sabato 21 novembre 2015

Verba volant (66): busto...

Busto, sost. m.

Ecco una parola che ha una storia etimologica particolarmente interessante, che merita di essere raccontata.
Deriva dal latino bustus, participio passato di burĕre, che significa bruciare, e quindi ha l'originario significato di bruciato, arso. Dal momento che tra gli antichi l'incinerazione era una pratica molto diffusa, la parola passò ad indicare il crematoio, ossia il tumolo sotto cui si trovavo le ceneri dei defunti. L'italiano del Trecento usa ancora la parola busto con questo significato, perdutosi nell'italiano moderno, e infatti Boccaccio scrive:
chiamansi ancora, i sepolcri, busti: e questi son detti da’ corpi combusti, cioè arsi.
Dal momento che era uso mettere su queste tombe statue che rappresentavano i volti dei defunti, busto cominciò a essere chiamata la statua che rappresenta una figura umana dalla testa al petto, senza le braccia. Giorgio Vasari usa già il termine con questo significato. Da qui si è cominciato a chiamare in questo modo - ed è quello oggi più comune - il tronco del corpo umano; e anche quello che lo può contenere, ad esempio il busto ortopedico.
A me però in questa definizione interessa il secondo significato di busto, ossia quello di statua. A dire il vero oggi questo vocabolario potrebbe essere intitolato, invece che Verba volant, Forse non tutti sanno che, come la fortunata rubrica della Settimana enigmistica. Infatti forse non tutti i miei lettori sanno che in Italia ci sono ancora due busti di Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin. E’ vero che tra di voi ci sono molti vecchi “sinistri”, che sicuramente conoscono le storie che sto per raccontare; immagino che qualcuno di voi conservi gelosamente il selfie - come si usa chiamare ormai l’autoscatto - con il busto di Lenin. E probabilmente altri di voi, di razza emiliana, hanno letto qualche giorno fa sul Carlino la notizia che ignoti vandali, aiutandosi con una fune, hanno cercato, fortunatamente senza riuscirci, di staccare uno di questi due busti dal cippo su cui poggia. Oppure avete letto in altre occasioni delle ricorrenti polemiche sulla presenza di questi due busti, perché c’è sempre qualche bello spirito che ne chiede, di entrambi, la rimozione, in nome di un viscerale anticomunismo. Ma Lenin per fortuna resiste; resiste a Putin, figurarsi se non può resistere a Giovanardi e a quelli di tal fatta.
Comunque sia, per quelli che ancora non lo sanno, in Italia i busti di Lenin si trovano a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, e a Capri.
Meno stupisce che il busto del padre dell’Unione sovietica stia a Caviago, nel cuore dell’Emilia rossa. A dire il vero non si trova nella cittadina emiliana - in piazza Lenin, ovviamente - da moltissimo tempo, ma solo dal 1970. Questo busto in bronzo ha una storia movimentata: fu realizzato nel 1922 dagli operai della città ucraina di Lugansk, destinato a essere posto davanti alla locale fabbrica di treni; fu trafugato durante l’occupazione tedesca e portato in Italia, dove finì nelle mani dei partigiani. Il busto fu riconsegnato all’ambasciata sovietica a Roma e infine fu donato quarantaquattro anni fa al Comune di Cavriago, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Lenin.
Naturalmente la scelta di Cavriago non fu casuale. Nella città emiliana, tra il 1918 e il 1920, prevlse l’ala massimalista del Partito socialista, quella che guardava al bolscevismo russo come ad un modello cui ispirare la propria lotta. Il 6 gennaio 1919 i compagni di Cavriago scrivono un ordine del giorno in cui sostengono
il programma degli spartachisti tedeschi e il programma del Soviet di Russia e plaudono il suo capo Lenin per l’instancabile opera che sostiene contro i reazionari sostenitori dell’imperialismo.
Questo documento venne pubblicato dall’Avanti e citato dallo stesso Lenin tre mesi dopo, in un discorso davanti al Comitato Esecutivo Centrale del Soviet di Mosca. Nel settembre del 1921 il Comune di Cavriago, guidato dal massimalista Domenico Cavecchi, approva un altro ordine del giorno con il quale
accogliendo l’invocazione di dolore e di fame che i fratelli della Russia lanciano al mondo troppo estraneo alla grande sventura, interpretando nel soccorso oltre all’aiuto materiale, la morale assistenza, l’incoraggiamento al Governo proletario sovietista, delibera di elargire un sussidio non inferiore a £ 500.
Da lì a poco le amministrazioni socialiste furono sciolte dai fascisti. Alla memoria di quei solidali compagni di Cavriago è stato giusto regalare quel busto di Lenin. Si tratta appunto di un monumento che celebra non tanto il capo dell’Unione sovietica, quanto la storia della sinistra di Cavriago, le lotte di quel territorio, la passione civile e politica di un popolo che si manifestò poi nella Resistenza. Fanno bene gli amici di Cavriago a tenerselo caro quel busto; e se qualcuno non capisce, peggio per loro.
Un po’ diversa è la storia del busto di Capri. Lenin andò due volte nell’isola del golfo di Napoli, nel 1908 e nel 1910, ospite dello scrittore Maksim Gor’kij. Il politico russo si trovava in esilio e in quegli anni Capri, proprio grazie all’autore del romanzo La madre, divenne un luogo di rifugio per numerosi rivoluzionari russi in esilio. Il turismo mondano e modaiolo era ancora di là da venire.
Il monumento fu realizzato nel 1968 dallo scultore Giacomo Manzù, al quale l’ambasciata sovietica in Italia commissionò l’opera. E non è esente dello stile un po’ retorico di opere di questo genere, seppur sia stata realizzata da un autore importante come Manzù. La scultura soffre dell‘incuria - sorte peraltro condivisa da opere di ben maggiore valore - ma si è salvata dalle inevitabili polemiche anticomuniste, che pure non l’hanno risparmiata, proprio grazie alla fama del suo autore. Anche in questo i capresi fanno bene a tenersi caro questo busto, a memoria di una stagione particolare della loro storia.
In fondo è un po’ come capita con i funerali. Apparentemente si fanno per ricordare i morti, ma ci dicono molto di più dei vivi che li hanno organizzati. Per i monumenti è più o meno lo stesso, parlano più di chi li ha voluti e di chi li ha realizzati che del soggetto ritratto. Altrimenti non si spiegherebbe la foga di chi vuole abbatterli, come capita a questi due busti di Lenin, che io spero resistano. Ai cretini e ai piccioni.

scritto il 17 febbraio 2014

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