lunedì 31 ottobre 2011

Considerazioni libere (256): a proposito delle conseguenze di un'alluvione...

Ho scoperto relativamente da poco tempo il Levante ligure e la Lunigiana, grazie a Zaira, che - pur non essendone originaria - ha vissuto per molti anni a cavallo di quei territori, prima di emigrare in Emilia. Vernazza è un paese che amiamo moltissimo e in cui siamo tornati molte volte, anche solo per poche ore. Questa forse inutile premessa per dire che quello che è successo nei giorni scorsi tra la val di Vara e la valle del Magra ci ha molto colpito, abbiamo guardato con apprensione e con sgomento le immagini trasmesse dalla rete, ci siamo preoccupati per la sorte di quelle persone, abbiamo letto le cronache dalle zone alluvionate e anche, seppur con minore attenzione, le polemiche che puntualmente seguono a eventi come questo, destinate a spegnersi nel giro di pochi giorni, quando vengono soppiantate dalle polemiche "fresche" di giornata. Al di là di tutto questo, quello che è successo merita davvero una riflessione.
Quando si chiede conto a chi ha responsabilità politiche, a livello nazionale e locale, di ciò che ha fatto e di ciò che non fatto, questi quasi sempre risponde che i problemi sono ben altri, facendo intendere, più o meno esplicitamente, che le responsabilità maggiori sono di altre persone e di altri livelli istituzionali. In genere i comuni se la prendono con lo stato, lo stato con i comuni, le province un po' con tutti e così via. Il "benaltrismo" e la mancanza di un'etica della responsabilità sono i motivi per cui questo paese sta inesorabilmente sprofondando, a questo punto non solo metaforicamente. Il territorio italiano è violentato dall'ignoranza e dalla cupidigia. Preservare l'ambiente naturale dovrebbe essere un dovere civico, un modo per conservare e tramandare la memoria e la cultura di un popolo; non pretendo che si capisca questo. Basterebbe guardare ai propri interessi, fare i conti della serva, con tutto il rispetto per questa nobile categoria. Le bellezze della natura e dell'arte sono le uniche risorse di cui dispone questo paese, una garanzia tangibile che l'economia nel futuro potrà continuare a funzionare; tutelare monumenti e patrimonio naturale significa semplicemente fare l'interesse di questo paese, così come i paesi arabi tutelano le proprie riserve petrolifere. Tra gli italiani invece prevale sempre il concetto di "pochi, maledetti e subito", con i risultati che vediamo ogni giorno.
Detto questo, credo però che occorra fare un ragionamento in più, che sposta un po' l'ottica del problema. Parto da questo territorio, perché è l'ultimo colpito, ma il discorso riguarda in fondo tutto il nostro mondo. Nel Levante ligure, nella zona delle Cinque terre, per la sua particolarità geografica non è facile vivere, eppure per secoli gli uomini ci hanno vissuto, riuscendo a trovare un equilibrio con una natura che non era - e continua a non essere - benigna. Questo equilibrio è rimasto sostanzialmente immutato dagli insediamenti dei liguri - fiero popolo sconfitto con difficoltà dall'esercito romano - fino ad alcune generazioni fa. Almeno fino agli inizi del Novecento - diciamo, per semplificare, fino a quando sono arrivati il treno e l'energia elettrica - la vita delle donne e degli uomini di quelle campagne e di quelle montagne è rimasta sostanzialmente uguale a quella che si conduceva nel Medio evo: una famiglia viveva di quello che era in grado di produrre nel proprio terreno e di raccogliere nel bosco vicino, si scaldava con la legna, regolava le proprie giornate secondo il sorgere e il calare del sole e l'anno secondo l'andamento delle stagioni. In un territorio ostile come quello ligure non deve essere stato facile costruire i primi muri a secco, eppure quel sistema è stato l'elemento che per secoli ha permesso di mantenere in equilibrio quel territorio montano a picco sul mare. Non è che allora non ci fossero piogge torrenziali o alluvioni, semplicemente le alluvioni erano uno dei molti modi - e sicuramente non il più frequente - in cui quegli uomini potevano morire. Come sapete in questi giorni siamo impegnati nel 15° censimento generale della popolazione, forse non è inutile ricordare come eravamo 150 anni fa, quando fu fatto il primo censimento dell'Italia unita. Nel 1861 le persone vivevano in media 35 anni, mentre nel 2011 gli uomini hanno una durata di vita media di 75 anni e le donne oltrepassano addirittura gli 80; sempre nel 1861 un bambino su quattro moriva alla nascita, ora ne muoiono tre su mille. Ora dopo l'alluvione siamo giustamente preoccupati per quelle di frazioni di montagna che rimangono isolate; allora l'isolamento, specialmente in montagna, era la condizione di normalità, non serviva un'alluvione, bastava l'inverno a rendere praticamente impossibili gli spostamenti.
Per fortuna non è più così, il progresso scientifico e tecnologico in poco meno di cento anni ha radicalmente cambiato il mondo con una rapidità impensabile nei mille anni precedenti; adesso l'energia elettrica arriva dappertutto, anche nelle case più isolate, così come le linee telefoniche e il segnale televisivo, anche nei borghi più sperduti arrivano ogni giorno generi alimentari freschi di qualunque tipo, non ci si scalda più con la legna, ma con il metano, nelle case arriva l'acqua corrente e ci sono gli scarichi fognari con un indubbio vantaggio per le condizioni igieniche delle persone, le donne vanno a partorire in ospedale e non muoiono più di parto, le bambine e i bambini, indipendentemente da dove vivono, frequentano la scuola e non c'è più l'analfabetismo. Certo il progresso si è portato dietro alcuni altri fenomeni: la campagna si è progressivamente svuotata a favore della città, l'agricoltura è diventata residuale rispetto alla produzione industriale e ai servizi; così ad esempio in Liguria non ci sono quasi più agricoltori che mantengano i muretti a secco e questa è una delle cause del disastro di alcuni giorni fa, oppure non ci sono più gli uomini che raccolgono la legna lungo il letto dei fiumi e questa è un'altra causa della disgrazia. In sostanza mi sembra che non abbiamo ancora trovato un nuovo equilibrio che possa sostituire quello che è andato definitivamente perduto, grazie al progresso della tecnologia. Sarebbe francamente impensabile e anacronistico pensare di tornare indietro, fare finta che questi decenni di progressi siano passati invano; bisogna cominciare a ragionare a un modello di sviluppo in cui gli uomini possano continuare a godere dei vantaggi della tecnologia e della scienza, senza causare ulteriori danni alla natura. Probabilmente dobbiamo avere anche una consapevolezza maggiore dei nostri limiti, di quei limiti dell'uomo che non è possibile - e non lo sarà mai -superare.

1 commento:

  1. Direi che è una bella riflessione. A partire dal 1950 circa in poi questo paese è stato stuprato, distrutto, mangiato dal cemento o comunque si è pensato che lo sviluppo economico e industriale per portare benessere, dovesse sacrificare la natura (si pensi al Vajont) e la tradizioni locali. Per esempio, tombare i corsi d'acqua è stato un errore. Poi, naturalmente, esiste anche la necessità di riflettere su un modello di sviluppo alternativo e meno vorace...

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