sabato 17 novembre 2012

Considerazioni libere (320): a proposito di manifestazioni...

Lo ammetto: per antico pregiudizio - diventato ormai una sorta di riflesso pavloviano - tra manifestanti e forze dell'ordine parteggio sempre per i manifestanti; sarà che nella vita mi è capitato di partecipare a molte manifestazioni e che, a volte, ho anche contribuito a organizzarle. Sono sempre stato un manifestante pacifico e il massimo della mia trasgressione immagino siano stati alcuni slogan non proprio edificanti e inutilmente offensivi: comunque non ho mai picchiato nessuno né sono stato picchiato, anche se una volta mi sono trovato in una situazione molto tesa, a Roma, quando una parte dei manifestanti contestava la presenza del mio partito, e del suo segretario, nel corteo. Mi è stato insegnato che manifestare, protestare, scioperare è un diritto fondamentale che noi cittadini abbiamo in democrazia - uno dei più importanti che abbiamo - e proprio perché è così importante lo dobbiamo utilizzare nel rispetto dei principi democratici e dei valori che sono scritti nella nostra Costituzione. A volte la nostra protesta può anche prevedere di non rispettare una qualche legge, se riteniamo che quella legge non sia giusta e non sia rispettosa dei principi fondamentali in cui crediamo e per cui ci battiamo. A queste regole mi sono sempre attenuto e i miei giudizi si basano su questo, quindi non condivido in nessun modo e condanno quelli che partecipano alle manifestazioni soltanto per alzare il livello dello scontro, come si diceva una volta.
Ho rispetto per chi contribuisce, con il proprio lavoro, a far sì che le manifestazioni si svolgano in maniera ordinata e non faccio fatica a riconoscere che negli scorsi anni ho avuto l'opportunità di conoscere funzionari - e funzionarie, anche in questo c'è uno specifico femminile - della polizia molto capaci, dall'altissima sensibilità democratica; con alcuni di loro è stata una fortuna poter "lavorare", seppur con ruoli e compiti assolutamente diversi, per garantire la sicurezza di manifestazioni e iniziative politiche. Detto questo, il mio rispetto scende vertiginosamente man mano che si sale per le scale gerarchiche del Viminale. Pesa sulla storia dell'Italia repubblicana una notevole difficoltà - per alcuni di noi l'impossibilità - a fidarsi delle forze dell'ordine o quantomeno delle persone che in questi sessant'anni sono state chiamate a guidarle. Gli esempi positivi, le persone che hanno fatto e fanno il loro dovere, gli eroi che ci sono stati tra carabinieri e polizia non ci possono far dimenticare che per molto tempo la maggioranza di coloro che hanno guidato queste istituzioni si sono posti in modo ambiguo, se non apertamente conflittuale, nei riguardi della democrazia e delle istituzioni repubblicane. Negli anni sessanta i tentativi di colpo di stato che ci sono stati in Italia hanno sempre avuto come protagonisti comandanti dei carabinieri, negli anni settanta poliziotti e carabinieri, insieme a quelli dei servizi segreti, hanno avuto un ruolo determinante nella cosiddetta strategia della tensione, per molti anni i vertici delle forze dell'ordine hanno fatto parte di un'organizzazione eversiva come la P2: per tutti questi motivi, per un italiano come me non è facile fidarsi delle forze dell'ordine, perché questa storia pesa come un macigno sulla storia del nostro paese e soprattutto pesano le menzogne, i tentativi - spesso maldestri - di nascondere la verità. I maggiori pericoli per la democrazia in Italia sono venuti da una parte dello stato e questo è per me inaccettabile. Purtroppo questa frattura non è stata sanata in questi ultimi anni, in cui pure molte cose sono cambiate nel quadro politico e sociale del paese. Considero gravissimo che il capo della polizia che ha gestito nel modo che sappiamo il G8 di Genova non solo non sia stato allontanato da quel ruolo, ma anzi abbia fatto una così inarrestabile carriera, sostenuto, in maniera ugualmente ipocrita e vigliacca, da entrambi gli schieramenti che in questi anni si sono alternati alla guida del paese. Poi ci dobbiamo sempre aggiungere un po' della nostra tipica cialtroneria italica: le giustificazioni del questore di Roma per i lacrimogeni fatti cadere sul corteo dalle finestre del ministero della giustizia sono una perla di questa incompetenza, tipica purtroppo di troppi alti funzionari del nostro paese. Su quello che è avvenuto mercoledì scorso, un funzionario capace avrebbe dovuto cercare di spiegare quello che è successo in via Arenula, invece il questore Della Rocca ha avuto la bella pensata di tirar fuori la storia dei lacrimogeni rimbalzanti: questo rende sempre più lontani le forze dell'ordine e una parte del paese. Abbiamo bisogno di poterci fidare di chi è ha il compito di tutelare la nostra sicurezza e di chi ha la funzione di esercitare, in maniera legittima, la forza; è un tema questo che dovrebbe preoccupare prima di tutto chi fa questo lavoro, i bravi poliziotti e i bravi carabinieri - le cui condizioni di lavoro sono sempre più difficili - e mi auguro che su questo si apra una discussione ampia nel paese, a cui tutti dovremmo partecipare, liberandoci finalmente dei nostri pregiudizi, i miei compresi.
Al di là di questa particolarità tutta italiana, c'è un problema democratico che coinvolge non solo il nostro paese. Innegabilmente in questi ultimi anni i governi italiani - sia quello populista e di destra di B. sia quello conservatore ed europeo di Monti - hanno deciso di adottare una linea dura con i manifestanti, in Val di Susa come a Roma, con gli studenti come con gli operai. Si tratta evidentemente di un problema non solo italiano, ma di una tendenza che coinvolge i grandi paesi europei e gli Stati Uniti. Abbiamo visto con quali metodi la polizia di New York ha sgombrato i manifestanti di Occupy Wallstreet. In questi mesi la polizia spagnola e quella greca, sotto i governi guidati dal centrodestra, hanno mostrato un volto duramente repressivo che, per fortuna, in Italia non abbiamo ancora visto a questo livello. Anche per impedire questa deriva sarebbe necessario avviare quel dibattito pubblico di cui parlavo prima. Mi preoccupa che in paesi come questi - e come il Portogallo - dove la democrazia è una conquista recente e le dittature fasciste sono un ricordo ancora fresco, le forze di polizia stiano subendo questa involuzione; ad esempio dovrebbe far riflettere tutta l'Europa il fatto che Alba dorata stia diventando il primo partito tra i poliziotti di Atene. Ad ogni modo la linea dei nostri governi è chiara: al di là di una certa soglia - che tende a diventare sempre più bassa - il dissenso è scarsamente tollerato e quindi diventa necessario un "intervento" per far capire chi comanda. Di fronte a una parte del paese che protesta chi ha il potere non cerca di capire le ragioni, più o meno legittime, di queste proteste, ma si chiude a riccio; in questo Monti non è diverso dagli altri politici europei.
In Europa assistiamo così a questo doppio fenomeno: da un lato crescono e si rafforzano movimenti populisti, di deriva prettamente fascista - come in Grecia, in Francia o il berlusconismo in Italia - o di stampo neoqualunquista, con una forte base di sinistra, un radicamento locale e una notevole penetrazione nella rete - come il grillismo ancora in Italia, che evidentemente è sempre terreno fertile per questo tipo di fenomeni; dall'altro lato cresce la tentazione tra i governi e le classi dirigenti di una risposta autoritaria. In mezzo tra queste due pulsioni, che sono apparentemente - ma solo apparentemente - in contrasto, rimane schiacciata la protesta di sinistra, politica e sindacale, che infatti fa sempre più fatica a far sentire la propria voce. Mercoledì 14 novembre eravamo in piazza in molti, c'erano i lavoratori, più o meno precari - anche se ormai rischiamo di esserlo tutti, perfino noi pubblici, i "garantiti" per eccellenza - e c'erano i cittadini che pagano duramente gli effetti di questa crisi; c'era lo sciopero europeo convocato dalla Confederazione Europea dei Sindacati e in Italia dalla sola Cgil. Di questo sciopero, importante almeno dal punto di vista simbolico, perché il primo veramente europeo, non si è praticamente parlato. Nella mia città, Parma, abbiamo fatto un corteo, forse fin troppo silenzioso e senza slogan, fino alla sede dell'Efsa e contemporaneamente c'è stato un corteo, oggettivamente più vivo e animato, degli studenti. Francamente non ho capito per quali motivi - credo politici più che organizzativi - non sia stato possibile unire le due manifestazioni, ma comunque alla sera la televisione locale più seguita, controllata dalla locale Confindustria, ha dato soltanto le immagini degli studenti, in particolare di quelli che hanno imbrattato le vetrine di un paio di banche. Anche contro questa cultura dominante dobbiamo combattere e non è certo facile. Per l'Italia la giornata del 14 novembre è stata le manifestazioni violente degli studenti, le reazioni delle forze dell'ordine e le dichiarazioni roboanti del tribuno di turno, che ha inneggiato alla "guerra". Abbiamo bisogno di dire che un'altra opzione è possibile, un'opzione in cui manifestare sia legittimo e non solo tollerato, in cui sia possibile manifestare e far sentire la propria voce, senza dover neppure dar inizio a momenti di violenza - che in genere non si riescono né ad arginare né a fermare - e in cui sia possibile manifestare in maniera sicura.

1 commento:

  1. Il problema non sono però i singoli poliziotti, che spesso sono malpagati e ragazzi che vivono momenti di tensione a cui non hanno deciso di partecipare, ma il Potere come espressione della violenza. Però è innegabile che queste manifestazioni sono inquinate da professionisti delle manifestazioni, da gente con caschi e dal volto coperto che creano situzioni di scontro. Temo che per molti oggi colpire la polizia significhi colpire lo Stato. Ma questa strategia fa il gioco del potere.
    Diciamo che stare a prescindere contro le forze dell'ordine è un'idea poco moderna e anacronistica. Pure io preferisco i manifestanti, ma non a prescindere...

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