mercoledì 12 maggio 2010

Considerazioni libere (109): a proposito di fertilità e povertà...

Probabilmente ricordate dalla scuola l'espressione "mezzaluna fertile": nei libri di storia e di archeologia si definisce così quella vasta regione che si estende dalla Mesopotamia alla valle del Nilo, passando per la valle del Giordano. Proprio la presenza di questi grandi fiumi e la particolare vocazione agricola hanno fatto sì che in queste terre si sviluppassero le prime grandi civiltà dell'uomo. Tra queste terre particolarmente ricca era la "terra in mezzo ai fiumi", ossia quel cuneo di terra tra il Tigri e l'Eufrate che ora fa parte dell'Iraq.
Per gli iracheni la fertilità della loro terra è ormai un ricordo. Nel 2008 l'Iraq ha importato dall'estero 2,54 milioni di tonnellate di grano e 610mila tonnellate di riso; nel 2009 queste importazioni sono salite rispettivamente a 3,55 milioni e 1,7 milioni e i funzionari dell'Ente statale per le granaglie, un organo del Ministero del commercio, prevedono che queste quote aumenteranno ancora nel 2010. L'Iraq deve importare dall'estero circa l'80% del grano e del riso necessari per sfamare la sua popolazione.
La responsabilità di questa situazione è dell'uomo. L'Eufrate arriva dalla frontiera con la Siria con una portata di 250 metri cubi al secondo: un record negativo; il Tigri ha una portata dimezzata rispetto al 2003, da 1.680 a 836 metri cubi al secondo. Nella "considerazione" nr. 75 ho parlato dei progetti della Turchia di costruire una serie di grandi dighe sull'alto corso dei due fiumi e questo non potrà far altro che peggiorare la situazione. La mancanza d'acqua ha fatto aumentare la salinità dei terreni, rendendoli di fatto inutilizzabili per scopi agricoli: il 40% delle terre agricole dell'Iraq sta subendo questo processo di salinizzazione. La mancanza d'acqua e il sempre più diffuso bisogno di tagliare gli alberi per avere legna da ardere ha provocato la desertificazione del 50% della terra che era produttiva negli anni Settanta. Il continuo stato di guerra, le lotte tribali, lo stato di insicurezza, la scelta di investire unicamente sull'industria petrolifera hanno provocato i mancati investimenti nell'innovazione e nella meccanizzazione dell'agricoltura e così, per colpa dell'uomo - unicamente per colpa dell'uomo - una delle terre più fertili del mondo è diventata poverissima e costretta a vivere con le importazioni straniere, naturalmente pagate a caro prezzo. Un terzo della popolazione irachena vive nelle aree rurali e naturalmente sono queste persone quelle che stanno soffrendo di più; secondo i dati delle organizzazioni internazionali il 69% della popolazione irachena definita in "povertà estrema" vive proprio in queste aree rurali.
Quando ci sono queste condizioni di sussistenza, francamente credo che qualunque altra analisi debba essere ricondotta a questo dato. Per anni abbiamo letto articoli e saggi sullo scontro di civiltà o analisi geopolitiche sulla situazione mediorientale, ma continuiamo a dimenticare, più o meno scientemente, questo dato di fatto: in una zona fertile si soffre la fame, per responsabilità precise e definite degli uomini. Sarà forse banale, ma la soluzione del problema passa inevitabilmente da qui.

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