domenica 15 aprile 2012

Considerazioni libere (280): a proposito di bisogno di giustizia...

Chi legge con qualche assiduità queste mie "considerazioni" - ma anche un lettore occasionale - sa bene che non ho alcuna simpatia verso la Lega nord, un partito di destra e xenofobo, il cui leader ha dato un grande contributo alla scadimento della vita politica italiana. Detto questo mi stupisce un fatto: praticamente ogni giorno una diversa procura italiana apre un nuovo fascicolo su un qualche esponente di quel partito; ormai abbiamo perso il conto delle indagini in corso. Provo a fare due ipotesi. O quei fascicoli erano già "pronti", magari istruiti a seguito di denunce ed esposti di qualche ex-militante, ma venivano prudentemente tenuti "chiusi", perché la Lega era al governo e leghista era il ministro dell'interno. O quei fascicoli sono stati frettolosamente aperti, per seguire un facile consenso, perché una caratteristica dell'Italia, un vero e proprio "carattere originario" del nostro paese, è quello di essere ossequiosi verso il potente di turno, per poi maramaldeggiare quando questo sia caduto. Propendo per la prima ipotesi, visto che da tempo, almeno qui in Emilia-Romagna, terra di recente "conquista" per il Carroccio, si rincorrevano voci su una cattiva gestione del partito, tanto da esserci continue espulsioni e commissariamenti. Ad ogni modo, questo non getta una buona luce sulla presunta indipendenza della magistratura inquirente italiana e sull'obbligatorietà dell'azione penale.
Ieri è stata emessa la sentenza - a questo punto quella definitiva, mi pare di capire - sulla strage del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia. Gli imputati sono stati tutti assolti, anche chi ha da tempo preferito una più sicura latitanza, e le parti civili, ossia i familiari delle vittime, sono state condannate al pagamento delle spese processuali. Non ci sono ormai più parole per descrivere lo sdegno civile per queste sentenze che si susseguono nella storia di questa, come di tutte le altre stragi italiane. In questa sede non posso addentrarmi in una storia processuale così complicata e probabilmente a questo punto la sentenza non poteva essere che di assoluzione. Le forze che hanno lavorato, fin da subito, per impedire di raggiungere una verità processuale erano potenti e ben ramificate all'interno delle istituzioni, dalla politica alle forze dell'ordine, passando per i servizi segreti. Certamente molti magistrati, alcuni per dolo, altri per incompetenza, molti altri per pedissequa accettazione dell'opinione dominante, hanno contribuito con efficacia a questa opera di sistematico depistaggio, aiutati da un sistema bizantino e cavilloso che favorisce ogni tipo di abuso.
Concludo con una notizia di un paio di settimane fa. La procura di Milano ha accusato, con prove schiaccianti, un magistrato calabrese di essere sostanzialmente a disposizione della 'ndrangheta. Pochi mesi prima lo stesso magistrato, su cui anni fa c'erano state altre indagini conclusasi con un provvedimento disciplinare, aveva avuto una promozione, in pratica automatica e poi ratificata dal Csm, legata unicamente alla sua anzianità di servizio.
Riportando queste notizie non voglio alimentare il qualunquismo ormai dilagante - e che temo sarà premiato alle prossime elezioni - ma mettere alcuni punti fermi su una questione centrale per la democrazia italiana. Nel ventennio che ci siamo lasciati alle spalle, dominato dalla figura di B., la polemica sulla giustizia è stata un elemento caratterizzante del dibattito politico: l'imputato B. ha cercato in ogni modo di limitare l'indipendenza del potere giudiziario, cercando in particolare di separare magistratura giudicante da magistratura inquirente e sottoponendo quest'ultima al potere esecutivo, e naturalmente i magistrati hanno cercato in ogni modo di resistere a questi attacchi, anche uscendo in qualche caso dalle prerogative e dai limiti costituzionali. Nel clima manicheo di quegli anni o si stava con B. o si stava con i magistrati. Io - che non sono mai stato con B.  - devo ammettere che questa polemica, così accesa, non ha aiutato la causa della magistratura. In Italia la giustizia non funziona e continuare a negarlo è un problema. Peraltro gli investitori internazionali seri - e non quelli che parlano per compiacere Monti & Co - spiegano che uno dei motivi per cui non investono in Italia è proprio il cattivo funzionamento della giustizia, molto più che i presunti limiti ai licenziamenti imposti dall'art. 18. Di fronte a qualunque critica i magistrati si limitano, in maniera corporativa - come fanno i taxisti - ad alzare le barricate, mettendo tutti a tacere citando Falcone, Borsellino e tutti gli altri magistrati che per questo paese, e per la giustizia, hanno sacrificato la vita. Fanno come quelli che impediscono si critichi la politica israeliana, sbandierando la Shoa. Se vogliono essere la coscienza critica di questo paese - e sa il cielo quanto bisogno di coscienza abbiamo bisogno noi italiani - i magistrati devono cominciare a riconoscere gli errori di una parte di loro. Dovrebbero fare lo stesso i giornalisti, i professori universitari, i medici, gli avvocati, ma francamente non siamo pronti per una tale rivoluzione, ma dai giudici abbiamo il diritto di pretenderlo con maggior forza. Io capisco bene che c'è una parte del paese - non minoritaria - che non ama le regole e quindi non ama chi quelle regole è chiamato a farle rispettare e soprattutto che c'è ancora chi - magari in maniera meno rozza di B. e dei suoi avvocati - cerca di limitare il potere autonomo della magistratura, ma finché non ci sarà da parte dei magistrati questa opera di verità, finché continueranno su questa strada, non troveranno molti alleati, saranno sempre una delle tante "caste" italiane, in perenne conflitto con le altre. Tanto più in questi tempi in cui tanti diritti sono sotto attacco, noi abbiamo bisogno di una magistratura seria, credibile e autorevole, perché da sempre sono gli ultimi ad avere più bisogno della giustizia, ad avere bisogno che i loro diritti vengano difesi.

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