mercoledì 6 aprile 2011

Considerazioni libere (219): a proposito delle opportunità della "primavera araba"...

Fate attenzione. In questi giorni, anche se l'interesse del mondo è tornato ad accendersi, quasi all'improvviso e senza che nessuno lo prevedesse, sulla costa meridionale del Mediterraneo e sul vicino Oriente, manca quasi completamente dalla ribalta la questione Israele/Palestina, che pure, negli anni passati, aveva avuto un ruolo da protagonista in tutti i momenti di crisi che hanno coinvolto la regione. La responsabilità di questo silenzio è legata prima di tutto alla debolezza dei leaders, sia israeliani che palestinesi. Ci fossero ancora uomini dell'intelligenza e del coraggio di Rabin e di Arafat i loro popoli avrebbero giocato un ruolo ben diverso in questo nuovo scenario, così carico di opportunità. Significativamente, all'inizio della crisi egiziana, Netanyahu e Abu Mazen hanno espresso quasi con le stesse parole la loro solidarietà a Mubarak, dimostrando di non capire verso che direzione stava andando il popolo egiziano; entrambi temono il nuovo, avrebbero preferito di gran lunga che tutto fosse rimasto com'era. Ma è cominciato un processo che probabilmente è destinato a travolgere anche loro.
In questa strana afasia ci sono pro e contro. Non è bene tacere sulla questione: i problemi non si risolvono eludendoli, mai. I cittadini israeliani continuano a vivere in un permanente stato d'assedio, in un "ghetto" che loro stessi hanno contribuito a costruire, minacciati da nemici che negano il loro diritto di abitare quelle terre; i cittadini palestinesi continuano a vivere in una sostanziale condizione di minorità politica, aggravata da una crisi economica sempre più dura. I morti non sono meno morti quando non se ne parla e in quella terra così ricca di storia e di memorie si continua a morire, per la guerra e per la miseria.
C'è però anche un aspetto positivo, che voglio provare a sottolineare. Finora si è detto, durante ogni crisi mediorientale, che la soluzione di ogni determinato e specifico problema doveva passare attraverso la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi. E' un fenomeno che in Italia conosciamo fin troppo bene: il "benaltrismo", una delle grandi scuse per fare mai nulla, per non cominciare nemmeno, visto che son ben altri i problemi. In questo modo la questione palestinese è stata il grande alibi, la giustificazione perfetta, per tutti quelli che hanno voluto mantenere lo status quo. Per gli Stati Uniti Mubarak era un alleato prezioso, perché garantiva la pace o almeno pareva garantire la radicalizzazione del conflitto; e allo stesso modo Assad era un un alleato prezioso dei sovietici. Dall'altro lato riconoscere una tale importanza alla questione israelo-palestinese - lo abbiamo fatto anche noi della sinistra, molte volte - ha dato un potere enorme ai radicali e agli estremisti di entrambi i fronti: ciascuno di questi poteva legittimamente sentirsi ancora più importante, visto che il resto del mondo credeva che dalle sue decisioni passasse il destino dell'intero scacchiere mediorientale.
Oggettivamente in queste settimane questo circolo vizioso si è spezzato. I giovani protagonisti della "primavera araba" hanno manifestato contro i loro regimi, senza lanciare slogan contro Israele; nelle piazze di Tunisi, del Cairo e di Bengasi non sono state bruciate le bandiere con la stella a sei punte, come troppe volte è accaduto nel passato. Naturalmente questo non basta. I nuovi governi che nasceranno nei paesi arabi dovranno avere tra i loro obiettivi il riconoscimento dello stato di Israele e la nascita del nuovo stato della Palestina. Per troppo tempo i governi arabi hanno sfruttato a fini propagandistici la sorte del popolo palestinese, senza fare nulla di concreto per risolvere i loro problemi.
E c'è una sfida ancora più ardua, ma a questo punto è lecito sperare: questa sfida riguarda direttamente i giovani israeliani e palestinesi. C'è un problema di democrazia in Israele, perché il governo è da troppo tempo in mano a una classe politica incapace di pensare in modo veramente nuovo alla pace e al destino dell'intera regione, perché gli arabi israeliani non godono dei più elementari diritti politici, perché le forme di dissenso sono bandite, perché l'esercito si comporta come una forza di occupazione in territori occupati, trattati come colonie; c'è un problema di democrazia in Cisgiordania, perché la classe dirigente che ha preso l'eredità di Arafat non ha il carisma per imporre la fine della guerra, perché è più impegnata a mantenere il proprio potere, in cui ci sono grandi sacche di corruzione piuttosto che pensare a una soluzione stabile per la regione; non c'è democrazia a Gaza dove Hamas ha imposto, con la complicità di fatto di Israele, un regime in cui non è permesso di disubbidire. Per cambiare il governo in Israele bastano le elezioni, ma serve anche un movimento popolare profondo, che isoli le frange più radicali del paese; per cambiare in Palestina servono le piazze e una grande rivoluzione, che cominci a pensare al popolo palestinese come un soggetto capace di essere protagonista del proprio destino.
Anche in Israele e in Palestina può soffiare il vento della primavera.

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