domenica 10 gennaio 2016

Verba volant (239): bomba...

Bomba, sost. f.

I miei lettori più giovani non lo possono ricordare, ma per noi - e soprattutto per la generazione prima della nostra - la bomba è stata una minaccia reale, molto concreta per quanto lontana. Noi avevamo paura della bomba, anche se naturalmente nessuno ne aveva subito gli effetti e - per fortuna - li avrebbe mai subiti. Ovviamente non mi riferisco alle bombe "convenzionali" che purtroppo abbiamo visto e sentito scoppiare, anche molto vicino a noi, alle bombe che hanno ucciso a Milano, a Brescia, a Bologna, ma alla bomba atomica e a quella ad idrogeno, le bombe che erano state usate soltanto ad Hiroshima e a Nagasaki e che riempivano gli arsenali degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica e di alcuni altri paesi.
Razionalmente sapevamo che quelle bombe erano efficaci solo se non scoppiavano, anzi proprio perché non sarebbero mai scoppiate, che servivano a quella che si chiamava deterrenza, eppure ne avevamo comunque paura, perché i loro effetti sarebbero stati imprevedibili. Avevamo paura che una bomba scoppiasse per errore o per mano di un folle, dando così il via a un conflitto dagli esiti catastrofici per l'intero pianeta. La paura della bomba era qualcosa che tentavamo di esorcizzare in molti modi, perfino a scuola, nei disegni in cui ingenuamente rappresentavamo gli uomini di paesi diversi, un bianco, un nero, un cinese e così via - anche se i neri non avevano la bomba - tenersi la mano in un girotondo di pace, in un mondo finalmente libero dalla bomba. Capita ancora qualche volta di imbattersi in cartelli con la scritta Comune denuclearizzato; anche quello era un modo per esprimere, in maniera certamente velleitaria, l'impegno per la pace e per un mondo senza bombe. Quei cartelli avevano la stessa efficacia dei disegni che noi facevamo alle elementari. La bomba era un pericolo reale e incombente, contro cui le nostre speranze e anche il nostro impegno finivano inevitabilmente per soccombere.
Dopo qualche anno, a un certo punto, praticamente all'improvviso, abbiamo smesso di avere paura della bomba. Le bombe c'erano - e ci sono - ancora, sono sempre là dov'erano prima, custodite negli stessi arsenali - anche se in qualche caso è cambiata la bandiera che ci sventola sopra. Molte negli anni sono state distrutte, ma non tutte, e sappiamo che quelle poche che sono rimaste sarebbero sufficienti per distruggere il pianeta. Non c'è ragione per essere tranquilli, eppure non abbiamo più paura. Immagino che a scuola non si facciano più gli stessi ingenui disegni che facevamo allora e i cartelli Comune denuclearizzato sono ormai un oggetto di "archeologia amministrativa". Eppure il mondo è più complesso ora di allora, ci sono più soggetti fuori controllo, le bombe potrebbero molto più facilmente di allora cadere in mano a pazzi o a fanatici o a disperati. Ma non abbiamo più paura, neppure la notizia che forse il regime della Corea del nord potrebbe avere la bomba ci ha davvero spaventato, nonostante l'impegno con cui i mezzi di informazione hanno tentato di far rinascere la paura, disegnando un "nuovo cattivo" contro cui dovremmo batterci.
Forse è successo perché adesso abbiamo una paura più concreta, più reale, più probabile, come quella di rimanere vittime di un attentato terroristico, mentre assistiamo a un concerto, a una partita di calcio, o semplicemente perché un giorno abbiamo preso un vagone della metropolitana piuttosto che un altro o imboccato con la nostra auto una strada proprio in quel fatale momento.
In fondo la bomba ci proteggeva, perché contribuiva a dare un ordine al mondo che, mancata la paura della bomba, è andato inesorabilmente perduto. Ovviamente questo è qualcosa che riguarda soltanto noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere in questa parte del mondo, quella che aveva la bomba, perché nei quasi cinquant'anni in cui è durata la "pace delle bombe", negli altri paesi del mondo, quelli che non avevano la bomba, le guerre sono continuate e là le donne e gli uomini hanno continuato a morire per colpa delle bombe "normali". Noi vivevamo protetti dal fungo atomico, mentre là fuori i poveri si scannavano, quasi sempre in conflitti in cui combattevano al nostro posto. Allora qualcuno di noi pensava e diceva che le guerre, tutte le guerre, dovevano finire, che non avrebbe più dovuto esserci la bomba, ma che avremmo dovuto anche rimuovere le cause che provocavano quei conflitti, che si continuavano a combattere con i fucili, in alcuni casi perfino con le spade e i coltelli. Non è successo. La bomba è stata in qualche modo disinnescata, ma le cause di quei conflitti sono ancora tutte lì, anzi sono state in qualche modo acuite, perché è cresciuto il divario tra i pochissimi che hanno quasi tutto e i moltissimi che non hanno quasi niente, perché la guerra di classe che i ricchi combattono contro i poveri è sempre più violenta e crudele. E così la guerra delle bombe "normali", dei fucili, perfino dei coltelli è tornata anche qui, dove ci eravamo dimenticati cosa significasse. Per questo dobbiamo riannodare il filo del nostro impegno politico, ricordare cosa dicevamo un tempo, fare in modo che la nostra lotta sia la lotta di quella degli altri popoli, che non devono più essere nostri nemici, ma diventare nostri alleati. Dobbiamo ricordare, a noi e a loro, che i poveri del mondo devono combattere la stessa guerra, perché hanno gli stessi nemici, mentre ora ci fanno combattere su fronti opposti. E che, se vinceremo, vinceremo insieme.
E' così che ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba.

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