domenica 15 novembre 2015

da "Il paradiso degli orchi" di Daniel Pennac

Cento metri più in là, la voce lamentosa di un muezzin si leva nel crepuscolo di Belleville. So bene cosa gli funge da minareto. E' una finestrella quadrata, una presa d'aria per latrine o un lucernario sul pianerottolo tra il terzo e il quarto piano di una facciata decrepita. Mi lascio trascinare per un attimo dalle geremiadi di questo prete venuto da lontano. Snocciola una sura che forse tratta di una malvarosa il cui sacro stelo spunta nelle mutande del Profeta. In tutto ciò c'è un dolore di esilio poco sopportabile. Per la prima volta, rivedo il morto dilaniato del Grande Magazzino. Poi penso a Louna e mi dò dello stronzo. E di nuovo le budella del meccanico dell'hinterland. Faccio appena in tempo ad appoggiarmi a un albero per non vomitare una seconda volta. Devo contare i passi per riuscire ad attraversare il viale ed entrare da Koutoubia.
Julius fila direttamente da Hadouch, in cucina. La voce del muezzin è coperta dalle conversazioni e dallo schioccare del domino. Il fumo ristagna e la maggioranza dei presenti sta seduta davanti a un pastis. Mi sa che il fratello mussulmano del lucernario dovrà faticare parecchio per riportare i suoi alla purezza dell'Islam!

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