giovedì 24 aprile 2014

Verba volant (84): progresso...

Le_ProgrèsProgresso, sost. m.

Lo spunto per scrivere questa definizione mi è venuto guardando un'immagine che ho trovato casualmente su Facebook, che ho condiviso e su cui alcuni amici hanno avviato una discussione interessante. L'anonimo ha unito due foto, una recentissima e una degli anni Settanta: nella prima, a colori, le tre donne che governano Brasile, Argentina e Cile - rispettivamente Dilma Rousseff, Cristina Fernàndez de Kirchner e Michelle Bachelet - nella seconda, in bianco e nero, i militari che governavano quegli stessi paesi quarant'anni fa.
Il primo istinto è quello di tirare un sospiro di sollievo: evidentemente questo tempo non è passato invano, se quelle terribili dittature sono finalmente finite. Questo infatti è stato il mio primo commento, dopo il quale alcune persone hanno sottolineato i danni profondi che il governo di Cristina Fernàndez sta facendo a quel paese.
Ripeto quello che ho scritto là, in un post successivo al mio commento a caldo dell’immagine, rispondendo proprio a queste critiche. Io non sono un sostenitore acritico di nessuna di quelle tre donne di governo, tanto meno della presidente dell’Argentina, che è protagonista di una politica economica che ha fatto e fa danni; se fossi argentino immagino che sarei decisamente all’opposizione, senza farle alcuno sconto, e lo stesso probabilmente farei in Brasile. E, come sapete, ho molte riserve sul funzionamento delle attuali democrazie, sempre più condizionate da poteri economici internazionali, che agiscono senza alcun controllo e sono di fatto legibus soluti.
Però la soddisfazione rimane, perché queste due foto raccontano un mondo che è cambiato, non come avremmo voluto probabilmente, e che dovrebbe essere cambiato ancora, in maniera radicale e rivoluzionaria. Intanto però, se fossi argentino, le critiche a Cristina de Kirchner le potrei esprimere, senza paura di essere ucciso e senza temere per la vita dei miei familiari, come succedeva invece ai tempi di Videla, e questo è comunque un progresso.
Questa parola deriva dal verbo latino progrĕdi, che significa andare avanti, avanzare. Ora andare avanti non è per forza sinonimo che si sta andando nella direzione giusta. Anche chi procede verso un burrone e non riesce a fermarsi, va avanti, ma non per questo il suo procedere è auspicabile o deve essere imitato.
E’ comunque prevalso un significato positivo, per cui il progresso è l’avanzamento verso gradi superiori, con implicito quindi il concetto di perfezionamento, di evoluzione, di una trasformazione graduale e continua dal bene al meglio. E così progresso è diventata parola cara prima agli illuministi e poi ai socialisti e adesso è certamente una parola “nostra”, che ci è molto cara, tanto che amiamo definirci progressisti, anche al netto della campagna elettorale del ’94, in cui la coalizione del centrosinistra - la “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria - scelse proprio questo nome, senza troppa fortuna.
In questi quarant’anni, da quando sono nato ad oggi, c’è stato un progresso? Ci sono stati dei cambiamenti in meglio? Sì, ci sono stati.
E’ finita la sanguinosa stagione delle dittature militari nell’America latina. E’crollato il Muro di Berlino e sono caduti i regimi comunisti nell’Europa orientale. Cattolici e protestanti governano insieme l’Irlanda del nord e non c’è più il terrorismo basco. E’ finito il regime dell’apartheid in Sudafrica e i neri governano un paese in cui, fino a pochi fa, non godevano dei diritti civili e politici. Quarant’anni fa alcune di queste cose ci sembravano impossibili da realizzare, in qualche caso impensabili.
Io, come sapete, sono un inguaribile pessimista e per ciascuna di questi miglioramenti potrei citarvi gli aspetti negativi. Nell’89 - l’anno fino ad ora più importante per quelli della mia generazione - avevamo molte speranze che sono andate deluse. Gli esiti sono stati molto diversi, da paese a paese: sono nate democrazie mature, come quelle polacca, quella ungherese, quella ceca, ma sono anche sorte dittature molto dure, come quella di Lukasenko in Bielorussia e regimi autoritari, come in Russia. Ci aspettavamo che in ogni paese ci fosse un Havel, ma ci siamo ritrovati troppi Putin. Alcuni paesi si sono divisi in maniera consensuale, come la Repubblica ceca e la Slovacchia, mentre nei Balcani abbiamo assistito a conflitti sanguinosi, tra il cinismo e l’indifferenza dell’Europa. Srebrenica è una pagina buia della nostra storia, quanto la caduta del Muro di Berlino è luminosa.
Un po’ di strada l’abbiamo già fatta, tanta ne dobbiamo ancora fare. In fondo non potremmo dirci progressisti se non fossimo sempre in attesa di qualcosa di meglio e non provassimo a lottare per ottenerlo.

martedì 22 aprile 2014

Verba volant (83): madre...

Madre, sost. f.

In tutte le lingue indoeuropee - ed è uno dei rarissimi casi in cui c'è questa uniformità - la parola che indica la femmina che ha concepito e partorito deriva dalla radice del sanscrito antico ma. Questa radice ha come primo significato quello di misurare, ordinare, da cui deriva quello di preparare, formare. La madre è appunto colei che forma e prepara, è colei che genera. E' anche quella persona che, per anni, ci fatto mettere in ordine la nostra stanza, ma questa è un'altra storia. C'è evidentemente un valore divino in questo atto e non è un caso che nelle religioni più antiche della nostra civiltà la divinità fondamentale e primigenia sia sempre la Grande madre.
Vale la pena di ricordare che invece la radice pa, sempre nel sanscrito antico, contiene in sé il concetto di proteggere e di nutrire, assegnando così questi compiti al padre - altra parola che troviamo sostanzialmente uguale in tutte le lingue indoeuropee.
A dire la verità, in questo caso ho pensato prima alla definizione che alla parola da definire, cosa piuttosto inconsueta per un lessicografo: sembrerebbe una contraddizione, ma spero di riuscire a spiegarvela arrivando alla fine. Per dire quello che voglio dire, avrei potuto scegliere anche la parola padre o la più neutra genitore, anche se in questo caso non volevo innescare il dibattito su genitore 1 e genitore 2, che so appassionare tanti di voi. Ho deciso alla fine di scegliere madre perché in questa nostra epoca - da pochissimi anni, a dire il vero - ormai non vale più l’antico principio del diritto romano, secondo il quale
mater semper certa, pater numquam.
Ammetto che fino a quando non sono venuto a vivere a Salsomaggiore non sapevo quali fossero le proprietà terapeutiche di queste acque termali; ho scoperto da poco che vengono utilizzate da tempo anche per curare l’infecondità femminile. Devo anche dire che i miei amici salsesi, quelli che da più tempo abitano qui e ricordano gli anni d’oro della città, pur senza sminuire gli effetti benefici delle acque salsobromoiodiche, ritengono che al successo delle cure abbia contribuito anche una forma empirica, ma sperimentata da secoli con notevole efficacia, di “fecondazione eterologa”.
A parte questa nota scherzosa, finalmente anche nel nostro paese è stato concesso alla coppie che non possono avere figli di utilizzare questa tecnica - quella moderna, scientifica - senza essere costretti ad andare all’estero; ci sono voluti dieci anni di battaglie legali per raggiungere questo risultato, ottenuto soltanto grazie ad una sentenza della Corte costituzionale, vista l’incapacità della politica di affrontare il tema.
Come ho detto però, ora non solo è possibile avere due padri, ma si possono avere anche due madri, una che concepisce e una che partorisce. Si tratta evidentemente di qualcosa di assolutamente nuovo per la storia della nostra specie, a cui dobbiamo trovare il modo di adattarci. E che ci pone domande a cui dovremo dare delle risposte. Per convenzione si dice che la madre “vera” è quella che ci mette l’ovulo, ma sappiamo anche che in alcuni casi non è stato semplice per la madre “surrogata”, che ha tenuto dentro in sé un bambino per nove mesi e lo ha fatto nascere, separarsene: quel figlio, in qualche modo, è anche suo. Con qualche ragione.
E poi ci possono essere gli errori, che non dovrebbero esserci in casi come questi, ma sono possibili, perché questa è la natura umana e la perfezione, si sa, non è di questo mondo. La paura dello scambio dei neonati è sempre esistita, a volte è stata l’occasione e lo spunto per scrivere opere letterarie, ma cosa succede quando l’errore avviene a monte, in fase di inseminazione e di impianto, come pare sia avvenuto all’ospedale Pertini di Roma? Di chi sono i figli che stanno per nascere? Di quale coppia?
Personalmente non ho mai dato - e non do - un grande valore ai legami di sangue. Non ho ragione di credere che i miei genitori non siano quelli biologici - e anzi alcuni indizi fisiologici e fisiognomici me lo confermano - ma loro sarebbero i miei genitori, indipendentemente dal fatto che mi abbiano generato o meno. Lo sono ormai, nel bene e nel male, per i 44 anni che abbiamo passato insieme fino ad ora e per quelli che passeranno ancora, per i momenti belli e anche per quelli brutti, per i conflitti che ci sono stati e soprattutto per il modo in cui mi hanno cresciuto ed educato. Io sono il loro figlio per questa storia, non per una combinazione cromosomica.
Immagino ricorderete la storia raccontata nel Primo libro dei Re di cui è protagonista Salomone (1Re 3, 16-28). Peraltro, come ci spiegano gli antropologi Frazer e Gressman, questa storia è raccontata con poche varianti, in tradizioni molto diverse.
Due prostitute si presentano di fronte al re di Israele, reclamando ciascuna la maternità di un bambino. Entrambe le donne, che vivono nella stessa casa, hanno avuto un figlio - i padri sono ignoti e comunque ininfluenti per il prosieguo della storia - ma uno dei due è morto alla nascita. Non ci sono stati testimoni né delle due nascite né di quello che è successo dopo e ciascuna delle due donne afferma che di essere la madre del bambino che ancora vive.
Evidentemente il re non può sapere quale dice le verità, in base a valutazioni scientifiche, e quindi Salomone afferra una spada e sentenzia che il bambino sarà diviso a metà tra le due donne. A questo punto l’atteggiamento delle due donne, che nel corso del processo avevano usato le stesse parole, cambia: la prima accetta il giudizio del re, mentre la seconda rinuncia alle proprie pretese e dice che il figlio dev’essere dato all’altra donna. Salomone a questo punto affida il bambino alla seconda, ossia a quella che aveva rinunciato, spiegando che proprio con questa rinuncia ha dimostrato di essere la vera madre.
Era davvero lei la madre del bambino? Naturalmente non lo sapremo mai, ma certo è quella che ha dimostrato di amarlo di più.
Questo è bastato a Salomone. Deve bastare anche a noi.

lunedì 14 aprile 2014

Verba volant (81): rappresentare...

Rappresentare, v. tr.

Questo è un verbo difficile da spiegare, anche se, all'apparenza, tutti noi ne conosciamo i diversi significati. Tento comunque l'impresa, sperando nella vostra benevolenza.
Deriva, come è facile immaginare, dal latino repraesentare, composto dalla particella re, che vale di nuovo, e dal verbo praesentare, ossia rendere presente. Il primo significato, quello etimologico, è quindi, secondo la dottrina del Pianigiani, a cui spesso attingo per le voci di questo mio povero vocabolario:
render presenti cose passate o lontane
I miei amici amanti del teatro - per non parlare di quelli che calcano le scene - credo abbiano immediatamente pensato a questo significato del verbo, che infatti viene usato per indicare chi sostiene la parte di un personaggio, assumendone le vesti e la figura. Da qui si passa, per facile analogia, al suo significato politico, che probabilmente è venuto subito in mente ad altri amici, appassionati di questa nobile arte - o scienza, a seconda delle interpretazioni.
Certo anche la politica è rappresentazione. L’attuale presidente del consiglio è un politico che rappresenta, con notevole efficacia - lo devo ammettere, per quanto l’uomo mi sia profondamente antipatico - una parte, quella dell’ingenuo di talento, della pecora in mezzo ai lupi. L’uso delle parole, dei gesti, è studiato nei minimi particolari proprio per apparire naturale e spontaneo. Qualcuno, dopo aver visto una delle sue televendite, potrebbe dire che è un perfetto rappresentante, un venditore porta-a-porta di riforme; almeno ai rappresentanti possiamo non aprire, lui invece ci piomba in casa sempre e comunque.
Non è ovviamente il primo e non sarà l’ultimo, anzi la rappresentazione è una componente ineliminabile della politica. I grandi comizi di Berlinguer erano anch’essi rappresentazioni, con migliaia di personaggi, ciascuno dei quali aveva una parte, anche minima; i suoi funerali sono stati una grandiosa rappresentazione popolare, probabilmente l’ultima grande della sinistra italiana. Consapevole e dichiarata. Così come i congressi del Psi all’epoca di Craxi erano rappresentazioni, spettacoli, al netto dei nani e delle ballerine. Disturba quando questa onestà manca, quando si confondono volutamente i piani, come fa appunto l’ex sindaco di Firenze, fingendo che una rappresentazione non ci sia.
A me però oggi interessa di più ragionare della rappresentanza, ossia dell’altro significato fondamentale di questo verbo.
Chi mi rappresenta, in Comune, in Regione, nel parlamento italiano ed europeo, a ogni livello e in ogni sede - vale anche per il sindacato ovviamente - è colui che interviene in mia vece e a mio nome, assolve le funzioni che io dovrei compiere e agisce per conto mio. Capite che è difficile scegliere una persona a cui delegare un tale potere, deve essere qualcuno di cui ho la massima fiducia, qualcuno che possibilmente conosco.
Questo è un punto vitale della democrazia, perché sarebbe certamente bella la democrazia diretta, sarebbe probabilmente auspicabile in un mondo perfetto, ma - assunto ormai come acquisito che il nostro non è un mondo perfetto - non è un sistema realizzabile. Noi abbiamo bisogno di farci rappresentare da qualcun altro. Ovviamente il tema è capire attraverso quali meccanismi noi selezioniamo questi rappresentanti; oltre naturalmente a decidere fino a che punto può spingersi il loro mandato. Per questo non è oziosa la discussione sulla riforma della legge elettorale, come qualcuno a volte tenta di convincerci, dicendo che “ben altri” sono i problemi.
Mi è venuto in mente di trattare questo verbo, perché in questi giorni nella mia città è scoppiata una durissima polemica tra Federico Pizzarotti e il leader del suo partito, Beppe Grillo, proprio in merito ai criteri con cui sono stati scelti i rappresentanti di quel movimento per le liste del parlamento europeo. La notizia ha avuto una qualche eco anche a livello nazionale, ma ne riporto brevemente i contenuti. Come noto Grillo, Casaleggio e il “cerchio magico” che guida quel partito hanno deciso di avviare una consultazione attraverso la rete che ha raggiunto il risultato per loro straordinario - per altri osservatori, più o meno ostili, deludente - di aver fatto votare poco più di 33.000 persone. Il sindaco grillino di Parma, prima sommessamente poi con un po’ più di coraggio, ha criticato questo metodo, dicendo che praticamente nessuno dei prescelti aveva mai partecipato ad incontri di partito nel territorio.
Se fossi stato un cittadino di Parma nel 2012 probabilmente non sarei andato a votare per il ballotaggio per l’elezione del sindaco: non avrei potuto scegliere votare né il “vecchio” Bernazzoli né il “giovane” Pizzarotti, troppo del peggior Pd il primo, troppo grillino il secondo. Se diventassi cittadino di Parma nel 2017 molto probabilmente voterei per il secondo mandato di Pizzarotti. Nel frattempo io non sono diventato grillino, anzi Grillo mi diventa ogni giorno che passa più umanamente antipatico e politicamente distante, né il sindaco è diventato un fenomeno. Semplicemente, vedendo quello che fa attraverso le lenti di un’informazione che non gli è certo amica, essendo finanziata dall’Unione industriali, mi sembra che lui e la sua amministrazione stiano facendo il possibile nelle condizioni date, che sono davvero difficili.
Chi amministra la città ducale in questi anni non solo deve fare i conti con i debiti lasciati dalle pessime amministrazioni precedenti, ma soprattutto condivide con tutti gli altri sindaci italiani la sostanziale abolizione dei Comuni - a cui, per ragioni politiche, non è riservato il trattamento subito dalle Province - ma che si sono visti di fatto togliere poteri, risorse, capacità di gestione. Questa ultima vicenda ha ribadito il mio giudizio positivo su Pizzarotti, ribattezzato da Grillo “Capitan Pizza” e di fatto sfiduciato in questi giorni, con gran gioia delle iene del Pd che pregustano già di cibarsi della carogna del sindaco morente: oltre a questo, poveretti, non sanno fare.
Per tornare comunque al tema della rappresentanza il punto portato da Pizzarotti è valido e meriterebbe un’attenzione in più, al di là delle polemiche. L’attività sul territorio è un criterio con cui scegliere quelli che ci dovrebbero rappresentare. E’ più facile, se ci abbiamo lavorato insieme - anche solo per qualche ora - se lo abbiamo conosciuto, anche soltanto per un caffè, dare un giudizio su una persona, decidere se ci possiamo fidare di lui, se gli possiamo delegare il nostro potere, in sostanza se può fare le nostre veci. Altrimenti dobbiamo affidarci unicamente alla rappresentazione, al modo in cui chi chiede la nostra fiducia è capace di porsi. E in questa rappresentazione è più facile nascondere un inganno. Naturalmente si possono prendere cantonate incredibili anche con il primo sistema; a me è successo qualche volta - quando facevo un altro mestiere - di dare un giudizio positivo di qualcuno con cui avevo lavorato insieme, che poi si è rivelato un perfetto cretino. Ma sono state decisamente di più le scelte azzeccate.
Una volta questo era uno dei compiti che avrebbero dovuto svolgere i partiti. Non sempre lo facevano, spesso lo facevano male, ma a volte lo facevano bene. Mettevano le persone in condizione di conoscere quelli a cui stavano per delegare la propria rappresentanza. Ora naturalmente questo ruolo non lo svolgono più, perché si preferisce la cooptazione oppure il sistema delle primarie, che non ha a che fare per nulla con la rappresentanza, ma sta tutto dentro l’ambito della rappresentazione.
Che il tema della rappresentanza non l’abbiano affatto risolto neppure quelli che - come Grillo e il suo guru - si autoproclamano ideologici della “nuova politica”, oltre i partiti, e che l’abbia sostanzialmente eluso il “rottamatore” del partito, l’uomo che ha completato il suicidio del Pd - che infatti ha deciso le liste per le europee a tavolino, senza nessun tentativo, neppure mascherato, di coinvolgere i territori - mi rende paradossalmente contento e in qualche modo mi tranquillizza. Neppure i “geni” del secolo nuovo hanno trovato il modo di sostituire, almeno teoricamente, i partiti del secolo scorso e la loro idea di rappresentanza, che in qualche modo, carsicamente, continua a vivere: qualcosa di buono evidentemente c’è ancora.

giovedì 3 aprile 2014

Verba volant (79): latte...

Latte, sost. m.

Come credo di aver già raccontato, questa bevanda a me è particolarmente cara, anche se devo confessare che non ne sono un gran consumatore. Comunque sia uno come me, nato e cresciuto a Granarolo, con la madre che ha lavorato in una latteria e il padre che è stato uno dei primissimi autisti del Consorzio Bolognese Produttori Latte (che diventerà negli anni la Granarolo), insomma uno che alla Lola dà del tu, quando si parla di latte non può non intervenire. Potrei raccontare - mio padre lo ricorda spesso - quando nel suo camion, un Leoncino Fiat, invece di scriverci 4 ci scrissero 14, con una rudimentale, ma efficace, strategia di marketing o potrei parlare della crisi della logistica che ha portato alle contestazioni dei facchini delle scorse settimane, ma temo di andare troppo fuori dal seminato.
Il latte è sostanza vitale e sacra, e non è un caso che in gran parte delle lingue indoeuropee i nomi che lo indicano derivino dalla stessa radice greca gal.
Per i bolognesi immagino non serva chiarire perché ho scelto di scrivere questa definizione. Per i non bolognesi occorre invece dare qualche informazione in più. Nell’ambito di La scienza in piazza, una bella iniziativa che ogni anno viene realizzata dalla Fondazione Marino Golinelli nella città felsinea, è stata presentata un’installazione con il video, intitolato Head, dell’artista statunitense Cheryl Donegan; nel video si vede un contenitore verde da cui esce uno zampillo di latte e la testa di una donna che “gioca” con il liquido, fino a simulare una sorta di fellatio.
Ciascuno di voi può guardare il video - dura solo tre minuti - quindi può farsi un’idea, anche al di là della polemica contro i censori, che peraltro sono quello che sono - non li cito per non fare loro eccessiva pubblicità - ma chi di voi ha qualche dimestichezza con la politica bolognese sa bene che non arrivano all’asse del pane.
Secondo i curatori della mostra questo video “rappresenta il legame fra le memorie dell’infanzia e la prima sensazione di piacere associata al nutrimento, metafora del sacro e santo rapporto fra madre e figlio che passa attraverso un gesto innocente”, invece per alcuni consiglieri comunali già citati - del Pd e quindi della maggioranza e di Forza Italia e quindi dell’opposizione - si tratta di un’inutile volgarità. Non ho esattamente capito se il video è poi stato utilizzato e mostrato, ma ormai, a questo punto, la cosa in sé non è neppure troppo significativa. I consiglieri cattolicissimi sono riusciti a far sì che questo video sia stato visto e commentato da molte più persone di quante avrebbero mai visitato la mostra. A ulteriore dimostrazione della loro scarsa perspicacia.
Nella scheda della mostra è scritto che “tra l’ironia ed erotismo, nel video di Donegan, l’atto necessario del nutrirsi si trasforma in eccitante, divertente e gustoso, un gioco in grado di coinvolgere tutti i sensi“. Al di là della grammatica zoppicante di questa frase - ecco una cosa davvero diseducativa per i bambini frequentanti la mostra - francamente devo dire che a me il video non è piaciuto e che non colgo né l’ironia né l’erotismo, figuriamoci tutti gli altri significativi antropologici suggeriti in questi giorni. E’ un video brutto, che non lascia nulla a chi lo guarda e che temo sia stato realizzato soprattutto per stupire e per creare polemiche. Oggettivamente ha raggiunto questo suo scopo, ma nulla di più. Io sarò anche un po’ rozzo - d’altra parte ho fatto le scuole in campagna - ma penso che se un’opera d’arte, per essere giudicata bella, debba essere spiegata e rispiegata, allora tanto bella non sia.
L’arte si deve misurare secondo il criterio della bellezza, criterio che, per me, solo apparentemente è soggettivo. O meglio è soggettivo nel presente: a me adesso questo video non piace, mentre a voi adesso piace e abbiamo ragione tutti. Ma, visto che il tempo è galantuomo, tra qualche secolo rimarranno le cose belle e rimarranno, anche se per fortuna saranno un po’ meno, le cose brutte. Se ci pensate, è avvenuto lo stesso anche con le opere d’arte arrivate dai secoli passati: sono rimaste quelle belle, che continuano a essere belle, anche se magari ai critici del loro tempo non erano piaciute, e sono rimaste, un po’ meno, quelle brutte o meno belle, che hanno un interesse storico, archeologico e antiquario, e diventano magari l’oggetto dei più iperbolici televenditori, ma continuano a essere brutte. Però quello che è bello davvero resterà tale e verrà fuori, quello che è brutto non è destinato a migliorare. Per questo credo che la bellezza sia oggettiva, nel tempo.
Sono convinto quindi che il video della Donegan rientri tra le cose brutte, destinate a rimanere tali, come molta dell’arte contemporanea; naturalmente se, tra trecento anni, sarà ritenuto bellissimo, mi sarò sbagliato; per allora sarò morto e dubito che qualcuno leggerà ancora queste note. Se lo farà è autorizzato fin d’ora a considerarmi un imbecille.
La censura in campo artistico non funziona, spero se ne rendano conto anche i critici più zelanti, anche se ovviamente penso che non lo capiranno mai i consiglieri comunali protagonisti della vicenda, ma - come ho detto - nel loro caso la natura è stata matrigna.
Trovo che negli stessi giorni la città sia stata offesa molto di più che da questo video - che tutt’al più potrebbe insegnare ai bambini nuovi modi per sporcare le cucine delle proprie case - dall’ennesima archiviazione di un processo per una persona accusata di aver partecipato alla strage del 2 agosto 1980. La mancanza della verità è qualcosa che ci offende tutti, qui ed ora.
A proposito di latte, voglio fare una mia piccola proposta, che prende spunto - anche in questo caso - dai miei ricordi. Ritengo infatti sia molto più utile, educativo e salutare quello che succedeva a me e ai miei compagni quando andavamo alla scuola elementare, diversi anni fa ovviamente. Non ci è mai stato mostrato un video come quello della Donegan - immagino la faccia della mia maestra - ma venivamo ogni anno portati a vedere una stalla: in questo modo per noi allora era piuttosto chiaro che il latte veniva da una mucca e non dal bancone del supermercato. Mi piacerebbe che anche i bambini di oggi fossero portati in una stalla. E soprattutto ogni giorno, a merenda, ci veniva dato il bicchiere di latte. Sinceramente non so se quel latte era compreso nel servizio della mensa o se veniva offerto dalla nota azienda di cui sopra ai bambini del Comune in cui era nata e cresciuta, comunque era una sana iniziativa, che ci “costringeva” ogni giorno a bere un bicchiere di latte, senza rovesciarlo, a differenza di quello che fa la donna del video. Adesso, nel tempo in cui i genitori devono pagarsi anche la carta igienica, alla nota azienda magari si chiederebbe un’altro tipo di sponsorizzazione, ma allora funzionava così.
Forse un po’ più di latte vero ci farebbe bene, a tutti.

mercoledì 2 aprile 2014

Considerazioni libere (388): a proposito della smania di fare (e di disfare)...

E' un errore grave - e lo commettono in tanti purtroppo - considerare Renzi come una sorta di epigono di B., ossia pensare che il renzismo sia la continuazione del berlusconismo con altri mezzi. Certamente i due personaggi hanno molti tratti in comune, ma c'è una differenza sostanziale che credo non sia stata ancora valutata in maniera sufficiente e in tutta la sua portata. Proprio questa mancanza di analisi ci ha fatto commettere degli errori su Renzi e ce ne ha fatto sottovalutare il pericolo.
Per età, per convinzione profonda e anche per opportunismo politico, B. ha sempre rivendicato di essere un esponente di destra, anzi ha voluto essere - e lo è stato per molti anni - il capo di tutta la destra italiana, dai nostalgici del fascismo agli ultraliberisti, passando per il clericalismo vandeano. La sua capacità anzi è stata proprio quella di tenere insieme cose che in natura non starebbero insieme, portandole diverse volte alla vittoria elettorale. B. in sostanza è riuscito a fare quello che alla scuola elementare ci spiegano sia impossibile: sommare le mele con le pere. L'orizzonte politico di B. era quello novecentesco della distinzione tra destra e sinistra e infatti uno degli elementi della sua retorica è sempre stato un costante, orgoglioso e mai abiurato anticomunismo, che peraltro gli è stato necessario anche per raccogliere una parte significativa dell'eredità, non solo elettorale, dei socialisti italiani, che hanno sempre avuto un forte carattere anticomunista.
Naturalmente quel concetto aveva bisogno di essere aggiornato - anche perché nel frattempo i comunisti erano spariti - e il bersaglio polemico di B. sono diventati via via gli esponenti della vecchia politica, i burocrati italiani ed europei, i salotti buoni del capitalismo, i giornali, in buona sostanza - a fasi alterne e successive - tutto l'establishment, di cui pure lui era parte e che lo sosteneva. La sua abilità è stata quella di riuscire a etichettare di volta in volta tutti questi suoi avversari come comunisti. In questo bisogna dire che lo abbiamo aiutato parecchio anche noi: in questi vent'anni, mentre perdevamo via via l'anima, ci siamo aggrappati ai peggiori figuri, dai "capitani coraggiosi" di dalemiana memoria ai tecnocrati di rito montiano, e quindi è stato facile per gli aedi del berlusconismo sia sottolineare queste nostre sempre più evidenti contraddizioni sia additare i cosiddetti "poteri forti" come succubi dei comunisti.
Come ho già avuto modo di scrivere, B. è stata la fortunata invenzione della destra per coprire il vuoto che si era creato con lo sfaldamento dei partiti, soprattutto della Democrazia cristiana, che avevano garantito la stabilità del paese dalla fine della seconda guerra mondiale e soprattutto avevano impedito qualsiasi avanzamento delle forze progressiste. Come alla fine degli anni Sessanta decisero di usare le bombe e le stragi, così, nel passaggio storico segnato dalla caduta del Muro di Berlino, usarono B., uno strumento meno cruento, ma non meno pericoloso. Tra l'altro B. ha permesso a questo mondo oscuro di riavviare un rapporto organico con la mafia, che si era interrotto con l'uscita di scena di Andreotti.
L'ex sindaco di Firenze ora sta svolgendo sostanzialmente lo stesso compito che quelle stesse forze di conservazione avevano prima assegnato all'imprenditore lombardo e poi avevano demandato ai tecnici. Ma Monti e Letta si sono rivelati assolutamente inadeguati all'incarico a loro assegnato, almeno in una prospettiva temporale medio-lunga. Certo hanno portato a casa dei risultati importanti: l'adesione dell'Italia al fiscal compact e il commissariamento di fatto della politica economica, la distruzione del sistema previdenziale, l'avvio del processo di privatizzazioni e, dal punto di vista politico, la fine dell'esperienza storica del maggior partito di centrosinistra in Italia. Dopo aver indotto al suicidio il Pd, grazie anche alle trame di Napolitano, il compito di questi killer dell'ultraliberismo era finito: ormai il lavoro sporco era stato fatto. Adesso serviva qualcuno che portasse il paese in una stagione diversa: e Renzi è perfetto per questo ruolo.
Renzi - o chi per lui, personalmente non credo che il giovane fiorentino sia così intelligente da averci pensato da solo o da essere pienamente consapevole del suo ruolo - però ci ha messo qualcosa di più e di più grave, secondo me. Ha scardinato del tutto lo schema destra/sinistra che utilizzava B. e così ha le mani molto più libere nel trovare nemici, interni ed esterni, a cui addossare la colpa delle mancate riforme. Fausto Anderlini, in sua bella analisi, ha parlato di peronismo ed effettivamente l'esempio del dittatore sudamericano è l'unico che in qualche modo può servire a spiegare questo fenomeno. Renzi però, a differenza di Peron, non può più essere battuto in quel campo di gioco - ossia lo scontro novecentesco tra destra e sinistra - semplicemente perché lui non ci gioca più, e si è anche portato via il pallone. Adesso noi, anche solo per sperare di opporci a Renzi - non oso dire di sconfiggerlo - dobbiamo accettare le sue regole, e quindi lui ovviamente parte molto favorito.
In queste poche settimane di governo Renzi ha già potuto indicare come propri nemici - e quindi come nemici dell'Italia - la Confindustria, la Cgil, i rigoristi del fiscal compact, i "professoroni" che hanno firmato un appello contro la sua proposta di riforma costituzionale e così via; ovviamente non c'è nessuna coerenza in questo elenco, ma Renzi non insegue una coerenza, impone la propria coerenza. Da una parte c'è Renzi, ossia il nuovo, il bello e il buono che verrà, e dall'altra parte ci sono tutti gli altri, senza distinzione di ruoli e di schieramenti, ossia il vecchio, il cattivo che ci portiamo dietro dal passato. In questo modo lui ha le mani assolutamente libere e l'unico discrimine che rimane in campo è quello tra il fare - questa è la parola chiave della sua ideologia nuovista - e l'immobilismo del passato. Non importa cosa il governo stia facendo, l'importante è che stia facendo qualcosa.
Adesso è anche più chiaro perché per Renzi era così indispensabile diventare capo del governo. La sua non era e non è una battaglia politica o culturale che poteva essere combattuta dal ruolo di segretario di partito, per quanto in questo ruolo fosse legittimato da un mandato ampio. Lui doveva assolutamente entrare nella "stanza dei bottoni", come avrebbe detto Nenni; questo non l'abbiamo capito subito e lui ci ha battuto in velocità. Ora, dal governo, essendo riuscito a far prevalere questa idea distorta della politica, Renzi è diventato invincibile, perché ha la possibilità di fare e nessuno lo può giudicare per il merito delle cose che fa, ma tutti lo possono applaudire solo perché fa.
Provate a parlare con uno dei tanti sacerdoti del renzismo che popolano la rete; io per fortuna li ho praticamente cancellati tutti dalla mia lista di amici. Quando si critica il "caro leader", la prima cosa che ti dicono è che però lui sta facendo, mentre noi non abbiamo mai fatto nulla. Emblematico è il caso delle riforme istituzionali. Effettivamente sono anni che si discute della necessità di superare il bicameralismo perfetto e non si è giunti a nessuna conclusione; Renzi ha fatto approvare al suo governo un disegno di legge costituzionale in cui non solo si modifica il bicameralismo perfetto, ma si abolisce tout court il Senato. E temo ci riuscirà, perché chi avrà il coraggio di opporsi a questa legge - come ha tentato, seppur tardivamente, il presidente Grasso - finisce immediatamente nella gogna dei vecchi. Renzi ha gioco facile adesso a dire che Grasso e chi vuole difendere il Senato vuole soltato difendere i propri provilegi e un popolo, stanco dei privilegi di una classe politica autoreferenziale, accetta di buon grado l'abolizione del Senato, anzi la vive come una propria vittoria, e sente Renzi come il campione della propria vendetta. Non a caso Renzi, per giustificare questa proposta, non parla del farraginoso meccanismo di formazione delle leggi, ma la pone tutta sul piano economico: i senatori costano - e costano tanto - quindi aboliamoli. Bravo. Grazie. Il sistema della autonomie locali è complesso, i livelli di decisione sono troppi e troppo confusi. E' vero, per questo servirebbe una riflessione e una semplificazione del sistema delle autonomie, ma questa è una discussione che non ha alcun appeal. Per questo Renzi la butta sui soldi: le Province costano - e costano tanto - quindi aboliamole. Bravo. Grazie.
Persone ben più preparate dal punto di vista costituzionale di me hanno spiegato perché abolire il Senato è un pericolo molto grave: si scardina un sistema che aveva una sua coerenza, togliendo dei pezzi in maniera incoerente. L'obiettivo di Renzi - naturalmente uso sempre il nome del presidente del Consiglio per semplicità, ma voglio sempre indicare chi sta dietro di lui, i poteri che lo sostengono e lo dirigono - è proprio quello di limitare la democrazia nel nostro paese, perché meno democrazia significa anche minori diritti sociali e maggiore diseguaglianza economica. Chi sta dietro a Renzi e al suo infelice partito ha questo scopo; credo sarebbe ora che lo capissero anche gli amici della sinistra che si ostinano a far loro da stampella, che credono ancora che ci sia qualcosa di riformabile in quel partito; penso ad esempio ai compagni di Sel che si dedicano a questo obiettivo con una perseveranza che sarebbe encomiabile, se non fosse ormai indice di ottusità. Il Pd dei renziani - e dei servi sciocchi che fanno la minoranza - non è riformabile e quindi è sbagliato, secondo me, continuare a tentare un'alleanza con loro.
Francamente non so se la lista Tsipras avrà un risultato incoraggiante e soprattutto non so se, da lì - nonostante i rancori, i sospetti, le divisioni - potrà nascere qualcosa di diverso, qualcosa che almeno ci permetta di resistere, di riordinare le fila, qualcosa che ci dia il tempo di pensare. Agire in fretta in questa fase ci potrebbe far commettere degli errori esiziali. Ricordate i vecchi film western? Attaccati dagli indiani, i pionieri mettevano i carri in circolo e cercavano di resistere, in attesa del provvidenziale arrivo del settimo cavalleggeri. Ora, noi dobbiamo mettere i carri in circolo e provare a resistere, anche se sappiamo che non verrà nessuno a trarci d'impaccio; anzi, i cavalleggeri, quando arriveranno, cominceranno a spararci addosso anche loro.