mercoledì 9 febbraio 2011

Considerazioni libere (206): a proposito di capitalismo...

Oggi voglio raccontarvi una storia di ordinario capitalismo. Walmart è la multinazionale più grande del mondo; il colosso della grande distribuzione organizzata ha avuto nel 2010 un fatturato di 408 miliardi di dollari e 14 miliardi di utili netti; i suoi dipendenti sono 2 milioni e 100mila e ogni settimana 138 milioni di persone entrano in uno dei suoi centri commerciali per fare almeno un acquisto. La filosofia dell'azienda è racchiusa in uno slogan molto semplice: "Lavoriamo per diminuire i prezzi ogni giorno". Soprattutto in tempi di crisi come questi potrebbe sembrare il modo migliore per aiutare le persone, ma bisogna vedere qualche altro numero per capire se è davvero così.
Lo stipendio medio di un lavoratore di Walmart è di 14mila dollari all'anno, contro i 18mila delle catene concorrenti. Il governo degli Stati Uniti ha recentemente stabilito che la soglia di povertà per una famiglia di tre persone è 15.060 dollari: un lavoratore di Walmart, che inoltre con il suo stipendio deve pagarsi una quota sempre più consistente dell'assistenza sanitaria, ha letteralmente un salario da fame. E ci sono condizioni anche peggiori. Il 23 ottobre scorso gli agenti federali hanno fatto un blitz in 61 supermercati Walmart, in 21 Stati: sono stati arrestati 250 lavoratori clandestini. La multinazionale ha scaricato la responsabilità su aziende esterne, a cui ha appaltato alcuni lavori. Forse è così, ma è comunque frutto della politica industriale di Walmart di tenere prezzi così bassi. Nel supermercato di Piscataway, nel New Jersey, sono stati trovati molti immigrati clandestini messicani: lavoravano lì da anni, facendo le pulizie e riempiendo gli scaffali durante la notte. Gli immigrati lavoravano 60 ore alla settimana per 6 dollari l'ora, senza contratto, senza assistenza sanitaria, senza vacanze né straordinari. Forse a questo punto inutile sottolineare che nella multinazionale il sindacato non esiste, perché, come ha spiegato recentemente in un'intervista l'amministratore delegato Lee Scott, "pensiamo che sia meglio avere a che fare con i nostri dipendenti a livello individuale, senza bisogno di intermediari".
L'effetto Walmart sta colpendo però un numero ben più alto di lavoratori. Safeway e altre catene di supermercati hanno deciso di ridurre l'assistenza sanitaria ai loro dipendenti per cercare di fronteggiare in qualche modo la concorrenza di Walmart. E le conseguenze non si fermano qui e coinvolgono anche le aziende produttrici di beni e conseguentemente altri milioni di lavoratori. Walmart ha una quota così rilevante di mercato da poter imporre i propri prezzi di acquisto alle società produttrici, che non possono permettersi che i loro prodotti siano esclusi dagli scaffali della catena. Naturalmente sono i lavoratori, ancora una volta, a pagare le spese di questi contratti capestro, con la riduzione dei salari, l'aumento delle ore di lavoro, la diminuzione dell'assistenza sanitaria.
L'altra leva usata da Walmart per tenere i prezzi bassi è l'utilizzo sempre più massiccio di prodotti importati dai paesi in via di sviluppo, in particolare in Oriente. Nel 2002 Walmart ha importato merci dalla Cina per 12 miliardi di dollari, il 10% delle importazioni statunitensi da quel paese; la multinazionale importa il 96% dell'abbigliamento, l'80% dei giocattoli, il 100% dell'elettronica. Anche in questo caso è inutile ricordare gli scarsissimi livelli di tutela dei lavoratori. Se sono terribili le condizioni dei lavoratori cinesi che producono i prodotti Apple, che pure ha un codice etico - se volete leggete la "considerazione" nr. 121 - pensate cosa può succedere in una fabbrica cinese di jeans, i cui prodotti in due anni sono scesi nei negozi americani da 27 a 8 dollari: è facile capire chi paga la differenza.
Alcune reazioni negli Stati Uniti ci sono state. In Walmart, come detto, non c'è il sindacato e non si sciopera, ma i lavoratori di alcuni altri supermercati, i cui amministratori hanno introdotto lo "stile Walmart", hanno organizzato alcuni scioperi. La cosa non ha avuto ripercussioni né sulle aziende né verso i consumatori, perché negli Stati Uniti le aziende possono assumere temporaneamente qualcuno al posto di un lavoratore che sciopera e quindi i vari magazzini sono rimasti aperti. Nonostante tutto, questi scioperi hanno cominciato a far riflettere l'opinione pubblica sullo strapotere di questa azienda che, in nome del liberalismo e della capacità di favorire le fasce più deboli dei consumatori, ha riflessi molto pesanti sull'economia statunitense e globale, contribuendo di fatto ad aumentare ancora di più il numero dei poveri. Alcune amministrazioni locali hanno cercato di porre dei limiti all'apertura di nuovi supermercati, ma Walmart promuove e sostiene, anche finanziariamente, dei referendum per far considerare illegittime queste decisioni. Si tratta con tutta evidenza di cerotti, inadatti da soli a chiudere una ferita. C'è al fondo l'idea salvifica che il mercato sia capace di regolarsi da solo, aumentando il benessere della società. Invece aumentano soltanto gli utili e diminuiscono diritti e salari dei lavoratori. Dovrebbe pensarci qualche nostro politico, recentemente convertitosi sulla via di Detroit. Il mercato da solo non è in grado di tutelare il lavoro: occorrono le leggi e un'amministrazione capace di farle rispettare. Occorre anche più sinistra: a chi predica la fine del Novecento e della contrapposizione tra capitale lavoro, chiedete cosa pensa di un lavoratore il cui salario è inferiore alla soglia di povertà. Nessuno riuscirà a convincermi che questa è la modernità.

Nessun commento:

Posta un commento