mercoledì 15 ottobre 2014

Verba volant (135): stabilità...

Stabilità, sost. f.

Raramente le parole vengono scelte a caso, anche se spesso il caso influisce nella storia delle parole.
L'aggettivo stabile deriva dal latino stabilem, che a sua volta viene dal verbo stare, che significa rimaner fermo, a cui si aggiunge la terminazione bilem che indica la possibilità.
Questa è una parola che è da sempre nel linguaggio politico italiano. Nella cosiddetta prima Repubblica molti invocavano la stabilità di governo, in genere poco prima di far cadere l'esecutivo in carica. Nella seconda Repubblica ci siamo inventati il maggioritario proprio per garantire la stabilità di governo, con risultati non sempre soddisfacenti, tanto che nella prossima imminente terza Repubblica aboliranno le elezioni, proprio per soddisfare questo bisogno di durata ed efficienza. La stabilità sarà così finalmente garantita. Costi quel che costi.
In questi giorni però questa parola si usa in un'altra espressione, entrata solo dal 2010 nel nostro lessico, ossia legge di stabilità. mentre scrivo aspettiamo che il governo vari la legge di stabilità, già presentata in un'assemblea di Confindustria - giusto per capire da che parte sta questa maggioranza - e di cui i giornali propongono ampi stralci. Al di là delle notizie di giornata, che saranno comunque disattese nei prossimi giorni, perché questo governo si è specializzato in questa tecnica di alternare annunci roboanti e silenziose inerzie, è più interessante capire perché abbiamo cambiato nome alla legge di bilancio.
Dal 2010 infatti abbiamo cominciato a chiamare così la legge finanziaria, uno degli atti più importanti dell'amministrazione pubblica. E ovviamente non si tratta di un caso. Come noto, con la legge di stabilità il nostro paese ha perso un bel po' della propria autonomia, perché il bilancio, al di là di chi governi, deve rispettare alcuni vincoli imposti dall'esterno: il rapporto tra il disavanzo pubblico e il pil non deve superare il 3%; il rapporto tra debito pubblico e pil deve essere inferiore al 60%; il tasso di inflazione non può superare di oltre 1,5% quello dei tre stati membri che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi; il tasso d'interesse nominale a lungo termine non deve eccedere del 2% quello degli stessi tre stati, i primi della classe. In sostanza il nostro paese deve stare fermo, per rendere giustizia al valore etimologico del termine.
E da questa adesione acritica alle direttive europee deriva il cosiddetto patto di stabilità che di fatto impedisce alle amministrazioni locali di spendere i soldi, magari già in cassa: anche in questo caso il fine ultimo è quello di stare fermi, di non fare nulla. Se non ci fosse stata il patto di stabilità magari oggi avremmo la cassa di espansione del Baganza e ci sarebbero stati molti meno danni a Parma, a causa dell'alluvione; ma volete mettere l'ebbrezza di stare fermi, di non fare nulla, immobili.
Nei prossimi giorni Renzi ci sommergerà di tabelle, slide, grafici per dirci quanto è bravo e ci spiegherà quanta è vicina la ripresa e altre analoghe prese per il culo.
Non ci dirà invece le uniche cose che conterrà davvero questa legge di bilancio. Infatti quest'anno è entrato in vigore il nuovo art. 81 della Costituzione - imposto dalla Troika, auspicato da Napolitano e da Monti, e votato da tutti i partiti, compreso il Pd - che impone il vincolo del pareggio di bilancio e l'impossibilità di contrarre debiti. Inoltre quel parlamento ha ratificato il cosiddetto trattato sulla stabilità fiscale, imposto al nostro paese dalle autorità finanziarie internazionali e in particolare dalla Bce di Mario Draghi, in cambio dell'acquisto dei nostri titoli di stato e quindi della messa sotto controllo del debito pubblico. L'art. 4 del trattato prescrive che "quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore del 60% [...] tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all'anno". Vediamo cosa significa - anche perché dal 2015 comincerà a far sentire i suoi effetti. Il pil è circa 1.650 miliardi, per cui il 60% è intorno a 1.000 miliardi. Il nostro debito è poco più del doppio di questa cifra, miliardo più, miliardo meno. Quindi per far scendere il debito all'obiettivo del 60% del pil lo si dovrebbe ridurre di 50 miliardi l'anno per venti anni. L'obiettivo è forse raggiungibile, a patto di spingere nella miseria tre quarti della popolazione italiana e di assicurare la povertà ad almeno due generazioni. Cosa che Renzi deve fare per continuare a pavoneggiarsi in televisione.
Come è evidente a ciascuno di noi che tiene i conti della propria famiglia e magari ha un mutuo, per ripagare un debito a lunga scadenza in rate annuali è necessaria una condizione: il debitore, al netto di quanto spende per il proprio sostentamento, ogni anno - e per tutti gli anni previsti dal contratto di mutuo - deve avere delle entrate sufficienti per coprire ciascuna delle rate del debito. Nel caso dell'Italia questa condizione essenziale non esiste. Anche perché il debito non smette di crescere: al tasso medio del 4% gli interessi aumentano di circa 80 miliardi l'anno, in una spirale di cui è difficile vedere la fine. Una famiglia in cui le uscite sono sistematicamente maggiori delle entrate è destinata a non sopravvivere, un'azienda nelle stesse condizioni fallisce, uno stato deve trovare una soluzione diversa. Bisognerebbe partire da una tesi alternativamente opposta: smettere di stare fermi e cominciare a muoversi.
Ad esempio cambiando un po' le carte in tavola. La Bce ha prestato, in tempi diversi migliaia di miliardi alle banche a un tasso favorevolissimo dell'1%. E queste ultime hanno usato questi soldi per comprare i titoli del debito dagli stati, con interessi tripli o quadrupli. Questo è un meccanismo che deve essere interrotto: occorre abrogare l'art. 123 del trattato che vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli stati. Se la Bce prestasse i 1.000 miliardi che ci mancano a un interesse dell'1% si potrebbe cominciare a rimettere in sesto i conti pubblici; questo naturalmente provocherebbe una forte diminuzione di guadagni per le banche, ma probabilmente questo non dovrebbe essere una priorità per il governo di un paese sull'orlo del fallimento.
Naturalmente se fai questa proposta ti diranno che devi essere curato. O che sei un terrorista. O peggio che sei comunista. Può essere, però è da quando ho conosciuto don Chisciotte che mi piacciono i personaggi instabili. 

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