lunedì 13 ottobre 2014

da "Norme per la redazione di un testo radiofonico" di Carlo Emilio Gadda

Dal 1950 Gadda fece il funzionario alla Rai e, in questa veste, scrisse questo testo, che chi lavora nel mondo dell'informazione ora evidentemente non legge più.

[...] Ciò avvertito, ecco le regole generali assolute per la stesura di ogni testo radiofonico, generali cioè valide per qualunque tipo di testo radiofonico:

1) Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo.

2) Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive). All'affermazione: "Cesare, avendo accolto gli esploratori i quali gli riferirono circa i movimenti di Ariovisto, decise di affrontarlo", sostituire: "Cesare accolse gli esploratori. Seppe dei movimenti di Ariovisto e decise di affrontarlo".

3) Il tono gnomico e saccadé che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l'altra le idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone che porgono il biglietto, l'una dopo l'altra, al controllo del guardiasala. La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un écoulement, di una caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al "vuoto radiofonico".

4) Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L'occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l'orecchio di chi ascolta non reggono alla impreveduta sospensione. Nel comune discorso, nel parlato abituale, nella conversazione familiare non si aprono parentesi. Il microfono e il radioapparecchio con lui, è parola, è discorso. Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico e soltanto grafico. Seguendo nel parlato un'idea, non è opportuno abbandonarla a un tratto per correr dietro a un'altra in parentesi. E meglio liquidare la prima, indi provvedere alla seconda; così il cane da pastore azzanna l'una dopo l'altra le pecore per ricondurle al gregge: non può azzannarle a tre per volta. Congiunzioni temporali e modali e gentilmente avversative (dunque, pertanto, in tal caso, per tal modo, per altro, ma, tuttavia) permetteranno di agire in ogni evenienza con risultati apprezzabili, senza ricorrere a incisi, a parentesi.

5) Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate, o con opportuna transizione, o con esplicito avviso (omettere l'avviso, la frase di transizione, unicamente allorché il passaggio possa venir affidato alla voce). L'ascoltatore non è profeta e non può prevedere "quando" il discorso muterà, "quando" il dicitore lascerà un'idea, o un seguito d'idee e d'argomenti, per venire ad altro.

6) Evitare le litòti a catena, le negazioni delle negazioni. La litòte semplice - negare il contrario di quel che si intende affermare - è gentile e civilissima figura. Molto redditizia al microfono e in ogni forma di discettazione ragionata o di esposto critico o storico, attenua la troppo facile sicurezza o l'asprezza eccessiva di chi afferma: crea un distacco ironico dal tema, o dal giudizio proferito. "Questa lirica non è malvagia". "La prosa del Barbetti non è delle più consolanti". Ferale risulta invece all'ascolto la catena di litòti. Alla seconda negazione la mente per quanto salda e agguerrita dell'ascoltatore si smarrisce nella giungla dei "non". Ogni "non" della tormentosa trenodìa precipita dal cielo del nulla a smentire il precedente, per essere a sua volta smentito dal seguente. Una doppia litòte è, le più volte, un problema di secondo grado. Difficile risolvere mentalmente un problema di secondo grado, impossibile risolvere un problema di terzo grado. Sarà bene vincere pertanto la seguente catena di tentazioni: "Non v'ha chi non creda che non riuscirebbe proposta inaccettabile a ogni persona che non fosse priva di discernimento, il non ammettere che si debba ricusare di respingere una sistemazione che non torna certo a disdoro della Magnifica Comunità di Ampezzo". Più radiofonico: "Tutte le persone di buon senso vorranno ammettere che la sistemazione onorevole proposta dalla Magnifica Comunità di Ampezzo è senz'altro accettabile".

7) Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi o disgiuntivi o numerali o indefiniti, a modi qualificanti o indicanti comunque derivati o desunti dal pronome o dal numero: quello-questo, l'uno-l'altro, il primo-il secondo, esso, quegli, chi, ognuno, il quale, qualsivoglia d'essi, egli, ella, quest'ultimo. Deve apparir chiaro in su le prime a quali termini di una serie enunciata i detti pronomi si riferiscono. In caso contrario è meglio ripetere il termine, cioè il nome. Dopo aver elaborato una struttura sintattica risplendente di quattordici sostantivi singolari maschili uno via l'altro, il riattaccarsi con un "quello" o un "esso" all'uno dei quattordici (a quale?) induce l'ascoltatore in uno stato di tragica perplessità circa l'attribuzione del disperso trovatello (esso, quello) all'uno piuttosto che all'altro dei nomi proferiti. Evitare, possibilmente, di mettere in cantiere una frase come questa: "Il veleno del dubbio e per contro il timore del peggio si erano insinuati fin dal vecchio tempo, e in ogni modo dopo il recente conflitto, non forse nell'insicuro pensiero ma certo nel tremante cuore del popolano di borgo e del valvassore di castello in tutto il territorio (tanto nel fertile piano che sul colle amenissimo) del piccolo ducato e del congiunto priorato, protetti entrambi contro il tentato sopruso dell'esercito di Conestabile e contro il sistematico assedio del reggimento di Catalogna dall'impeto stagionale dell'affluente del Rodano, e sovrastati a tergo dal nero massiccio del Courtadet, già ricetto di un antico raduno conventuale ed ora di un pauroso brigantaggio: quello non meno sciagurato di questo". Dove "quello" può riferirsi a: veleno del dubbio, vecchio tempo, insicuro pensiero, popolano di borgo, fertile piano, piccolo ducato, sopruso dell'esercito del Conestabile, impeto dell'affluente del Rodano, antico raduno conventuale.

8) Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso, ma in ogni modo del parlato radiofonico. Una rima non voluta e inattesa travolge al ridicolo l'affermazione più pregna di senso, il proposito più grave. La regìa si riserva la facoltà di emendare dal vezzo d'una rima il testo che ne andasse eventualmente adorno.

9) Evitare le allitterazioni involontarie, sia le vocaliche sia le consonantiche, o comunque la ripetizione continuata di un medesimo suono. Le allitterazioni sgradevoli costituiscono inciampo a chi parla, moltiplicano la fatica e la probabilità di errore (pàpera). Ciò che è peggio interrompono l'ascolto con dei tratti non comprensibili, e non compresi di fatto. All'udire, talvolta, certe frasi di romanza, non si percepisce il significato dei vocaboli, che escono frantumati dalla gola di chi canta: il motivo musicale, ossia l'aria, appoggiato sugli "are" e sugli "ore" di un poetico nonsense, ci avvince con la sua mélode, esaudisce da solo la nostra sete di bellezza. Ma il parlato radiofonico non è pretesto o supporto a una frase musicale; deve essere compreso per se stesso; il suo valore deriva unicamente dal contenuto logico. Un esempio di allitterazione vocalica: i versi danteschi:

Suso in Itàlia bella, giàce un làco
e quella a cui il Sàvio bàgna il fiànco
orchestrati in a sulle sedi toniche, risultano difficilmente comprensibili all'apparecchio: si risolvono in una irruzione di a nella tromba timpanica dell'ascoltatore frastornato; irruzione a cui non corrisponde, per cause meramente fisiche, un adeguato fissaggio di immagini.

10) Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti, e in genere un léssico e una semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle forme del dire che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili. Figurano tra essi:
a) i modi e i vocaboli antiquati;
b) i modi e i vocaboli di esclusivo uso regionale, provinciale, municipale;
c) i modi e i vocaboli, talora arbitrariamente introdotti nella pagina, della supercultura (p. e. della supercritica), del preziosismo e dello snobismo;
d) i modi e i vocaboli delle diverse tecniche; della specializzazione;
e) i modi e i vocaboli astratti.

11) Evitare le forme poco usate e però "meravigliose" della flessione, anche se provengono da radicali (verbali) di comune impiego. Non tutti i verbi sono utilmente coniugabili in tutti i tempi, modi e persone. È questa una superstizione grammaticale da cui dobbiamo cercare di guarirci. Il verbo rappattumarsi genera uno sgradevole e male assaporato ti rappattumi (seconda singolare indicativo presente), il verbo agire genera, al primo udirlo, un incomprensibile agiamo (prima plurale indicativo presente), il verbo svellere uno svelsero (terza plurale indicativo remoto) alquanto indigesto, il verbo dirimere e il verbo redigere degli insopportabili perfetti. Tali mostri sono figli legittimi della coniugazione, ma la legittimità dei natali non li riscatta dalla mostruosità congenita.

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