domenica 8 giugno 2014

Verba volant (96): maggioritario...

Maggioritario, agg.

Questo aggettivo è arrivato in italiano dal francese majoritaire, derivato di majorité, che significa maggioranza. Il suo significato proprio è quello di indicare ciò che concerne la maggioranza o ciò che è costituito dalla maggioranza.
Di questo aggettivo si fa ormai un gran uso in politica, dal momento che indica quel sistema elettorale in cui la lista che ha ottenuto il maggior numero di voti ottiene tutti i seggi o, più frequentemente, un premio in seggi. Si tratta, come noto, del sistema elettorale preferito da molti partiti italiani, almeno quando vincono o quando pensano di vincere. A me però interessa un altro uso politico di questo aggettivo, nello specifico quando è usato nell'espressione vocazione maggioritaria, coniata alcuni anni fa da Walter Veltroni per il nuovo partito che stava per fondare e ampiamente utilizzata da Matteo Renzi.
Ringrazio l’amico Filippo Fritelli che mi ha spronato a scrivere questa definizione, partendo dal commento di una sua riflessione sull’esito del voto per il parlamento europeo.
Filippo è uno dei cosiddetti nativi democratici. In altra occasione mi è già capitato di scrivere che io - che non sono democratico - apprezzo l’entusiasmo e la voglia di fare di quelli di questa nuova generazione che si è affacciata alla politica. Apprezzo molto meno i miei vecchi compagni diventati, all’improvviso - alcuni fuori tempo massimo - e senza convinzione, democratici e renziani; ma questa è un’altra storia. La riflessione di Filippo è molto chiara su cosa rappresenta e deve essere per lui e per quelli come lui il Partito Democratico. E mi rende più chiaro perché io non ho aderito a quel progetto.
Giustamente Filippo rivendica a Renzi il merito di aver portato a termine la costruzione del partito a vocazione maggioritaria che era nel programma originario del Pd di Veltroni e che, per una serie di ragioni, quel gruppo dirigente non era riuscito a realizzare. Su questo Filippo ha assolutamente ragione: il vero Pd è il Pd che Renzi e una generazione nuova di dirigenti e di militanti stanno costruendo. Io non ho aderito al Pd proprio perché allora avevo ben chiaro che questo sarebbe stato l’esito della vocazione maggioritaria: Veltroni era stato chiaro.
A scanso di equivoci, in non sono uno di quelli che sta bene in minoranza: ce ne sono parecchi nella sinistra italiana e mondiale. A me è capitato per parecchio tempo di misurarmi con il governo, con tutte le difficoltà che questo comporta, con la necessità di mediare tra posizioni diverse e quindi facendo fare qualche passo indietro alle mie idee. Io, a differenza di qualche altro compagno, sono uno che le elezioni le vorrebbe vincere sempre, aspiro alla maggioranza, che però è cosa radicalmente diversa dalla vocazione maggioritaria.
Dice Filippo che il Pd vuole
portare a sintesi le varie istanze sociali provenienti dalle diverse parti della società italiana.
Ecco questa è la cosa su cui io non riesco proprio a essere d’accordo, perché ci sono istanze - ovviamente parlo soltanto di quelle legittime, come immagino faccia Filippo - con cui io non sono disponibile a fare sintesi, perché sono istanze che sono e saranno sempre in conflitto con le mie. Poi anche in un conflitto si deve trovare un accordo - anzi la politica è proprio l’arte di trovare questo accordo, per fermare uno scontro che altrimenti sarebbe permanente - ma un accordo in cui ciascuno rimane con i propri valori e i propri obiettivi di lunga durata è cosa ben diversa dalla sintesi.
Provo a spiegarmi con un esempio. Io credo che tra chi lavora e chi quel lavoro lo utilizza - una volta si chiamavano padroni, ora so che si usano formule più sfumate, ma quello è il concetto - il conflitto sociale sia insanabile e permanente, perché gli interessi di queste due classi - altro termine piuttosto desueto, mi rendo conto - sono radicalmente diversi. Tra questi interessi radicalmente diversi si può cercare un accordo, più o meno strutturale, ma non può esserci sintesi, perché questa sintesi finisce sempre per privilegiare gli interessi di una parte, in genere di quella più forte. Ovviamente noi abbiamo spesso fallito nel trovare questo accordo: sulle critiche alla sinistra italiana io sono probabilmente più duro e impietoso di quanto lo sia Filippo, quantomeno perché la conosco meglio di lui e perché porto un pezzetto di responsabilità di questo fallimento.
Per tornare al tema ci sono diritti che una volta acquisiti sono acquisiti per tutti, anche per chi ne ha osteggiato l’introduzione, perché in sostanza non tolgono un diritto o un beneficio agli altri. Ad esempio, se finalmente in questo paese riuscissimo a permettere alle persone dello stesso sesso di sposarsi, avremmo garantito a tutti un diritto, senza ledere i legittimi interessi di nessuno. Ma quando si parla di interessi economici questo non è più possibile, la giustizia sociale passa necessariamente attraverso un conflitto, qualcosa che gli amici come Filippo fanno perfino fatica ad accettare, perché per loro è più importante la sintesi. Tra ricchi e poveri non ci può essere sintesi, perché se ad esempio partiamo dall’idea che la ricchezza debba essere redistribuita - e io penso che lo debba essere - è naturale che chi è ricco si opponga a che qualcuno, anche lo stato, gli tolga una parte della propria ricchezza. Ecco io nell’azione di governo di Renzi vedo sì la sintesi, che però finisce per premiare gli interessi che tradizionalmente io ho combattuto e che ancora combatto.
Filippo usa in questa sua riflessione l’aggettivo “divisivo” e ne dà naturalmente un significato negativo, come fanno molti altri. Capisco cosa vuol dire con questa parola, ma io credo che ci siano occasioni in cui è proprio necessario fare delle divisioni, tracciare delle linee. Dopo tutto il significato etimologico di partito è proprio quello, deriva da parte. Partito a vocazione maggioritaria è una contraddizione in termini e infatti qualcuno nel Pd comincia già a dire che probabilmente partito è una parola superata, a favore del più neutro e totalizzante “democratici”.
Il Pd di Renzi - e quello di Veltroni prima di lui - sta facendo di tutto per superare l’antitesi tra destra e sinistra, ed è ovvio per un partito che si pone come proprio obiettivo la sintesi. Renzi è davvero il primo leader di una nuova era di questo paese, molto di più di quanto lo sia stato Berlusconi, che pure è stato un personaggio che ha rotto in maniera violenta con il passato. Eppure Berlusconi ha continuato ad essere il leader della destra italiana, riconoscendo - spesso costruendoselo - un nemico ideologico, i comunisti, retaggio della cultura del Novecento. Berlusconi è stato sommamente divisivo. Renzi non ha bisogno di avere un nemico ideologico, anzi questa idea gli è totalmente estranea, perché lui vuole essere per tutti e di tutti. Devo essere sincero con voi amici democratici, questo a me un po’ spaventa, perché mi pare nasconda l’altro limite forte dell’azione di governo del vostro partito, la riduzione dei livelli di democrazia in questo paese.
Io ostinatamente continuo a pensare che una differenza ci sia - per citare Norberto Bobbio - tra “coloro che ritengono che gli uomini siano più eguali che diseguali” e “coloro che ritengono siano più diseguali che uguali”. Questi due differenti schieramenti siamo stati abituati a chiamarli rispettivamente sinistra e destra; io non riesco davvero a trovarci una sintesi.
E comunque, ubi maior, minor non cessat.

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