domenica 22 agosto 2010

da" Tolleranza e responsabilità intellettuale" di Karl R. Popper

All’età di settant’anni, nel dicembre del 1942, il dottor Leopold Lucas e la sua moglie furono imprigionati nel lager di Thiresienstadt, dove egli ha lavorato come un rabbino: un compito immensamente difficile. Morì dieci mesi dopo. Dora Lucas, sua moglie, rimase in Thiresienstadt per altri tredici mesi, dove le fu possibile lavorare come infermiera. Nell’ottobre 1944 fu deportata in Polonia assieme a diciottomila altri prigionieri. Là fu condannata a morte. Fu un terribile destino. Fu il destino di innumerevoli altri esseri umani, gente che amava altra gente e che cercava di aiutare altre persone, che erano amati da altre persone, che sono stati aiutati da altre persone. Essi appartengono a quelle famiglie che sono state strappate, distrutte e sterminate.
Non intendo qui parlare di questi eventi terribili. Tutte le volte che uno prova a parlare di queste cose sembra sempre che egli cerchi di rimpicciolirli, sono eventi che sono più grandi della stessa immaginazione.
Ma l’orrore continua. Coloro che sono scappati dal Vietnam; le vittime di Pol Pot in Cambogia; le vittime della rivoluzione in Iran; coloro che sono fuggiti dall’Afghanistan e gli arabi che sono dovuti scappare da Israele, a ripetizione uomini, donne e bambini diventano le vittime di questi pazzi fanatici.
Cosa potremmo fare per prevenire questi eventi mostruosi? Possiamo fare qualcosa?
La mia risposta è: sì! Io credo che ci possa essere moltissimo che possiamo fare. Quando dico noi, intendo gli intellettuali, che sono quegli esseri umani interessati alle idee; specialmente quelli che leggono e scrivono.
Perché io penso che noi, gli intellettuali, siamo in grado di aiutare? Semplicemente perché noi, gli intellettuali, abbiamo fabbricato le armi più terribili per migliaia di anni, uccisori di masse di uomini in nome di un idea, una dottrina, una teoria e una religione – tutte queste cose sono il prodotto del nostro lavoro, invenzioni di noi intellettuali. Se solo potessimo smetterla di manipolare gli uomini contro gli uomini – spesso con le migliori intenzioni– ci sarebbe tanto di guadagnato. Nessuno può dire che sia impossibile per noi smettere di fare ciò.
Il più importante fra i dieci comandamenti è: non uccidere. Esso contiene quasi la totalità dell’etica. Il modo in cui Schopenhauer, per esempio, formula la dottrina etica è sostanzialmente un’estensione di questo comandamento importante. La dottrina etica di Schopenhauer è semplice, diretta e chiara. Egli afferma: "Non far del male a nessuno. Aiuta tutti al meglio delle tue possibilità".
[...]
Voltaire si chiede: “Che cos’è la tolleranza?” e risponde (traduco liberamente): “La tolleranza è la necessaria conseguenza della comprensione della nostra imperfezione umana. Errare è umano e a noi questo capita continuamente. Perciò perdoniamoci gli uni gli altri le nostre follie. Questo è il primo principio del diritto naturale”.
Qui Voltaire fa appello alla nostra onestà intellettuale: noi dobbiamo ammettere i nostri errori, la nostra imperfezione, la nostra ignoranza. Voltaire conosce benissimo che i fanatici esistono. Ma la loro convinzione è veramente onesta? Hanno essi onestamente esaminato se stessi, ciò in cui credono e le ragioni per sostenere ciò di cui sono convinti? E non è l’attitudine all’autocritica una parte dell’onestà intellettuale? E non ha il fanatismo spesso cercato di negare la nostra non ammessa incredulità, che abbiamo represso, e talvolta ne siamo solo parzialmente consci?
Voltaire si appella alla nostra modestia intellettuale; e soprattutto il suo appello alla nostra onestà intellettuale fece una grande impressione sugli intellettuali del suo tempo. Mi piacerebbe riaffermare qui il suo appello.
La motivazione data da Voltaire in favore della tolleranza è che noi dobbiamo perdonarci gli uni gli altri le nostre follie. Ma una follia comune come quella della intolleranza Voltaire trova giusto che sia difficile da tollerare. Invero è qui che la tolleranza ha i suoi limiti. Se noi concediamo all’intolleranza il diritto di essere tollerata, allora noi distruggiamo la tolleranza, e lo stato di diritto. Questo è stata la sorte della Repubblica di Weimar.
Ma a parte l’intolleranza, vi sono ancora altre follie che noi non dovremmo tollerare; soprattutto quella follia che fa sì che gli intellettuali seguano le ultime mode; quella follia che ha spinto molti scrittori a adottare uno stile oscuro e che vuole impressionare, quello stile criptico che Goethe ha criticato in modo così radicale nel Faust (per esempio la tavola della moltiplicazione delle streghe). Questo stile, lo stile delle parole grandi e oscure, delle parole pompose ed incomprensibili, questo modo di scrivere non dovrebbe affatto essere ammirato e neppure tollerato dagli intellettuali. Esso rende possibile quella filosofia che è stata descritta come relativismo; una filosofia che porta alla tesi che tutte le tesi sono intellettualmente più o meno difendibili. Tutto è accettabile! Così il relativismo porta all’anarchia, alla mancanza di leggi, e al dominio della violenza.
L’argomento da me scelto “Tolleranza e responsabilità intellettuale” mi ha portato alla questione del relativismo.
A questo punto mi piacerebbe confrontare il relativismo con una posizione che è quasi sempre confusa col relativismo, ma che invece è totalmente differente da esso. Io ho spesso descritto questa posizione come pluralismo, ma ciò ha semplicemente portato a questi fraintendimenti.
Pertanto lo caratterizzerò qui come pluralismo critico. Il più confuso relativismo, che sorge da una scadente forma di tolleranza, porta al dominio della violenza, il pluralismo critico può contribuire a tenere la violenza sotto controllo.
Allo scopo di distinguere il relativismo dal pluralismo critico, l’idea di verità è di cruciale importanza. Il relativismo è la posizione che tutto può essere affermato, o praticamente tutto. Tutto è vero, o niente è vero. Pertanto la verità è un concetto senza significato.
Il pluralismo critico è la posizione che, nell’interesse della ricerca della verità, per tutte le teorie, le migliori in particolare, dovrebbe essere favorita la competizione con tutte le altre teorie. Questa competizione consiste nella discussione razionale delle teorie e nell’eliminazione critica. La discussione dovrebbe essere razionale – e ciò significa che dovrebbe avere a che fare con la verità delle teorie in competizione: la teoria che sembra avvicinarsi di più nel corso della discussione critica è la migliore; e la teoria migliore rimpiazza la teoria più debole. Pertanto la questione in gioco è quella della verità.

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