giovedì 25 luglio 2013

da "I miei sette figli" di Alcide Cervi

Il 25 luglio 1943 eravamo sui campi e non avevamo sentito la radio.
Vengono degli amici e ci dicono che il fascismo è caduto, che Mussolini è in galera. E' festa per tutti. La notte canti e balli sull'aia. Dovevano cadere così. Sembrava chissà che, e sono caduti con uno scherzetto. Ma è perché mentre loro parlavano di impero e costruivano propagande, il popolo faceva come Forbicino, e tagliava tagliava, finché tutto il castello era posato sull'aria, e molti non se ne accorgevano, e dicevano: che bel castello. E invece era tutta finzione e vergogna.
Facciamo subito un gruppo di contadini e andiamo a Reggio, per la strada tutti si aggiungono e la colonna diventa un popolo. Ognuno sembrava che aveva vinto lui, e questa era la forza. Ci sentivamo tutti capi di governo.
Arriviamo sotto le carceri di San Tommaso e chiediamo la liberazione dei fratelli antifascisti. Si aprono le porte ed escono i patiti, i sofferenti, i testardi antiregime, i controcorrente, quelli insomma che avevano misurato col cervello dove andava veramente la corrente sotto l'increspata. Hanno barbe e occhi frizzanti, ci abbracciano e sono tuttossa, altri invece sono grassi e acquosi, andati a male nel buio. Ma il piacere è breve, perché bisogna pensare alla situazione. E' Aldo che ci ricorda la frase di Badoglio: "la guerra continua a fianco dei tedeschi". I rospi verdi infatti ci guardano da fermi e sembra che aspettino. Ma è pure Aldo che ci dice di far esplodere la contentezza, intanto si vedrà. E propone: - Papà, offriamo una pastasciutta a tutto il paese.
- Bene - dico io - almeno la mangia.
E subito all'organizzazione. Prendiamo il formaggio dalla latteria, in conto del burro che Alcide Cervi si impegna a consegnare gratuitamente per un certo tempo quanto basta. La farina l'avevamo in casa, altri contadini l'hanno pure data, e sembrava che dicesse mangiami, ora che il fascismo e la tristizia erano andati a ramengo. Facciamo vari quintali di pastasciutta insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case intorno alle caldaie, c'è un grande assaggiare la cottura, e il bollire suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le putele, e dicevo: beati loro sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del Popolo. Io sono vecchio e per me questa è l'ultima domenica.
Ma intanto la pastasciutta è cotta, e colmiamo i carri con i paioli. Per la strada i contadini salutano, tanti si accodano al carro, è il più bel funerale del fascismo. Un po' di pastasciutta si perde per la strada per via delle buche, e i ragazzoli se la incollano sotto il naso e sui capelli. Arriviamo a Campegine tra braccia di popolo e scarichiamo la trattoria. Uno dice: mettiamoli tutti in fila, per la razione. Nando interviene:- Perchè? Se uno passa due volte è segno che ha fame per due.
E allora pastasciutta allo sbrago, finché va. Chi in piedi e chi seduto, il pranzo ha riempito la piazza grande, e tutti fanno onore alla pastasciutta celebrativa. Ma si avvicinano i carabinieri, e vogliono disperdere l'assembramento. Gelindo si fa avanti e dice: - Maresciallo, rispondo io di tutta questa gente. Accomodatevi anche voi. E i carabinieri si mettono a mangiare.

1 commento:

  1. hei Billi .... di questa umanità ne ho vista tanta anche nei '70 ;-)
    Grazie

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