domenica 12 settembre 2010

"La piccola gloria" di Raymond Queneau

A M.G., gli fu piuttosto difficile ottenere una tessera d'ingresso alla Bibliothèque Nationale, nessun titolo avvalorava la sua domanda, nessuna ricerca legittimava la sua richiesta, e tuttavia era proprio quello il solo posto dove potesse raggiungere il suo scopo. Ogni altro modo di operare sarebbe stato vano e senza efficacia, esposto a troppi rischi. M.G. passò dunque tutta un'estate senza riuscire ad avallare la sua domanda, quando un giorno d'autunno passando davanti a un'area di affissioni ufficiali scorse una pubblicità per l'Ecole du Louvre. Capì, ne divenne l'allievo sebbene sino ad allora non si fosse mai interessato a quel genere di studi, studiò l'arte del medioevo e l'epigrafia, infine, diplomato, poté ottenere una tessera di lettore, quella che dà diritto alla Sala di Studio.
Il primo giorno che vi si recò, si sedette un poco a caso; era prima della guerra, in un tempo in cui si poteva ancora scegliere il proprio posto. Poi si guardò intorno, si orientò, imparò il funzionamento di questa grande macchina. C'erano in particolare i cataloghi, di cui bisognava conoscere l'uso, dei numerosi cataloghi, alcuni a stampa, altri manoscritti, altri ancora fotografici, alcuni su schede altri no, in ordine alfabetico o in ordine di soggetto: insomma tutto un tirocinio da fare. Quando ebbe un poco capito, il primo pensiero di M.G. fu di cercare il proprio nome nel catalogo generale; ce lo trovò; e fu per lui una così grande emozione, una gioia vivissima. Tenendo aperto con la mano alla pagina il tomo 48, alzando gli occhi verso il soffitto, sognò, per qualche attimo, e sorrideva. Vi erano le tre opere che aveva pubblicato, ben descritte, con la loro segnatura: il Rinnovamento della Terra mediante l'esclusione di Newton, Lione, Lenglumé, 1841, in-8°, pp. VIII-246, R. 24111, l'Estremità dei cieli ridotta alla sua giusta espressione, Lione, Lenglumé, 1843, in-8°, pp. IX-351, R. 24112 e la Notte Newtoniana sin qui sparsa sulla terra e oramai annientata dal pieno giorno della Verità, Caen, Ledoyen, 1859, in-8°, pp. XL-674, R. 26700.
M.G. non si stancava di leggere e rileggere queste poche righe bibliografiche - tutto ciò che restava di lui su questa terra come gloria, poiché in tutti i dizionari e reportori che poté compulsare non trovò alcuna traccia del suo nome e della sua opera, come neppure in alcun trattato, in alcuna storia.
La seconda parte del suo programma fu realizzata nel modo seguente: riempì le tre schede necessarie e richiese in lettura i suoi tre libri. Di lì ad un'ora circa, un impiegato a questo scopo venne a portarglieli. Erano neri di polvere; M.G. la scosse quindi constatò che non erano stati consultati, mai; le loro pagine non erano tagliate. M.G. abbassò pesantemente la testa maneggiando distrattamente le sue opere; così, non era mai stato letto - perlomeno qui. Ma a che pro sperare di essere stato letto altrove. Nessuno si era mai chinato sulle sue elucubrazioni - e tuttavia ricordava i momenti di genio che illuminarono i suoi soggiorni a Lione poi a Caen, l'ardore con cui scriveva, l'entusiasmo che lo bruciava. Poi, dopo la pubblicazione, l'insuccesso completo, il silenzio. Allora M.G. era morto sperando almeno qualcosa dalla posterità. Vedeva adesso che la posterità non si era mai curata di lui.
Uscì qual giorno dalla Nationale, gonfio di delusioni e disperazioni. Vagò tutta la notte, riflettendo a quello che doveva fare. Le tenebre di Parigi lo videro in diversi quartieri a mormorare l'esame del suo problema. Al mattino, all'ora di apertura, era lì, entrò, si mise a osservare. Le sue osservazioni furono condotte metodicamente per parecchi giorni, parecchie settimane, parecchi mesi. Mostrava una tale discrezione che nessuno si accorse della sua inchiesta. A che cosa s'interessava quel vecchio signore barbuto? alla morte di Luigi XVI. E quella ragazza bionda? al giansenismo. E quell'altro? quell'altro? quell'altro? Nessun erudito, nessuna erudita sembrava avesse concepito un progetto dove potesse appigliarsi o collocarsi la letteratura M.G.-iana. Passarono dei mesi. M.G. continuava a sorvegliare con un occhio sagace la vita intellettuale della sala di studio.
In lettore però finì per incuriosirlo, poiché non scorgeva alcun legame tra i diversi autori di cui gli vedeva cercare le segnature. Non poteva prenderlo per uno che potesse scegliere a caso, nelle risorse del catalogo, poiché sembrava proprio perseguire una ricerca determinata. Dopo un certo tempo, M.G. poté constatare che quegli autori erano tutti francesi, del XIX secolo e, per quel tanto che era in grado di giudicare, completamente sconosciuti. Esitò ancora qualche tempo, continuò a osservare, e frattanto dovette concludere che, lui stesso, era nella condizione di interessare lo sconosciuto lettore, in quanto francese, undevigintico e per giunta, ahimé! sconosciuto. Quanto all'argomento delle sue opere, esso era presentabile come quelli degli altri; nessuna scienza pareva disinteressare il personaggio.
Gli occorreva dunque farne adesso la conoscenza; e per questo, giocò d'astuzia.
Seguì il personaggio, osservò il suo comportamento, notò le sue abitudini, vagliò i suoi costumi, arguì i suoi gusti; lo pedinò. L'altro non aveva niente amici né quasi relazioni; egli s'impose presso una di queste, che, un giorno, lo presentò. Conversarono. M.G., forte della propria indagine, guidava la conversazione e presto il personaggio gli confessò la natura dei suoi lavori, un probabile in-quarto di circa seicento pagine, bibliografia e tutto, e che tratterebbe incompendiosamente dei francesi oscuri del XIX secolo, un tema vasto. M.G. allora, emozionato, gli disse:
- Lei conosce M.G.?
L'altro non lo conosceva.
- Ha scritto questa, quella e quell'altra opera, disse M.G. citando i titoli.
- No non conosco, disse l'altro, non conosco. E' molto interessante, mormorò.
E tirò fuori dalla tasca un taccuino per prendere delle note. Ci scrisse titoli e nome.
M.G., tutti i giorni che seguirono, fu felice. Ma, la seconda volta che incontrò l'erudito, questi gli disse:
- Come dunque si chiamava il suo uomo? Si figuri che avevo perso la scheda.
M.G., amaro, gli diede di nuovo le indicazioni.
La volta seguente che incontrò l'erudito, questi gli disse:
- Interessante il suo uomo, interessante. Gli dedicherò dalle quattro alle cinque pagine circa del mio volume.
E M.G. fu di nuovo felice. Così non morirebbe completamente! Il suo nome resterebbe fra gli uomini non soltanto sotto il semplice e puro aspetto di un'iscrizione al catalogo della Bibliotèque Nationale, ma anche sotto la forma eminente di una notizia a lui dedicata da un erudito emerito in un in-quarto magistrale. Fu felice. Vivrebbe in eterno, o perlomeno molto a lungo - molto, molto a lungo. Non voleva pensare tanto lontano. A ogni modo poteva protrarre così la sua vita postuma di centinaia di anni, di migliaia forse. La fatalità dei cataloghi non consentiva ancora oggi di citare scrittori greci dei quali non resta più una riga? Allora lui, perché no? Supponiamo che tutta questa civiltà scompaia, e che non ne resti più, per pura sorte, che un frammento strappato della compilazione dell'erudito, e che questo frammento, per l'appunto, sia quello che lo concerne. Allora, egli sopravviverebbe, unico e solo. Perché no? Fu felice.
Le volte seguenti che incontrò l'erudito, gli chiedeva notizie del libro. Il libro andava avanti, presto fu quasi terminato, poi non ci fu che qualche messa a punto da fare. Stava per essere stampato, allorché il suo autore ne perse il manoscritto. Disgustato, questi abbandonò le sue ricerch e si ritirò un una campagna che aveva nei dintorni di Parigi.
M.G. gli fece numerose visite, per incoraggiarlo. Sperava sempre che l'altro stesse per ricominciare. Ma no, l'altro non voleva, non voleva sapere niente. M.G. vedendo sfumare ogni possibilità di sopravvivere nello spirito degli uomini si sentì a poco a poco indebolire e disgregarsi. Nella rabbia suprema della sua morte totale prossima, concentrò le poche forze che gli restavano per strozzare l'erudito. Che morì. Quanto a lui, andò a disperdersi a poco a poco, si dissolse, niente restò di lui, i fantasmi non hanno più fantasmi. (E' proprio sicuro?)

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