martedì 11 febbraio 2014

Verba volant (61): sport...

Sport, sost. m.

Sport è una parola inglese diventata così comune nel nostro vocabolario da essere ormai considerata, a pieno titolo, italiana. E’ successo lo stesso alla parola bar e non credo sia un caso che praticamente in ogni paese italiano, dal Piemonte alla Sicilia, ci sia un Bar sport. La parola sport ha resistito addirittura all'italianizzazione fascista, che colpì invece la parola bar, sostituita da mescita. Ad esempio nel 1928 fu edita la rivista mensile Lo sport fascista.
I singoli sport furono invece regolarmente italianizzati: il football divenne calcio, il rugby giuoco della volata, l’hockey palla a rotelle. Ricordo il presidente Pertini che, in'intervista di qualche mese dopo, dichiarò che si era molto preoccupato quando, durante la finale dei mondiali dell'82, Cabrini sbagliò il penalty. Per quelli della sua generazione il calcio era ancora un gioco che si declinava in inglese.
Anche se la parola è inglese, la sua etimologia risale comunque al latino. Si tratta infatti della forma aferetica dell’antico disport, che risale a sua volta al francese desport, che significa divertimento, e che in italiano è arrivato nella forma diporto. La parola francese antica desport deriva dal latino deportare, che significa portarsi lontano, allontanarsi, in quanto per praticare le attività fisiche era spesso necessario uscire dalle mura cittadine, noi diremmo andare fuori porta.
Teoricamente quindi sport e divertimento da un punto di vista etimologico hanno la stessa radice e hanno un significato affine. Certamente noi da casa ci divertiamo a guardare le gare olimpiche, ci piace tifare a favore dei nostri beniamini e spesso - anche se è poco sportivo - contro i loro avversari. Che si divertano gli sportivi che in questi giorni si sono radunati a Sochi per i XXII Giochi olimpici invernali mi permetto di nutrire qualche dubbio. Si tratta di professionisti dello sport, che fanno un lavoro e che devono farlo al meglio. Per alcuni di loro questo è l’appuntamento della vita, il coronamento di anni di sacrifici.
Immagino poi lo stress degli atleti russi da cui Putin si aspetta risultati mirabolanti. Probabilmente nessuno corre il rischio di essere deportato in Siberia in caso di sconfitta, anche se è meglio non sfidare troppo le ire dello zar. Peraltro è nota la passione dei dittatori per lo sport, che lo usano per celebrare il proprio potere: le olimpiadi di Berlino del 1933 rappresentano un caso eclatante, che Putin si sforza di eguagliare. Ma se quelle olimpiadi furono ricordate anche per le realizzazioni trionfali dell’architetto Albert Speer, queste lo saranno per i bagni con due cessi.
In questi giorni si è parlato dei giochi olimpici più per la politica che per lo sport. La cosa in fondo non deve stupirci. Era così anche nell’antica Grecia, quando i giochi olimpici rappresentavano un momento di tregua dai conflitti endemici tra le città di quella regione e l’occasione per scambi di ambascerie e per negoziati, più o meno formali.
Francamente non è che a Merkel stiano particolarmente a cuore i diritti degli omosessuali in Russia, così come poco le importa dei diritti umani in Ucraina, ma ha utilizzato queste olimpiadi per lanciare un segnale alla Russia e a Puntin. Le aziende tedesche, per ora, possono fare a meno di un’alleanza strategica con quel paese o meglio è la Russia ad avere più bisogno della Germania, e quindi Merkel si è potuta togliere il lusso di non essere presente alla cerimonia di inaugurazione. L’Eni invece ha bisogno del gas russo e quindi il ministro degli esteri italiano Scaroni ha intimato a Letta di partecipare, facendo buon viso a cattivo gioco.
Lo sport è, come dicevo, da sempre anche un’occasione per parlare d’altro, per allontanarsi in senso etimologico. Cicerone, nel quinto libro delle Tusculanae disputationes, racconta che Pitagora definiva in questo modo i filosofi.
Leonte, stupito della novità del nome, chiese chi mai fossero i filosofi e quale differenza tra loro e gli altri; Pitagora allora rispose che, secondo il suo modo di vedere, c’era un’analogia tra vita degli uomini e quel tipo di fiere che si tengono con grandissimo apparato di giochi davanti a un pubbli­co che accorre da tutta la Grecia. Infatti, come là c’è chi cerca di ottenere la gloria e la celebrità della corona con l’allenamento atletico, e chi vi giunge con l’intento di fare buoni affari comprando e vendendo, ma c’è anche una categoria di persone, ed è di gran lunga la più nobile, che non cerca né il plauso nè il lucro, ma vi si reca solo per vedere e osservare attentamente ciò che succede e come succede […] questi si chiamano amanti della sapienza, cioè filosofi.
Come vedete, gli antichi conoscevano già tutto, compresa l’invadenza degli sponsor.

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