domenica 1 dicembre 2013

Verba volant (20): equità...

Equità, sost. f.

A dire il vero mi voglio occupare di una specie particolare di equità, quella sociale, ossia - secondo una definizione classica - il principio di giustizia sociale volto alla riduzione delle diseguaglianze attraverso azioni di salvaguardia dei diritti della persona, della dignità dei lavoratori e di contrasto alla vulnerabilità sociale.
Leggo che nelle università di Roma si vorrebbero istituire dei corsi di equità sociale.
Iniziativa lodevole, visto quanto è emerso dai controlli della Guardia di finanza sulle dichiarazioni Isee degli studenti degli atenei della capitale: il 62% sono risultate false ed irregolari.
Dal momento che queste dichiarazioni vengono presentate per richiedere borse di studio, sovvenzioni, sconti o per vedersi assegnare i posti letto, è chiaro che questi falsi poveri hanno sottratto le già scarse risorse destinate al diritto allo studio a chi di quei benefici ha davvero bisogno. A scapito dell’equità, quindi.
Dai dati delle Fiamme gialle emerge un dato curioso. In molti descrivono l’università italiana come fondamentalmente classista: a leggere queste dichiarazioni Isee pare sia proprio vero, ma non nel senso che abbiamo sempre pensato noi veterosinistri.
Sembra che gli studenti appartengano in maggioranza alla parte più povera della società: in Italia si sta realizzando il comunismo, senza i comunisti, un fenomeno finora sconosciuto alla scienza. Insomma sarebbe sfatata la diceria secondo cui i giovani medici sarebbero figli di medici, i giovani avvocati figli di avvocati e così via, per ogni ordine e camarilla in cui è divisa la società italiana: sarebbero invece tutti figli di pezzenti. Forse in parecchi sono figli di… ma sorvoliamo su questo punto evidentemente spinoso.
Pur ribadendo che condivido l’idea di questi corsi di equità sociale, mi piacerebbe proprio conoscere i nomi dei docenti chiamati a tenere queste lezioni; spero siano persone capaci, scelte per le loro competenze. Non ci crederete, ma succede a volte nelle nostre università che diventino professori i figli dei professori. O le mogli, o i cognati, o i cugini, o altri parenti alla lontana.
Forse saranno chiamati degli esperti dalla politica o dal mondo dell’impresa, ambiti in cui - come è noto - è particolarmente perseguito l’obiettivo dell’equità sociale.
Chissà poi quali saranno i testi adottati: succederà che i docenti di equità sociale faranno acquistare agli studenti i testi di cui sono autori o comunque pubblicati da qualche casa editrice amica? Pare succeda anche questo, a volte, nelle università italiane.
Una volta, uno che aveva una certa capacità di dire frasi ad effetto disse:
qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat.
Questa accusa non gli portò particolare fortuna, perché alla fine le pietre le tirarono a lui. Ora leggo che molti benpensanti si indignano verso questi giovani che hanno tentato di truffare lo Stato, dimenticando che questi giovani non sono alieni piovuti da qualche pianeta lontano, ma che sono i nostri figli e che probabilmente hanno imparato a far questo dai loro genitori.
Spesso in questo paese abbiamo avuto l’illusione di poter trovare soluzioni definitive, di arrivare a una sorta di palingenesi etica: quante volte abbiamo detto che bastava togliere la mela marcia dal cesto per salvare tutte le altre? Questa piccola storia di ordinaria corruzione romana - poteva peraltro essere capitata in qualunque parte d’Italia, nord compreso - che non riguarda la politica, ma la tanto decantata società civile, ci dice che le cose non stanno esattamente così.
In materia di equità sociale, forse sarà meglio che ripetiamo un anno.

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