cassa integrazione straordinaria; probabilmente lui non sarebbe stato coinvolto, ma l'incertezza di queste settimane lo ha spinto a questo gesto estremo, da cui è stato salvato grazie all'intervento della moglie e al coraggio di un vicino di casa. Il 17 aprile un operaio di 41 anni si è impiccato: la sua azienda era in cassa integrazione da un anno ed è destinata al fallimento; anche sua moglie era disoccupata e con i piccoli lavori che avevano trovato, lei a fare le pulizie, lui come cantante nei piano-bar, facevano fatica a mandare avanti la famiglia. Sono due storie diverse, successe in meno di un mese tra Bologna e la sua provincia.
Il 18 febbraio un ingegnere informatico della Pennsylvania ha noleggiato un piccolo aereo e si è schiantato contro gli uffici del fisco di Austin, nel Texas; era stato rovinato dalla crisi e ha scritto prima di morire di sentirsi tradito sia dalle imprese per cui aveva lavorato sia dal governo che non lo aveva in alcun modo tutelato, mentre si era impegnato nel salvataggio di quelle banche che erano le responsabili della perdita del suo lavoro. Nonostante le notizie trapelino a fatica da quel paese, alcuni studiosi hanno potuto verificare che nel nord-est della Cina sta crescendo il numero dei suicidi tra gli operai; il governo di Pechino ha deciso di chiudere le fabbriche in questa regione, tradizionale area produttiva del paese, per far crescere le più arretrate regioni del sud e molti lavoratori si sono sentiti traditi dal proprio paese, da quei principi di solidarietà comunista e di etica confuciana che pure vengono sbandierati in ogni occasione ufficiale.
Confesso di parlare a fatica di questo argomento, perché ho vissuto tempo fa nella mia famiglia il dramma di un suicidio e perché quotidianamente mi scontro con le difficoltà che si provano ad avere un lavoro precario, con la tensione che spesso ti tiene sveglio e ti fa vedere nero il futuro. Personalmente ritengo che ogni suicidio sia una storia a sé, un evento drammatico e privato, che coinvolge quella singola persona, le sue paure, le sue debolezze, le sue disillusioni; una storia personale, un dissidio con la propria coscienza, che naturalmente ricade e coinvolge le persone vicine, le famiglie. E per questo ritengo anche che sarebbe un errore leggere in questi fatti una causa comune, un unico elemento scatenante, anche perché sono naturalmente ben di più i lavoratori senza lavoro che decidono di andare avanti, di non rinunciare alla vita. Eppure questi casi, che coinvolgono persone diverse, in paesi diversi, con culture diverse, ci raccontano qualcosa di quello che sta succedendo nel nostro mondo. Ed è qualcosa che dovrebbe preoccuparci tutti.
I lavoratori sono sempre meno tutelati, sono sempre più in balia di decisioni che vengono prese in luoghi che non conoscono e su cui loro non possono incidere. I lavoratori sono e si sentono soli. Di fronte alla perdita del lavoro o anche solo alla minaccia - reale o immaginata - di perderlo, non hanno strumenti per reagire, si sentono impotenti. E in qualche modo - come ha scritto il suicida della Pennsylvania - si sentono traditi, dalle imprese per cui hanno lavorato, hanno investito tempo, risorse, intelligenza e si sentono traditi dallo stato. In questi giorni in cui le prime pagine dei giornali e i titoli dei telegiornali sono occupati dalla crisi greca e dal pericolo che alcune manovre speculative mettano in grave difficoltà l'economia europea, mi colpisce come si affronti questo tema in maniera asettica, parlando di numeri, di percentuali, di ripercussioni sulle monete e sulle banche. Certo c'è anche questo, ma la crisi è soprattutto crisi del lavoro, che ricade immediatamente su chi è più povero. Credo che i cittadini greci che in questi giorni stanno manifestando contro le politiche di sacrifici decise dal governo e imposte dall'Europa vogliano dire soprattutto questo: ricordiamoci che questa crisi è una crisi delle persone e che queste persone non sono numeri, ma sono storie, vite, amori. Forse fare una manifestazione serve anche a questo, a farci sentire vicini, a vedere negli occhi degli altri la sofferenza che è anche nostra, a farci essere meno soli, meno indifesi. Naturalmente questo non può bastare, ad alcuni comunque non basta.
L'operaio che si è ucciso nella sua casa di Molinella aveva lottato, insieme ai suoi colleghi e al sindacato per difendere il proprio posto lavoro, eppure è stato comunque travolto. Probabilmente le organizzazioni sindacali, i partiti, le amministrazioni locali dovrebbero cominciare a pensare a forme di aiuto e di sostegno che non siano generiche, ma rispondano ai bisogni di ciascuno: all'operaio di Molinella non sono bastate le consuete forme di sostegno al reddito - che pure per la maggioranza dei suoi colleghi sono stati sufficienti a non lasciarsi vincere dalla disperazione - sarebbe servito un sostegno psicologico, per salvarlo dal male che alla fine ha vinto e lo ha fatto cadere.
Forse bisognerebbe tornare ad avere l'ambizione di cambiare il mondo.

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