sabato 19 dicembre 2015

Verba volant (233): diga...

Diga, sost. f.

Della vicenda dei due fucilieri di marina accusati dal governo indiano di aver ucciso due pescatori di quel paese si è parlato a lungo; spesso a sproposito. Come è noto, quel fatto di cronaca è stato caricato di significati politici, internazionali e nazionali, che vanno molto al di là dell'episodio in sé e che non contribuiscono certo a risolverlo. Nessuno però ricorda - o vuole ricordare - il problema di fondo: quei due militari italiani non avrebbero dovuto stare su quella nave. Per quale ragione dei dipendenti pubblici - quindi pagati dalla collettività - dovevano difendere gli interessi - ovviamente leciti, ma privati - di un armatore? E' un interesse dello stato che quell'armatore possa continuare a trasportare delle merci? No, è un problema suo garantire la sicurezza delle proprie navi, così come è un suo diritto ottenere un guadagno adeguato da quel lavoro, anche particolarmente carico di rischi. Semplicemente il governo di allora decise di fare un favore, parecchio oneroso, agli armatori, facendosi carico della sicurezza delle loro navi, senza avere in cambio alcuna contropartita; almeno di natura lecita.
Dal momento che perseverare è diabolico, il governo renzi - che proprio un santo non è - ha deciso di continuare in questa pericolosa confusione di interessi, pubblici e privati. Dopo aver tentato per qualche settimana di resistere agli ordini, sempre più perentori, delle forze del capitale affinché anche l'Italia schierasse nuove truppe in Medio Oriente, come hanno fatto in maniera disciplinata tutti gli altri paesi europei, usando come scusa gli attacchi terroristici dei loro "amici" dell'Isis, renzi è stato costretto a cedere. Aveva perfino tentato di spacciare come lotta al terrorismo islamico le mance elettorali previste in occasione delle prossime amministrative e i finanziamenti a pioggia alle sagre degli amici degli amici, ma evidentemente qualcuno l'ha tirato per la giacca e l'ha costretto a mandare i soldati al fronte. E così, riscopertosi guerriero, assiso su una poltrona di Vespa, ha annunciato l'invio in Iraq di un contingente di 450 militari: a Mosul, vicino al fronte, là dove si combatte e si rischia davvero. Abbiamo poi saputo, quasi incidentalmente, che le truppe italiane nello specifico saranno schierate a protezione della diga della città curda e che proprio nei prossimi giorni cominceranno i lavori di un'azienda italiana, la Trevi di Cesena, per la manutenzione straordinaria di questa opera. In pratica le truppe italiane andranno a proteggere i cantieri della Trevi.
Naturalmente la propaganda del Minculpop ci ha spiegato che questi lavori sono indispensabili per garantire la sicurezza di quell'opera che, se cedesse, causerebbe enormi danni in tutta la regione circostante e molto più a valle, forse fino a Baghdad, scaricando un'incredibile quantità di acqua. A dire il vero qualcuno dice che questi non siano lavori di consolidamento - che non sarebbero strettamente necessari - ma interventi previsti per potenziare ulteriormente la diga e renderla quindi ancora più pericolosa. Personalmente guardo sempre con sospetto alla costruzione di queste grandi dighe nei paesi in via di sviluppo, i cui benefici sono evidentissimi per le aziende che le costruiscono - e per i politici che prendono tangenti per farle costruire - e quasi nulli per quei paesi. Anzi spesso la costruzione di queste dighe ha rappresentato la rovina per molti popoli che vivevano in quelle aree, costretti a lasciare le loro case e i loro terreni. E un danno ambientale incalcolabile. Ad esempio il governo turco ha utilizzato la costruzione delle dighe nel territorio dei curdi con il duplice scopo di togliere l'acqua ai paesi confinanti e di distruggere alcune città di quel popolo colonizzato.
La diga di Mosul fu fatta costruire all'inizio degli anni Ottanta da Saddam Hussein soprattutto in funzione anticurda, per "arabizzare" il nord di quel paese, e fu realizzata da aziende italiane e tedesche. Quella diga è considerata una delle più pericolose del mondo, non solo perché si trova in un teatro di guerra, ma soprattutto perché è estremamente fragile; una parte è costruita su un deposito di gesso, un minerale che si scioglie a contatto con l'acqua, e quindi richiede una manutenzione costante e costosa. Quella diga - che realisticamente sarebbe da smantellare e non da rendere più grande - è evidentemente la gallina dalla uova d'oro per le aziende occidentali che vogliono curarne la manutenzione.
E allora proviamo a capire se è nato prima l'uovo o la gallina; in questo caso non si tratta di un esercizio ozioso. Primo scenario. Se il governo italiano ha deciso di schierare le proprie truppe proprio a Mosul dopo aver saputo che la Trevi aveva ottenuto l'appalto per i lavori di manutenzione della diga, ha fatto a quell'azienda un notevole favore. Sicuramente quelli della Trevi avevano previsto di assumere un discreto numero di contractors - come si chiamano adesso i mercenari - per proteggere i propri beni e i propri lavoratori a Mosul e avevano fatto la loro offerta tenendo conto anche di questi costi per la sicurezza; ora quella spesa non serve più e quindi la Trevi vedrà aumentare di molto i propri utili, grazie al lavoro dei militari italiani, che paghiamo noi. Secondo scenario. Quelli della Trevi sapevano che il governo avrebbe schierato l'esercito a protezione dei loro cantieri e quindi non hanno tenuto conto dei costi per la sicurezza e in questo modo hanno potuto tenere più bassi i costi complessivi e ottenere un appalto che stavano cercando, senza successo, da tempo. Questo intervento, comunque sia andata, è un successo per l'azienda di Cesena che ci guadagnerà molti soldi, anche al netto delle tangenti che pagherà, a Baghdad e a Roma. A spese nostre.
Ricordiamocelo durante le cerimonie per commemorare il primo italiano caduto a Mosul o quando srotoleremo gli striscioni con la foto di un soldato rapito laggiù da quelli dell'Isis. Questa non è la nostra guerra, è la guerra di chi fa affari, è la guerra dei governi loro complici, è la guerra di chi sfrutta i popoli. E' la guerra di chi costruisce le dighe e di chi toglie l'acqua ai popoli e dei governi che li proteggono. E' la guerra dei signori contro di noi.

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