martedì 21 febbraio 2012

Considerazioni libere (271) a proposito di quello che si potrebbe fare per salvare la Grecia...

Non c'è una sola Grecia. C'è la Grecia antica, i cui confini non coincidono con quelli della penisola ellenica, ma arrivano ad abbracciare praticamente tutte le terre che si affacciano sul Mediterraneo – questo davvero meriterebbe di essere chiamato "mare egeo" – la Grecia ideale che abbiamo imparato a conoscere attraverso i libri oppure attraverso le opere d'arte e le reliquie archeologiche sparse nei musei di tutto il mondo – la Grecia è stata anche depredata di tante sue ricchezze, non dobbiamo mai dimenticarlo – la Grecia che ha creato il modo occidentale di vedere l'uomo, la natura, l'universo, e che ci ha dato le categorie di pensiero che continuiamo a usare ogni giorno nelle nostre filosofie, la Grecia che ha ispirato i poeti, anche molti secoli dopo che si sono spente le fiamme del rogo che distrusse la biblioteca di Alessandria; è la Grecia che io amo immensamente e a cui ho dedicato tante pagine di questo blog, la Grecia di Omero e di Borges, la Grecia di Sofocle e di Dürrenmatt, la Grecia di Odisseo e di Protagora. Poi c'è la Grecia della memoria antifascista, la Grecia che ebbe il coraggio di liberarsi, con le proprie forze, dagli eserciti di occupazione dell'Italia di Mussolini e della Germania di Hitler e poi la Grecia che seppe liberarsi una seconda volta, alla metà degli anni Settanta, da una durissima dittatura militare fascista, la Grecia della Resistenza e dei poeti e degli intellettuali esuli; anche di questa Grecia ho raccolto in questo blog molte testimonianze, dalle musiche di Mikis Theodorakis ai versi di Titos Patrikios e Georgos Seferis. Infine c'è la Grecia di oggi, la Grecia delle donne e degli uomini che soffrono le conseguenze di una crisi terribile e che sono le vittime di un esperimento politico ed economico destinato a distruggere per sempre quel paese, così come, prima della Grecia, gli uomini del Fondo monetario e della Banca mondiale hanno distrutto Haiti e tanti paesi africani, con il pretesto di fare il bene di quei popoli. C'è anche una Grecia che lotta, ancora una volta, per difendere la propria libertà e la propria dignità; e non è un caso che alcuni dei protagonisti delle lotte di ieri siano ancora lì a testimoniare, con la propria voce o anche solo con la propria presenza in piazza, la voglia di lottare di quel popolo.
Guardando i servizi dei telegiornali e leggendo gli articoli dei giornali – non molti a dire il vero, perché ormai sono quasi tutti omologati al pensiero unico del liberismo trionfante – cercando comunque di capire quello che sta succedendo, non riesco a distinguere le diverse immagini di quel paese che mi è così caro, pur se non ci sono mai andato. Mi angoscia pensare che, dopo questo primo esperimento in Europa, condotto sulla pelle dei greci, toccherà al Portogallo di Pessoa e di Saramago, per poi passare a una cavia più grande: la Spagna o l'Italia. Varrà forse la pena chiedersi come mai i paesi più deboli dell'Europa – almeno di quella che una volta avremmo chiamato Europa occidentale – sono anche quelli in cui sono durate più a lungo e sono finite più tardi – in alcuni casi solo pochi decenni fa – le dittature fasciste; penso che una relazione ci sia, mentre altri preferiscono indugiare, in maniera francamente razzista, su una presunta inferiorità civile e politica dei paesi mediterranei, dei paesi del sud.
Provate a leggere gli articoli che alcuni giornali – non inquadrati, o alcuni direbbero troppo inquadrati – dedicano a questo sfortunato paese: ne esce un quadro desolante. Le aziende stanno progressivamente chiudendo, i negozi non aprono e, se aprono, rimangono vuoti, cresce il numero dei disoccupati, cresce il numero di persone che fa la fila davanti agli uffici di collocamento e alle mense per i poveri, è diminuito perfino l’introito delle lotterie, che pure in paesi in crisi, ma non ancora alla bancarotta – come ad esempio l’Italia – continua a crescere. I fondamentali dell’economia, come si chiamavano una volta – prima che l’unico parametro di riferimento diventasse lo spread – sono tutti negativi. La disoccupazione ha raggiunto il 20,9%, 3 milioni di persone – quasi un terzo del paese – sono a rischio di indigenza, il pil in un anno è sceso di oltre il 7%. Soprattutto non c’è alcuna prospettiva per il futuro; e questo è il dato più terribile, al di là di ogni dato statistico.
La Grecia è un paese ormai fallito, per colpa delle sue classi dirigenti e per colpa delle istituzioni finanziarie internazionali, che hanno imposto alla Grecia una cura sbagliata, che finora non è stata efficace e che si rivelerà a breve esiziale. Nessuno è esente da colpe, soprattutto tra i greci, se la situazione è arrivata al punto in cui è arrivata. Mentre pochissimi si arricchivano enormemente a spese della collettività, tanti godevano di alcune piccole prebende, i benefici che i patroni sanno sempre elargire ai loro clientes; e così quasi tutti hanno goduto di piccoli o grandi privilegi e hanno preferito tacere, mentre il paese andava inesorabilmente alla deriva. Ora i grandi ricchi si sono messi in salvo, hanno già "esportato" i loro capitali nelle confortevoli banche svizzere e sperano che il paese fallisca definitivamente, magari reintroducendo una dracma svalutata, per poter tornare e acquistare in svendita l'intero paese; si illudono anch'essi, perché saranno preceduti da chi ha più risorse e più influenza: i cinesi hanno già acquistato il Pireo. Per i poveri, finiti i loro piccoli privilegi, è venuta l'ora di rendere i conti, anche per le colpe degli altri.
Come hanno denunciato in pochi in questi anni, la corruzione è un male diffuso in maniera endemica in quel paese, non solo nel ceto politico, ma in tutti i settori della società. Per tante persone la possibilità di ottenere un impiego pubblico, in cambio dell'appoggio a questo o quel partito, a questo o quel sindacato, a questo o quel capobastone, ha rappresentato il punto di arrivo e, una volta ottenuto, la possibilità di passare dalla parte del vessato a quella, più remunerativa, del vessatore. Troppo spesso nella pubblica amministrazione chi non è corrotto è troppo stupido o perfino troppo indolente per farlo. Come è ormai noto il governo di centrodestra di Kostas Karamanlís, mentre i governi di centrodestra dell'Europa chiudevano benignamente gli occhi, ha truccato i conti per dimostrare di poter entrare nell'eurozona: anche questo, purtroppo, è la Grecia. Sono tante le cose che hanno contribuito a far sì che la situazione degenerasse in questo modo. Le Olimpiadi del 2004 sono costate oltre un decimo del pil e non hanno portato alcun reale beneficio al paese, se non per i costruttori delle grandi opere. La Grecia è uno dei paesi europei che ha la più alta spesa per armamenti: il governo greco spende ogni anno per l'acquisto di armi quasi il 3% del pil e i maggiori venditori di armi e tecnologie belliche sono proprio la Germania e la Francia, ossia i paesi che ora impongono la "cura da cavallo" che probabilmente ucciderà la Grecia. E che pretendono di inviare i propri "commissari" a vigilare sul governo di Atene.
Sappiamo ormai qual è la ricetta impartita al "malato" greco: liberalizzare le tariffe, i mercati e il lavoro, privatizzare i servizi pubblici, bloccare le assunzioni, diminuire i finanziamenti per scuole, ospedali, università, servizi sociali; una cura che impone di riportare il debito del paese, ormai chiaramente in recessione, al 60% del pil, in regime di parità di bilancio. Un obiettivo impossibile. Chiedere a un paese privo di esportazione, come la Grecia, feroci tagli di spesa e non proporzionali aumenti d'imposta, con lo scopo di infondere "fiducia" al sistema per riavviare finalmente la crescita, è una mossa da analfabeti economici e da fanatici ideologizzati. Sono le stesse ricette che le stesse persone hanno imposto ad Haiti e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Il vero salvataggio della Grecia e, in prospettiva, degli altri paesi "deboli" dell’Europa non può avvenire seguendo le regole imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali. Una prima soluzione, per tamponare l'emergenza, potrebbe passare attraverso un accordo che dimezzi in modo selettivo i debiti pubblici che non possono essere ripagati o che li sterilizzi, ad esempio allungando di molto le scadenze. Questo accordo trasferirebbe l'insolvenza dagli stati, ossia dai cittadini, alle banche, in modo da separare il credito commerciale dagli investimenti speculativi. Quanti più saranno gli stati a rischio che si impegnano su questa strada, tanta maggiore sarà la forza per imporla. Ma non a caso l'Europa, per non correre rischi, ha imposto alla Grecia un primo ministro che viene dalle fila della Bce e che quindi garantisce l'ortodossa applicazione delle regole decise tra Francoforte, New York e Bruxelles. E – en passant – ha fatto lo stessa cosa in Italia. Almeno gli spagnoli se lo sono eletti il loro Monti, anche se il risultato alla fine non cambierà.
Ma la vera soluzione del problema greco – e di quello portoghese, spagnolo, italiano – è ripensare in maniera radicale al modo in cui funziona la nostra società, a come intendiamo lo sviluppo, nella convinzione che continuare su questa strada ci porterà fatalmente a sbattere. In un tempo di crisi così radicale come quello che stiamo vivendo, dobbiamo fare i conti, sia a livello nazionale che a quello locale, con i modi in cui otteniamo e gestiamo le risorse primarie, energetiche e alimentari. L'unica risorsa a cui possiamo accedere nel giro di pochissimo tempo sono risparmio ed efficienza energetica; su questo dovremmo cominciare a lavorare seriamente, anche perché le soluzioni già ci sono, manca troppo spesso la volontà di attuarle. Probabilmente dovremo sperimentare – adattandoci – forme di utilizzo delle risorse che adesso ci appaiono dettate dalla povertà e dal bisogno, ma che potrebbero rivelarsi utili per il futuro, oltre che più consone allo sviluppo naturale della nostra specie. Negli articoli che descrivevano le festività natalizie ad Atene tutti i commentatori notavano che nella città mancavano le luminarie e gli addobbi luminosi delle vetrine: probabilmente ci sono luci di cui si può fare a meno, perché la luce servirà per vedere e non per farsi vedere. Allo stesso modo la mancanza di carburante potrebbe spingerci a usare di meno le auto private e di più i mezzi pubblici. Un futuro e per ora impossibile nuovo governo greco – nuovo davvero – potrebbe decidere di convertire in tempi rapidi le fabbriche affinché producano impianti per le fonti rinnovabili e di cogenerazione, mezzi di trasporto collettivi e a basso consumo. In fondo durante la guerra i governi di tutti i paesi europei erano riusciti a convertire gran parte delle loro industrie per sostenere lo sforzo bellico; bisognerebbe fare lo stesso in tempo di pace. Il governo potrebbe promuovere nuovi interventi edilizi per eliminare la dispersione energetica e definire delle politiche per una più efficace e compatibile gestione degli orari. Un discorso analogo si potrebbe fare per quel che riguarda l'approvvigionamento alimentare: il futuribile governo greco potrebbe sostenere una conversione dell'agricoltura che sia meno dipendente dal petrolio, favorendo anche un'alimentazione meno dipendente da derrate importate. Uno sforzo del genere, fortemente innovativo, potrebbe coinvolgere tante famiglie e potrebbe cambiare l'aspetto del paese, che soffre da troppo tempo di incuria e di abbandono; ricorderete certamente gli incendi che ciclicamente distruggono quel paese, così come le piogge stanno piegando tanti territori italiani. Il sempre più futuribile governo greco potrebbe avere un programma che preveda interventi sul patrimonio edilizio inutilizzato, sul ciclo di vita dei materiali e sulla diminuzione dei rifiuti, con interventi che riducano gli sprechi e producano occupazione di qualità. Magari si potrebbero anche fare dei debiti – che non sono il male in sé, ma sono pericolosi solo quando si sa di non poterli onorare – per finanziare scuola, università, servizi sanitari efficienti. Forse questa è un'altra soluzione possibile, anche se ora nessuno ha il coraggio di proporre un programma elettorale con proposte del genere; comunque, nonostante la sua carica utopistica, è un programma meno irrealistico e folle dell'idea di affidare alla liberalizzazione dei servizi e dei rapporti di lavoro, in una parola al mercato nella sua sfrenatezza, la ripresa di una crescita che sottragga la Grecia al cappio del debito e della crisi.

1 commento:

  1. devo dire che è un'analisi circostanziata. La sottoscrivo, anche perché propone una soluzione, non sono un'analisi. E poi, Luca, condivido anche io il pensiero verso la Grecia, la culla della nostra civiltà...

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