mercoledì 21 ottobre 2015

Verba volant (218): occupare...

Occupare, v. tr.

Solo qualche anno fa - una vita fa, a essere sincero - pensavo e scrivevo cose diverse su molte questioni. Ad esempio pensavo che occupare fosse un reato. Certo anche allora provavo a capire le ragioni, spesso molto serie e complesse, a volte drammatiche, delle persone che si trovavano a occupare delle case vuote e lavoravo, nei limiti delle mie capacità e di quello che potevo fare per il mio ruolo politico e amministrativo, per risolvere queste situazioni. Nonostante questi distinguo, su questo punto avevo un'idea ferma e precisa: occupare è un reato e quindi è una forma sbagliata di lotta politica e sociale. Adesso non credo più sia un reato - naturalmente lo è per il codice, ma questo non mi interessa più o almeno mi sembra rilevante molto meno di allora - e soprattutto credo che sia un'azione di lotta possibile, certo non l'unica, ma una delle possibili.
Ci pensavo ascoltando alcune notizie che in queste settimane sono passate sugli organi di informazione, su cui c'è stata più o meno attenzione - ma quasi mai sono finite in prima pagina - a seconda del contesto politico e sociale in cui sono avvenute queste occupazioni. Anche se in nessun caso si è affrontato davvero il problema alla sua radice, ossia lo scandalo della povertà di un numero sempre crescente di persone e della disparità nella distribuzione delle risorse.
A Bologna ormai ogni settimana avviene uno sgombero. In un caso l'amministrazione comunale è stata platealmente ignorata, mentre in un altro è stata probabilmente connivente, anche se chiamata soltanto a cose fatte, quando c'era da recuperare i cocci. E' ormai cominciata la campagna elettorale, il partito che governa la città fa di tutto per cancellare il proprio passato di sinistra e cerca di accreditarsi a destra, per costruire una nuova maggioranza, ma soprattutto la magistratura vuole condizionare l'azione amministrativa del sindaco e purtroppo ci sta riuscendo. Quando la politica è debole - e oggi a Bologna è debolissima - è inevitabile che altri poteri, più o meno palesi, più o meno legittimi, più o meno democratici, ne prendano il posto: è un problema che dovrebbe interessare tutti quelli che hanno a cuore la democrazia, dovrebbe interessare perfino a quelli del pd. Mi preoccupa, da persona che ha amato Bologna, che ha un debito di riconoscenza per quello che ha insegnato a tanti di noi e che l'ha conosciuta diversa, l'indifferenza di una città che un tempo si sarebbe mobilitata di fronte a un attacco sistematico della magistratura alla convivenza sociale e alle prerogative politiche e democratiche, che avrebbe espresso maggiore solidarietà a quelle persone in difficoltà e soprattutto che avrebbe provato a costruire soluzioni per risolvere quel problema. Soluzioni politiche, perché da questa crisi si esce con la politica e non con la forza, come temo immagini qualcuno e qualcuno dice esplicitamente in piazza.
Un paio di settimane fa a Parma la magistratura e le forze dell'ordine hanno sgombrato una palazzina che era stata occupata da alcune famiglie, tutte con bambini piccoli. Questo edificio apparteneva a una delle società di Calisto Tanzi - era la sede di una delle agenzie di viaggi del gruppo - e, a causa dei noti dissesti finanziari della Parmalat, è passata da tempo nella disponibilità di una banca creditrice. L'edificio è rimasto vuoto per anni e così alcune famiglie lo hanno occupato, sistemando i danni più gravi e adattandolo alla meglio come abitazione, visto che prima veniva usato come sede di uffici. A un certo punto però la banca si è ricordata di avere quel bene, ne ha chiesto lo sgombero e l'ha ottenuto, perché formalmente ne è la proprietaria e perché evidentemente anche qui c'è qualcuno che vuole usare le "maniere forti". Chi ha commesso il reato più grave? Le famiglie che hanno occupato quell'edificio o la banca che è stata prima complice dei vertici di Parmalat e poi ha arraffato quel che poteva quando l'azienda è fallita? Di chi è quella casa? Di chi l'ha occupata, l'ha sistemata e l'ha ricominciata a utilizzare o di chi la usa come un numero, come un valore per garantire i propri investimenti? Chi ha più diritto su quell'edificio? Le famiglie che l'hanno occupato o la banca che l'ha "rubato"?
Io trovo scandaloso - e questo sì che dovrebbe essere un reato - che nelle nostre città ci siano migliaia e migliaia di case vuote, di proprietà della rendita finanziaria, delle banche a seguito di pignoramenti, delle assicurazioni. E ancora più scandaloso che ce ne siano tantissime di proprietà pubblica; probabilmente non c'è neppure un censimento preciso di tutti questi immobili vuoti o mal utilizzati di proprietà pubblica. Spesso queste case sono nelle aree centrali delle città, mentre in questi anni abbiamo continuato a costruire, troppo e troppo male, abbiamo realizzato case brutte, in brutte periferie. In sessant'anni abbiano cementificato un'area pari all'Emilia-Romagna, concentrandoci quasi sempre sulle aree più fragili dal punto di vista idrogeologico, più delicate da quello ambientale e più belle da quello paesaggistico. Abbiamo rovinato questo paese costruendo male e lasciando andare in malora un patrimonio immobiliare notevole. E il paradosso è che abbiamo costruito tanto, troppo, e tante persone, troppe, sono senza casa. E' qui che la politica ha fallito, che abbiamo fallito anche noi che abbiamo avuto responsabilità nel governo locale.
Diventando vecchio, contrariamente a quello che succede ai più, sono diventato più radicale e, come succede invece un po' a tutti, sono sempre meno paziente. Per questo non sono più disponibile a pensare a piani a lungo termine, a protocolli di intenti, a progetti su larga scala: non abbiamo più tempo per queste c...te. Bisogna cominciare a fare qualcosa. Occupare - al di là del fatto che sia un reato, ma questo ormai non mi importa - è un sistema che ha dei difetti. Quasi mai risolve i problemi di chi ha più bisogno, è una forma di lotta che aiuta i più forti tra i deboli. Però ormai, visto il punto in cui siamo arrivati, è indispensabile e auspicabile. Fa bene chi occupa. Intanto per mettere il potere di fronte alle proprie responsabilità: ti abbiamo scoperto, sappiamo che hai delle case vuote, perché non le metti a disposizione? Per mettere le amministrazioni locali di fronte ai loro errori: perché continuate a far costruire, se ci sono tante case vuote che potrebbero essere recuperate? Per costringere il capitale a cedere una parte dei propri beni: perché non vuoi dare ai più poveri quello che hai ottenuto, spesso togliendolo a loro, con la truffa e con la violenza?
Chi non ha nulla, chi è stato derubato fin della dignità, chi non immagina un futuro per sé e per i propri figli, è una vittima. Se occupa è una reazione legale, un atto di legittima difesa, perché fino ad ora è stato sistematicamente escluso dai diritti dei poteri dominanti. Occupare quello che è vuoto, che è in attesa di speculazioni immobiliari - come la sede dove c'era una volta la Telecom in via Fioravanti a Bologna - che viene lasciato deperire, non deve e non può essere punito. L'unico discrimine deve essere la condanna della violenza, che non è mai accettabile, e il non riconoscere il diritto di un altro povero: così ad esempio è sbagliato occupare una casa popolare che sta per essere assegnata, perché in questo modo si lede quel diritto, assolutamente legittimo, di qualcuno che ha più bisogno. La vera ingiustizia, la vera violenza è quella contro la dignità delle persone e delle famiglie. Ingiustizia è quando le case non sono al servizio dell'uomo, ma del profitto.
In Spagna da questo tema è ripartita la sinistra, la sinistra vera, perché migliaia di persone erano state gettate fuori dalle loro case da quelle banche che avevano concesso loro mutui in maniera disinvolta - per usare un eufemismo - e che quindi si sono ritrovate con un enorme patrimonio immobiliare inutilizzato. Così sono cominciate le occupazioni, gestite da associazioni, gruppi, realtà spontanee. E' stata bandita la violenza e sono state attivate reti di aiuto. Le famiglie che hanno occupato si sono impegnate a pagare un affitto equo, sostenibile, spesso aprendo dei conti in quelle stesse banche che stavano facendo di tutto per cacciarle, proprio per versare ogni mese questo affitto autoimposto. Le nostre città hanno bisogno che noi facciamo nascere realtà simili a queste, che - al di là della politica ufficiale, ormai sempre più incapace di guardare a quello che succede nel corpo vivo del paese - ricostruiscano quel tessuto solidale, di mutuo aiuto che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento mise in moto il progresso sociale e politico che ha portato tanti risultati nel secolo scorso. E che noi abbiamo colpevolmente gettato alle ortiche, seguendo un sogno neoliberale.
Quelle donne e quegli uomini furono rivoluzionari, perché rispettarono prima le leggi morali che quelle dei codici. Noi dobbiamo riscoprire quello spirito là, se non vogliamo morire servi di un potere che ci concederà soltanto quello che potremo spendere nei loro centri commerciali. Abbiamo bisogno di dire che ci sono leggi ingiuste che non riconosciamo più e che non riconosciamo un'autorità - come quella vista all'opera a Parma, a Bologna, in tante altre realtà - che è solo violenza, sopraffazione, difesa dei più ricchi contro i più poveri.
Spesso in queste occupazioni sono nate forme di solidarietà inedite. Di questo ha bisogno la nostra società, che ne conosce sempre meno. Don Giovanni Nicolini, uno dei pochi a Bologna che ha protestato, ha detto che alcune di queste realtà, benché fuori dalla legalità, danno vita a una legalità superiore. I compagni e gli amici di Coalizione Civica Bologna, altri che hanno protestato, hanno detto che c'è un solo modo per stare dalla parte della giustizia sociale: stare dalla parte dei deboli. Credo che dobbiamo ripartire da qui, dal basso, dall'inizio, anche riprendendoci spazi e parole, anche occupando - o rioccupando - un luogo politico e ideale che era nostro. E rioccupandoci degli altri.

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