martedì 29 gennaio 2013

Considerazioni libere (334): a proposito di finanza e di lavoro...

Ammetto che il dibattito politico-giornalistico di questi giorni sul Monte dei Paschi di Siena non mi sta particolarmente coinvolgendo: ho l'impressione che sia l'ennesima "arma di distrazione di massa", ossia un modo per non farci parlare di altri problemi. Meglio che l'opinione pubblica continui a parlare dell'Imu, meglio che continui a parlare di Mps, la cosa importante è continuare a non parlare del lavoro, di quello che c'è, precario e sottopagato, e di quello che con non c'è, e soprattutto non bisogna mai mettere in una qualche relazione le parole "lavoro" e "diritti". Comunque dell'ultimo caso non mi appassionano in particolare il balletto delle accuse, visto che ognuno dei tre schieramenti cerca di scaricare le responsabilità su gli altri due, e i toni sempre più enfatici di questa discussione; credo ad esempio che Bersani potesse risparmiarsi quel "li sbraniamo", mi pare che il segretario del Pd sia più a suo agio con le metafore contadine, come quella - finora insuperata - del tacchino sul tetto. Eppure la vicenda Mps è molto istruttiva e avrebbe potuto essere l'occasione per affrontare - almeno dalle parti della sinistra, a cui questo tema dovrebbe competere per statuto - una riflessione sull'economia italiana, e non solo italiana. Partiamo da un dato: il valore dei derivati sui mercati finanziari sta salendo costantemente - nonostante la crisi, provocata proprio da questi prodotti finanziari - ed è arrivato a superare di nove volte il pil mondiale. Con queste proporzioni - lo ripeto, nove a uno - è naturale che la finanza "malata" continui a inquinare l'economia reale. Molte volte ho già denunciato un sistema che produce ricchezza in gran parte attraverso il denaro, lo scambio del denaro, gli interessi sul denaro, le scommesse sul denaro e che di conseguenza poco si interessa delle cose prodotte, ossia della ricchezza che nasce dal lavoro. In una società se non c'è lavoro non può esserci benessere: sembra una regola elementare, quasi lapalissiana, eppure è in gran parte dimenticata.
Passando dal globale al locale, o meglio al municipale, è molto significativo quello che è successo in questi anni a Siena, e per qualche verso anche istruttivo. Il Monte dei Paschi è una realtà bancaria molto particolare, legata a filo doppio alla città in cui quell'istituto è nato, cresciuto e prosperato. Proprio perché il Monte è una realtà ecumenicamente cittadina, tutti, da sinistra a destra, hanno condiviso le sorti di quell'istituto: tutti i partiti dell'arco costituzionale della prima repubblica - a differenza del sistema delle casse rurali, feudo rigorosamente democristiano - tutti i partiti della seconda repubblica, la massoneria, la curia senese, i professionisti e gli industriali, l'università. E proprio per questo è significativo che in quel micro-laboratorio, in quello specchio dell'Italia, di un'Italia ricca, di un'Italia provinciale che funziona, che produce, che sa fare rete - da molte altre parti di questo paese non è così - non si sia levata per tempo una voce critica su quello che stava succedendo. D'altra parte era difficile che succedesse, che qualcuno si alzasse in piedi per dire che forse la strada era sbagliata, perché l'ultraliberismo è progressivamente diventato mainstreaming, come dicono quelli che parlano bene, o l'ideologia del pensiero unico, come continuiamo a dire noi vecchi "sinistri". L'idea che il mercato sia un'entità positiva - la sola positiva - che ha in sé la forza di correggere i propri errori è stata la base dell'ideologia reaganiana degli anni Ottanta ed è ancora oggi la tesi di fondo che anima un appuntamento come quello di Davos e soprattutto che influenza coloro che prendono le decisioni, chi guida le autorità finanziarie internazionali, da Draghi a Lagarde, e Trichet e Strauss Kahn prima di loro.
Come sia riuscita questa idea a permeare in maniera così pervasiva la sinistra europea è un tema su cui si dovranno esercitare gli storici, per ora dobbiamo accettare questo dato di fatto. Negli anni in cui tutti - faccio ammenda perché in quegli anni anch'io ho contribuito, nel mio piccolissimo, a questa deriva - ragionavamo della cosiddetta "terza via", in cui veniva prospettato il superamento della divisione novecentesca tra destra e sinistra, in cui si diceva che il centrosinistra avrebbe dovuto trovare il modo di coniugare i propri valori tradizionali con quelli del mercato, come potevano i compagni di Siena immaginare uno schema diverso. La banca cresceva e tutti erano contenti, perché gli unici numeri a cui si badava - e si bada purtroppo - sono gli utili finanziari. Progressivamente il Monte è diventata una banca tra le banche, né migliore né peggiore delle altre, e come le altre ha utilizzato tutti i sistemi per accrescere il proprio patrimonio. Nessuno si è più posto il problema se questi mezzi fossero più o meno leciti, perché il pensiero imperante spiegava - e spiega - che tutti i sistemi sono leciti, pur di ottenere il risultato. E anche adesso mi pare che si accusi Mussari non tanto di aver utilizzato i derivati, ma di averlo fatto male. Mussari si è dimesso perché, per imperizia o per eccesso di ambizione, si è fatto scoprire e molti suoi colleghi di questo lo accusano, non di un sistema che anch'essi quotidianamente utilizzano, su cui lucrano e che permette loro di ottenere ricchi dividendi e stipendi stratosferici. Naturalmente una banca per sua natura non produce "cose", ma dovrebbe avere come obiettivo di far crescere la ricchezza "reale", favorendo chi produce e chi lavora, prestando loro denaro; temo che questo obiettivo non sia tra le priorità di una banca, qualsiasi essa sia. Su questo dovremmo cominciare a interrogarci, al di là di qualche sparata propagandistica sui banchieri che sono tutti ladri o sulla banche da nazionalizzare.
In questi giorni la Cgil ha presentato il suo Piano del lavoro. E' un documento importante, ricco di spunti, a volte un po' involuto - perché il "sindacalese" ha fatto forse più danni del "politichese" - con qualche mancanza - ad esempio si dovrebbe ragionare di più, anche con i numeri, su qual è il giusto e degno stipendio - ma comunque è fondamentale che ci sia. Da qui dobbiamo partire adesso per una riflessione compiuta su questo tema. Ci sono proposte, ci sono numeri e tabelle, non è riassumibile in slogan o in tweet e quindi la sua presentazione non è riuscita a diventare una notizia. I giornalisti inviati alla conferenza programmatica si sono limitati a fare un po' di colore sugli interventi di campagna elettorale dei politici presenti, stilando una sorta di classifica su chi è più o meno vicino alle posizioni del sindacato di Susanna Camusso. Il problema, al di là della difficile comunicabilità del testo, è che per molti questo approccio è spiazzante, praticamente impossibile da recepire, perché, al di là delle singole proposte, il documento dice che il re è nudo, che non è più possibile accettare la logica ineluttabile del capitalismo e dei mercati; questo è per molti una cosa incomprensibile, è una cosa, ad esempio, che il Pd non riesce più - e temo non voglia - fare.
Sul lavoro e su qualcosa che si produce grazie al lavoro, in questi giorni c'è stata un'altra notizia, che non ha goduto di particolare attenzione, come invece avrebbe meritato. Per fortuna ne ha parlato Adriano Sofri, in uno dei suoi molti articoli, mai banali, sulla situazione di Taranto. La notizia è che all'Ilva, nonostante la produzione di acciaio si mantenga poco al di sotto di quanto previsto dall'Aia - ossia sui 7 milioni di tonnellate rispetto a 8 - i dati dell'inquinamento sono sotto controllo: da settembre dell'anno scorso non ci sono più stati superamenti nelle emissioni di pm10. Il merito di questo risultato è il rispetto delle regole. Infatti da quando l'azienda è diretta dai custodi nominati dal tribunale e non più dai manager dell'Ilva si rispettano le regole di produzione e questo comporta una decisa diminuzione dell'inquinamento. Questo risultato non dipende da quanto si produce, ma da come lo si fa: infatti nel 2009, quando la produzione è stata dimezzata, arrivando a 4,5 milioni di tonnellate, non c'è stata una significativa dimunizione delle emissioni delle polveri inquinanti, perché non si cambiarono i metodi di produzione. Nell'articolo di Sofri uno degli operai fa un esempio che chiarisce molto bene la situazione: 

Mettiamo che per svuotare un convertitore siano prescritti 4 minuti e tu lo faccia in 30 secondi. Immagina di versare birra in un bicchiere: se la versi velocemente, la schiuma cresce e finisce fuori. L'acciaio non è diverso dalla birra, a parte le conseguenze.
Questi dati dimostrano che non è un'utopia coniugare produzione e rispetto della salute e che non è necessario mettere i lavoratori dell'Ilva e le loro famiglie di fronte a una scelta netta: o il lavoro o la salute. Come ha rilevato lo stesso direttore dell'Arpa pugliese questa notizia - una buona notizia, finalmente - non è piaciuta ovviamente ai Riva, perché mette ancora più in luce le loro responsabilità, ma non è piaciuta neppure a chi ideologicamente pensa che l'acciaieria debba chiudere, senza se e senza ma. I custodi, per mancanza di tempo e soprattutto di risorse, non sono riusciti neppure ad avviare i grandi lavori strutturali - che pure rimangono necessari - come la copertura della cokeria, ma i dati dimostrano che basta rispettare le regole che ci sono e che gli industriali non vogliono accettare, perché una produzione più veloce significa un maggior guadagno per loro, a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, che è un costo sociale di cui naturalmente non vogliono farsi carico. Come nella vicenda del Monte dei Paschi - per questo ho voluto mettere insieme queste due notizie - siamo di fronte a un esempio "normale" di ultraliberismo e non a un fenomeno patologico, come qualche commentatore interessato vorrebbe farci credere. Ancora una volta è da qui che dobbiamo partire, dal radicale e rivoluzionario cambiamento di questo stato di cose.

2 commenti:

  1. Condivido la tua analisi, comprovata da dati di fatto inequivocabili.
    Vorrei soltanto aggiungere una piccola considerazione tutta interna al sistema bancario Italiano. Occorre tornare alal Storia di questo paese. Nel 1930 fu promulgata una legge, soprannominata da allora semplicemente come -La legge Bancaria- che stabiliva una nettissima separazione fra l'esercizio del credito (raccolta e impiego a favore delle attività economiche) da una parte e BANCHE DI INVESTIMENTO dall'altra. Il principio era non voler più mischiare le due attività per evitare le colossali bancarotte di fine anni '20.
    Questo perchè? Perchè era universalmente noto che mischiare le due attività era assai pericoloso poichè la Banca d'investimento tende ad assorbire quante più risorse possibili per sottrarle all'altro ramo di attività(quello che finanzia le piccole e medie imprese e i privati).
    Lo si sapeva e si promulgò quella legge appositamente per evitare che si avessero a ripetere certi episodi di cattiva gestione. Un altro paletto fondamentale era impedire che una Banca assumesse azioni di una società privata entrando in palese conflitto di interesse con se stessa in quanto banca. Perchè è evidente che se detieni il controllo di una azienda non potrai mai trattarla al pari di un altra azienda che vai ad affidare... Si innescherebbero meccanismi di favore e di mancata trasparenza. Bene, tutto questo sistema di pesi e contrappesi di paletti e vincoli è stato spazzato via dalla legge...indovinate di chi? La legge del '92 che ha di fatto liberalizzato il mondo bancario porta il nome del suo propugnatore e si chiama TARATATAAAA: LEGGE AMATO!
    Quel distinto signore che si fa bello e si vanta di essere un grande innovatore (l'antesignano dell'attuale Pietro Ichino insomma)e insegna perfino Diritto Costituzionale! e ha avuto una miriade di incarichi negli ultimi 20 anni. Bene da allora le Banche italiane sono state libere di investire di assumere partecipazioni azionarie e di esercitare loro stesse le funzioni di Banca d'investimento e di entrare in ogni tipo di speculazione finanziaria. Questo perchè?
    Perchè si è voluto sancire che l'unica MISSION della Banca sia il profitto e l'utile da distribuire agli azionisti (le fondazioni principalmente) perdendo completamente di vista la funzione sociale e "morale" aggiungo io di queste importanti strutture che chiamamo Istituti di Credito.
    Ora perchè nessuno va a tirare la giacchetta di questo "genio" di Giuliano Amato? Perchè non si studia la storia anche recente per vedere chi ha davvero "cappellato! Io ho votato e voterò sempre a Sinistra ma quando vedo da che persone è "infiltrata" mi incazzo come una bestia!
    Ma si può essere tanto babbei? E Bersani che risponderebbe se gli venisse fatto proprio questo tipo di ragionamento?
    Ma che razza di Sinistra vuoi incarnare se non sai cogliere e ammettere la miriade di errori compiuti? Per Bersani vale il motto:dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!
    Un caro saluto.
    Carlo

    p.s.
    non ho riletto, scusami eventuali errori di digitazione

    RispondiElimina
  2. passo per ringraziare della visita

    RispondiElimina