martedì 28 dicembre 2010

Considerazioni libere (191): a proposito di accordi di fine d'anno...

Su come è finito il 2010 nel mondo ho scritto qualche giorno fa (la "considerazione" nr. 190, per la precisione). E mi pare non ci siano novità degne di questo nome: chi sta peggio continua a stare peggio e chi è più debole e più povero paga per tutti.
Su come sta finendo il 2010 in Italia vorrei scrivere in questa "considerazione", l'ultima per quest'anno. Ho parlato più volte delle reciproche e vicendevoli inconsistenze della maggioranza e dell'opposizione e della continua, progressiva, perdita di autorevolezza delle istituzioni; voglio soltanto segnalare gli sforzi del Presidente Napolitano e di alcuni amministratori locali - quest'anno è stato ucciso Angelo Vassallo, un sindaco eroico perché svolgeva con coscienza il proprio ruolo in una terra difficile - che faticano ogni giorno a tenere in piedi la baracca.
Al di là di tutto questo, mi pare che l'anno si chiuda con la volontà della più grande e importante industria privata, la Fiat, di imporre ai lavoratori un accordo che segna oggettivamente un passo indietro nel campo dei diritti dei lavoratori, sia singolarmente sia considerati come classe - se questa "brutta parola" si può ancora usare.
Ho già scritto dell'accordo di Pomigliano (nelle "considerazioni" nr. 126 e nr. 131) ed era facile immaginare che Marchionne avrebbe voluto esportare quel modello in tutti i suoi stabilimenti, specialmente in uno così simbolico come Mirafiori.
Non ho le competenze per affrontare le questioni legate a orari, straordinari, turni, ma ci sono punti su cui mi pare che dovremmo tutti fare una riflessione. L’accordo definisce le quote proporzionali di assenze oltre le quali l’assenteismo si giudica eccessivo: il 6% a luglio 2011, il 4% a gennaio 2012, il 3,5% dal 2013; in caso si superino queste soglie, non verranno pagati i primi due giorni di malattia a chi negli ultimi dodici mesi si è ammalato subito prima di un giorno di riposo o di ferie, ad esclusione di patologie gravi.
L'accordo prevede che non ci sia più l’elezione dei delegati sindacali di fabbrica, ma che soltanto i sindacati che firmeranno l’accordo potranno nominare i rappresentanti aziendali. Inoltre i sindacati che sciopereranno contro l’accordo potranno essere puniti con l’annullamento dei permessi sindacali; l’azienda non tratterrà le quote di iscrizione ai sindacati dalle buste paga, ma saranno i sindacati a raccoglierle. Infine tutti i lavoratori firmeranno personalmente il nuovo contratto e se poi sciopereranno contro l’accordo, potranno essere licenziati. Si toglie valore al contratto nazionale, si indeboliscono i sindacati, si lascia il lavoratore, ogni singolo lavoratore, solo davanti al padrone - altra "brutta parola" che non si usa più - e fatalmente questo lavoratore, sempre più isolato, preoccupato per sé e molto di più per la propria famiglia, i propri figli, finirà con il piegarsi, con il trovarsi con il cappello in mano e accettare quello che gli verrà offerto.
Assicuratosi la copertura politica del governo e la sospetta acquiescenza di Cisl e Uil - oltre all'entusiasmo dei vari commentatori che predicano la fine della conflittualità novecentesca - Marchionne ha, come l'altra volta, lanciato un ultimatum ai lavoratori: o si accetta l'accordo o la produzione verrà portata fuori dall'Italia, lontano da Torino. E così il sindaco della città, che si vorrebbe candidare a guidare il centrosinistra nazionale, si è piegato all'accordo, il candidato sindaco Fassino ha fatto altrettanto, e così faranno anche questa volta i lavoratori: il lavoro è troppo importante e non possono correre il rischio di perderlo.
E' rimasta la Cgil a difendere un contratto nazionale, che tutti ormai considerano superato, e i diritti elementari dei lavoratori, che non possono essere comprati con degli investimenti e neppure con degli aumenti salariali. Ancora una volta, è scioccante il silenzio di quella che dovrebbe essere la maggior forza del centrosinistra e soprattutto di uomini che vengono da una storia che evidentemente non ricordano più. La sinistra che ha perso l'anima è qui, quella che lascia soli i lavoratori.
Chiudo questa "considerazione" con alcune frasi pronunciate da Giuseppe Di Vittorio all'Assemblea costituente, che, al di là di una forse datata retorica di partito, mantengono nella loro essenza il nocciolo di quello che dovrebbe essere l'azione di un partito di sinistra.
Il diritto di associazione è senza dubbio fra i diritti fondamentali del cittadino e una delle espressioni più chiare delle libertà democratiche. Il diritto di associazione è anzi il presidio più sicuro della libertà della persona umana, la quale tende in misura crescente a ricercare la via del proprio sviluppo, della propria difesa, e d’un maggiore benessere economico e spirituale, specialmente nella libertà di coalizzarsi con altre persone, in aggruppamenti sociali, professionali, cooperativi, politici, religiosi, culturali, sportivi e d’ogni alto genere, aventi interessi od ideali comuni od affini.
[...]
Tale diritto dev’essere riconosciuto a tutti i cittadini d’ambo i sessi e d’ogni ceto sociale, senza nessuna esclusione. Tuttavia, la Costituzione non può ignorare che se il diritto di associazione dev’essere garantito ad ogni cittadino, esso ha però un valore diverso pei differenti strati sociali.
Nell’attuale sistema sociale, infatti, la ricchezza nazionale è troppo mal ripartita, in quanto si hanno accumulazioni d’immensi capitali nelle mani di pochi cittadini, mentre l’enorme maggioranza di essi ne è completamente sprovvista. In tali condizioni, è chiaro che nei naturali ed inevitabili contrasti di interessi economici e sociali sorgenti fra i vari strati della società nazionale, il cittadino lavoratore ed il cittadino capitalista non si trovano affatto in condizione di eguaglianza. Il cittadino capitalista, basandosi sulla propria potenza economica, può lottare e prevalere anche da solo, in determinate competizioni di carattere economico. Il cittadino lavoratore, invece, da solo, non può ragionevolmente nemmeno pensare a partecipare a tali competizioni. Ne consegue che per il cittadino lavoratore la sola possibilità che esista - perché possa partecipare a date competizioni economiche, senza esserne schiacciato in partenza - è quella di associarsi con altri lavoratori, aventi interessi e scopi comuni, per controbilanciare col numero, con l’associazione e con l’unità d’intenti e d’azione degli associati, la potenza economica del singolo capitalista o d’una associazione di capitalisti. Il sindacato, perciò, è lo strumento più valido, per i lavoratori, per l’affermazione del diritto alla vita e del diritto al lavoro, che dovranno essere sanciti dalla nostra Costituzione.

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