sabato 8 gennaio 2011

Considerazioni libere (195): a proposito di una scommessa persa...

Secondo i dati diffusi da Google, "Haiti" è stata la parola più cercata nella sezione News nel 2010. Apparentemente non c'è nulla di strano; il 13 gennaio dell'anno scorso c'è stata nell'isola caraibica una catastrofe di proporzioni incredibili: delle 295mila persone morte a causa di disastri naturali nel 2010 sull'intero pianeta, 222.570 sono morte ad Haiti, il 75%. C'è però un altro dato che va considerato: le ricerche si sono concentrate nel mese di gennaio. Già a febbraio le ricerche su Haiti si sono incredibilmente ridotte, superando di poco lo zero. In buona sostanza, l'opinione pubblica si è interessata alla sorte di Haiti unicamente durante le due settimane successive al sisma, per poi dimenticarsene altrettanto rapidamente. Se potessimo analizzare i minuti dedicati ad Haiti nei telegiornali o gli articoli scritti sul tema, sono convinto che scopriremmo un fenomeno di analoghe proporzioni.
Non so quanti di voi sanno se ad Haiti è ancora operativo il contingente interforze inviato dall'Italia alla fine di gennaio. Io sinceramente non lo so; ricordo che fu data una certa enfasi alla partenza delle nostre truppe, ma non si è saputo nulla delle condizioni in cui si sono trovate a lavorare là, né dei risultati che hanno raggiunto. Non ho trovato nella rete traccia di questa missione: altro segno del generale disinteresse verso quel popolo e le sofferenze che ha subito.
Nell'anno passato ho cercato di occuparmi di Haiti su questo blog. A giugno - è la "considerazione" nr. 120, se vi interessa - ho riportato il racconto che Damien Cave aveva fatto sul New York Times sull'incapacità di avviare la ricostruzione. In altre "considerazioni" ho cercato di parlare delle cause di fondo che, oltre al sisma, hanno costretto quel paese alla miseria.
La situazione del popolo haitiano in questi dodici mesi successivi al sisma è, se possibile, ulteriormente peggiorata. Il 92% delle macerie si trova esattamente dov'era il 13 gennaio; un milione di persone, di cui la metà bambini, vivono ancora nelle tende di fortuna approntate all'indomani del terremoto. Le cattive condizioni igieniche hanno favorito la diffusione di un'epidemia di colera, che si è sviluppata all'interno della base delle truppe nepalesi dell'Onu: i morti registrati sono più di 3.300 e gli infettati già oltre i 150mila. Subito dopo il sisma, Amnesty International aveva denunciato il rischio che Haiti diventasse una sorta di grande supermercato per i trafficanti di esseri umani. Il rischio è diventato realtà: si calcola che ogni giorno spariscano da Haiti cinquanta giovani, specialmente ragazze, che vanno ad alimentare il mercato del sesso.
A un anno dal terremoto Haiti non è riuscita a darsi un nuovo governo: le elezioni si sono svolte in un clima di violenza. Il ballottaggio è stato per ora rimandato, ma è evidente che qualunque sarà l'esito del voto provocherà nuove ondate di violenza. I paesi occidentali hanno sostanzialmente dimenticato Haiti. Obama, che pure aveva mostrato una particolare attenzione alle vicende di quel paese, lo ha abbandonato a se stesso. Come dimostrano i dati di Google che ho citato prima, tutti abbiamo fatto più o meno lo stesso: Haiti è così lontana, finite le immagini, finito il dolore. Eppure in quell'angolo remoto della terra abbiamo perso una grande scommessa: l'idea che uno sviluppo diverso, a partire da un evento così tragico, potesse realizzarsi.

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