lunedì 2 settembre 2013

Considerazioni libere (375): a proposito della parte da cui stare...

Probabilmente c'era un qualcosa di eccessivamente schematico nell'abitudine dei politici di sinistra di cominciare le proprie analisi dal contesto internazionale, anche quando poco c'entrava con l'argomento principale del loro discorso; era una sorta di topos della loro - e nostra - retorica di qualche tempo fa. E indubbiamente, almeno fino all'89, quando il mondo era ancora diviso in due, era un po' più semplice decidere da che parte stare; noi tendenzialmente stavamo dall'altra parte rispetto agli Stati Uniti, perché chi stava contro gli Stati Uniti tendeva a definire se stesso di sinistra. So di aver banalizzato troppo e me ne scuso; riconosco che forse è un bene che sia passata questa sorta di sbornia internazionalista - che ci ha fatto commettere degli errori, ad esempio su Cuba - ma trovo molto più imbarazzante la totale afasia che ha colpito in questi anni il sedicente centrosinistra italiano ed europeo sulle questioni di politica estera. Eppure sono accaduti diversi fatti significativi, alcuni quasi certamente destinati ad avere conseguenze sul futuro, fatti insomma che si possono definire storici, aggettivo per altro abusato, visto che è usato per fatti di cronaca di cui ci siamo già dimenticati o per avvenimenti assolutamente secondari, tipo la nascita del Pd. Nonostante si sia trovato in mezzo alla storia, il centrosinistra "istituzionale", quello dei partiti e dei governi, non ha sviluppato una propria visione internazionale; il fenomeno purtroppo non è solo italiano, dove peraltro la degenerazione è molto più grave che nel resto d'Europa, visto che ormai solo uno sciocco o un battutista - o un battutista sciocco come Renzi - possono ancora definire l'ex-Pd un partito di centrosinistra. Mi pare però che il problema riguardi tutti noi, ossia anche la sinistra sparsa o gli "esodati della sinistra" - come mi piace chiamarci - e quindi il tema merita una qualche riflessione in più. Non si tratta solo dell'acquiescienza dei partiti del centrosinistra all'ideologia capitalista dominante, è una nostra difficoltà a leggere e interpretare quello che avviene nel mondo e che ci impedisce di dire con nettezza da che parte stiamo. 
Proviamo a guardare a quello che è successo in queste ultime settimane in Egitto: la partita si gioca tra il tradizionalismo conservatore e religioso dei Fratelli musulmani e il nazionalismo laico e capitalista dell'esercito, erede di Mubarak. E' una contrapposizione che ritroviamo in gran parte di quella regione, come in Tunisia, anche se talvolta gli elementi sono combinati in maniera differente: in Turchia, ad esempio, è l'islamico Erdogan a sostenere i "valori" del turbocapitalismo. In Siria non è chiaro quale delle due parti difenda questa ideologia e forse è per questo che così a lungo è stato procrastinato l'intervento occidentale e arriverà solo adesso. Stante così le cose, è evidente che è impossibile per noi "sinistri" prendere posizione sulla controrivoluzione egiziana. Manca in Egitto, e non solo lì - ad esempio manca in Siria - l'alternativa radicale di sinistra, come se, con la caduta dei regimi comunisti nell'89, due secoli di idee di sinistra - a partire dalla rivoluzione dell'altro '89 - fossero state cancellate. Questo è qualcosa a cui non dovremmo rassegnarci.
Mi pare che la contrapposizione tra liberalismo e fondamentalismo sia solo apparente e serva soprattutto a neutralizzare quella ben più importante tra liberalismo e sinistra radicale, un conflitto che si pretende sopito, anestetizzato, finito una volta per sempre con la fine del comunismo. Il liberalismo e la sinistra radicale, pur accettando che il quadro politico è articolato nello stesso modo, ossia tra destra populista, centro liberale e sinistra radicale, offrono due diverse opzioni del conflitto. Per il liberalismo il centro deve opporsi sia alla destra populista che alla sinistra radicale, che sono le due facce di una stessa medaglia, entrambe incapaci di accettare le "regole" dell'ideologia dominante; come è evidente considera più pericolosa la sinistra, visto che con la destra spesso cerca di trovare un accordo, in funzione di contenere le spinte di sinistra, come è accaduto in Italia con il fascismo prima e con il berlusconismo dopo. Naturalmente il centrosinistra istituzionale - lo ripeto, non solo in Italia - ha sposato in pieno questa prassi, che da noi si traduce nelle "larghe intese" e in Germania diventa große Koalition. Per la sinistra radicale il conflitto vero è tra se stessa e il liberalismo: sono questi i veri elementi in alternativa.
Nelle "primavere" arabe è mancata - anche per nostra responsabilità, visto che siamo così timidi a sostenere i nostri valori - la risposta di sinistra, anzi sono stati del tutto sottovalutati l'importanza e il peso dei fattori sociali. Di questo si è avvantaggiato il fondamentalismo. I talebani - la cui componente fondamentalista è manifesta - hanno preso il potere non tanto enfatizzando i temi religiosi,che anzi potevano allontanare la maggioranza delle persone in una prima fase, ma sfruttando le divisioni sociali di quei paesi; ad esempio controllano la regione pakistana dello Swat perché hanno avuto la capacità di farsi interpreti delle rivendicazioni dei lavoratori agricoli contro i latifondisti. Se gli Stati Uniti volessero davvero tagliare le gambe al fondamentalismo non dovrebbero limitarsi a uccidere questo o quel capo terrorista, ma potrebbero essere loro a eliminare queste forme feudali, che impoveriscono le popolazioni, dovrebbero proporre una vera riforma agraria, che preveda forme di redistribuzione delle terre; evidentemente un regime liberale, anche "illuminato" come quello di Obama, non può e non vuole affrontare questo tema. E allora dobbiamo affrontarlo noi. In una società prevalentemente agricola la proprietà della terra è un tema essenziale, ce lo dovrebbe insegnare anche la nostra storia.
L'ideologia liberista è riuscita con un certo successo - anche grazie alla complice inanità dei partiti del cosiddetto centrosinistra - a espungere le idee di sinistra dal dibattito politico occidentale e infatti si è affrettata a interpretare le "primavere" arabe come rivolte per i diritti politici e la democrazia, come rivoluzioni liberali, una sorta di seguito delle "rivoluzioni di velluto" che portarono allo sfaldamento dei regimi dell'Europa dell'est. In quel caso, ma soprattutto in questo più recente, hanno scientemente ignorato le istanze sociali che invece, in particolare per i giovani delle "primavere", sono state l'elemento scatenante. Il liberalismo è pronto a dare democrazia, anche perché sa che potrà in qualche modo controllarne i risultati, ma non è certo disponibile a concedere riforme economiche e sociali, perché queste sono ben più difficili da controllare. Purtroppo anche noi di sinistra non ci siamo sottratti a questa lettura, visto che l'ideologia liberalcapitalista è potente e pervasiva e dispone di aedi efficaci. Nessuno dei paesi in cui sono scoppiate le "primavere" era una democrazia, non lo sono mai state; la richiesta di giustizia sociale e la richiesta di democrazia si sono sovrapposte e l'ideologia mainstream ha fatto credere che la povertà fosse causata unicamente dalla corruzione dei regimi, che peraltro lei stessa aveva imposto. Non è vero e gli egiziani si stanno già accorgendo che la loro povertà non è colpa di Mubarak, ma del sistema capitalistico, tanto che è stato necessario fare una nuova "rivoluzione", per continuare a trovare un colpevole. La risposta per molti giovani egiziani sarà il fondamentalismo - come è in molti paesi occidentali la destra populista, ad esempio in Grecia - anche perché noi non abbiamo avuto la capacità di dire che può esserci un'altra risposta, avendo da almeno vent'anni abbandonato ogni ipotesi internazionalista. Per questo dobbiamo far sì che la rivoluzione continui; e continui con una chiara impronta di sinistra. In questo modo sarà facile capire da che parte stare, perché sarà la nostra parte. Naturalmente occorre prima di tutto essere convinti noi, aver chiaro qual è l'orizzonte di una battaglia che deve essere nostra; in questo credo che le "primavere" e quello che sta succedendo nel mondo possa essere un'opportunità anche per noi, per capire che non dobbiamo rinunciare a certi valori, a certe idee, a una certa idea di rivoluzione.

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