lunedì 20 ottobre 2014

Verba volant (137): socialista...

Socialista, agg. m. e f.

Io sono socialista.
Per molti anni - specialmente nell'ultimo decennio, ossia da quando non ho più avuto un partito in cui militare - mi sono definito "di sinistra" e questa formula mi è sempre parsa soddisfacente per me e comprensibile per i miei interlocutori; ad esempio mi sono definito così nella breve presentazione di questo blog, aggiungendo "da sempre (e per sempre)". Da qualche tempo sento che non mi basta più, non perché io non sia più di sinistra - anzi, invecchiando lo sono diventato anche di più, o almeno sono più radicale - ma perché questa espressione ha perso molto del suo significato.
Quando sento Renzi e i renziadi proclamarsi di sinistra sento che qualcosa non funziona, che questa parola è andata in cortocircuito. Naturalmente non posso avere la presunzione di dire a qualcuno: tu non sei di sinistra, tu non puoi chiamarti così, visto che io - come nessun altro - non ho il copyright di questa parola. E non posso neppure mettermi qui a dire: io sono più di sinistra di te. Mi pare una di quelle gare stupide da bambini riservate a noi maschietti; il livello di Taddei è quello, ma francamente non vorrei scendere così in basso.
Il problema è che non ci sono soltanto Renzi e i renziadi che usano questa parola in malafede, come un passepartout elettorale, ma c'è una generazione che sinceramente pensa di essere di sinistra, anche perché non ha mai visto altro. Io conosco qualche "nativo democratico" che è convinto di essere di sinistra. Sono bravi ragazzi, magari di famiglia democristiana, genericamente progressisti, che credono nel valore della pace, che hanno ammirato Mandela, che pensano che gli omosessuali abbiano il diritto di sposarsi e che per tutto questo credono di essere di sinistra. Sono persone che sono cresciute politicamente nell'era berlusconiana e che sono diventate di sinistra perché a destra c'era Berlusconi, che a loro non piaceva; e non gli piace neppure ora, nonostante sia un fedele alleato di Renzi. In quegli stessi anni a sinistra hanno visto quello che c'era da vedere, ossia molto poco. E quindi credono che possa nascere una sinistra diversa, anche e soprattutto più onesta di quella che loro hanno conosciuto. E questo è stato un punto dolente, qualcosa su cui non siamo riusciti a marcare una "diversità", come si diceva una volta.
Da quando c'è Renzi che dice di essere di sinistra come faccio a dire che anch'io sono di sinistra? Era successa la stessa cosa diversi anni fa quando Berlusconi si era impossessato del termine riforme. Se uno di destra definiva se stesso riformista, come potevo io continuare a considerarmi tale?
Però io ho bisogno di definirmi e non posso dire solo che sono antirenziano, come prima ero antiberlusconiano. E non mi basta neppure definirmi anticapitalista. E così mi sono reso conto che c'è un aggettivo che posso usare, anche se non è nuovo, anche se è stato usato così male, specialmente nel nostro paese, ma non solo. Sono socialista, perché, al di là della storia recente di questo termine, questo aggettivo indica un orizzonte storico verso cui tendere e un'ambizione collettiva e si pone immediatamente in contrapposizione con la realtà triste dei nostri tempi.
Sono socialista perché sono convinto che dobbiamo ottenere un'uguaglianza sostanziale, che è in antitesi alla concezione prettamente individualistica così in auge in questa fase di sfrenato capitalismo. Sono socialista perché penso che esistano dei beni comuni da sottrarre al mercato, perché penso che la ricchezza debba essere redistribuita, perché penso che l'utilità sociale, la piena occupazione, la dignità del lavoro possano porre dei limiti all'iniziativa privata, perché penso che il welfare debba essere universalistico, perché penso che lo stato abbia il primato della programmazione economica, fino ad arrivare all'intervento pubblico e alla socializzazione dei mezzi di produzione, perché penso che ci siano valori, come l'ambiente e la cultura, più importanti dello sviluppo economico e che sia possibile limitare il profitto se entra in contrasto con questi valori. Perché in sostanza penso che una società socialista con queste caretteristiche sia l'obiettivo dell'umanità, la futura umanità, come cantavano i nostri nonni e i nostri padri, intonando L'Internazionale.
Questo uso dell'aggettivo infatti non è particolarmente nuovo. Anzi è proprio antico e mi piace anche perché ha una storia lunga e, per quanto travagliata, gloriosa.
Quando Renzi dice che "gli imprenditori hanno il diritto di licenziare" forse può pensare di dire una cosa di sinistra e magari può convincere qualcuno che effettivamente sia così, perché in fondo la libertà è un valore della sinistra. E perché sono riusciti a convincere che la sinistra è cambiamento, senza specificare per far cosa; pensano di essere di sinistra solo perché cambiano, ad esempio perché aboliscono lo Statuto dei lavoratori, che è lì da quarant'anni.
Difficile però che tutti loro, sia quelli in malafede che quelli in buona fede, accettino di dire che si tratta di operazioni socialiste. Ecco credo che Renzi - a meno di un certo sprezzo del ridicolo - non possa definire se stesso come socialista, dovrà trovare qualche perifrasi, usare qualche formula più elaborata, ma socialista no. Anzi è il Pd che non vuole definire se stesso come socialista. E quindi a noi rimane un campo d'azione. Socialisti siamo noi, questo nome non potete rubarcelo, non potete usarlo voi. Perché anche quando tentano di usarlo, come hanno fatto a livello europeo, dove Renzi si presenta come un capofila del Pse, le loro idee, così legate al modello capitalistico dominante, sono - e saranno sempre - in antitesi con l'idea di costruire una società socialista.
Ecco a me piacerebbe che ripartissimo da lì, dicendo che ci batteremo per far nascere una società socialista. Poi torneremo a prenderci anche la parola sinistra e perfino riforme. Per questo non dobbiamo avere paura delle parole e soprattutto non dobbiamo avere paura delle idee.
Per questo io sono socialista.

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