sabato 31 dicembre 2016

Verba volant (335): innocenza...

Innocenza, sost. f.

Ha suscitato clamore - e polemica - la frase pronunciata da un direttore di orchestra al termine di un concerto che, essendo dedicato alle musiche dei film Disney, aveva un pubblico composto in gran parte da bambine e bambini; invece dei soliti auguri, il maestro ha annunciato, in maniera solenne e dall'alto del suo podio, che Babbo Natale non esiste. Pare che i genitori degli innocenti presenti in sala - che evidentemente credevano ancora alla storia del vecchio con la barba bianca, vestito di rosso, che porta i regali a tutti i bambini del mondo - intendano condurre una class action contro l'incauto e troppo cinico musicista.
Ma qual è l'età giusta per dire ai nostri figli che Babbo Natale non esiste? E che anzi quel vestito rosso è stato creato da un pubblicitario di un secolo fa, per ricordare il colore dell'etichetta di una famosa bevanda gassata? E che quel vecchio è l'immagine moderna di un santo che viene dalla Licia, le cui reliquie sono state una delle cause delle crociate? E noi, quando abbiamo saputo che Babbo Natale - o la Befana o santa Lucia o sant'Antonio o chiunque porti i regali nella festa che da sempre si celebra intorno al solstizio d'inverno - non esiste?
E qual è l'età giusta per dire ai nostri figli che esistono la guerra, la povertà, lo sfruttamento? Qual è l'età giusta per far perdere loro l'innocenza? Magari suona un po' retorico, ma è inevitabile pensare a quelle bambine e a quei bambini che, all'età in cui i nostri figli - fortunatamente - credono ancora a Babbo Natale, hanno già combattuto o sono state violentate o hanno conosciuto un dolore che speriamo che i nostri figli non conoscano mai.
Sapete che non ho figli, ma immagino che se ne avessi, spererei potesse credere il più a lungo possibile alla storia di quel simpatico vecchio che la notte di Natale solca i cieli con la sua slitta trainata dalle renne, ma credo che poi gli - o le - vorrei insegnare quali mali, quali ipocrisie, quali interessi inconfessati ci sono dietro una crociata, che pericoli nasconde una campagna pubblicitaria e che sfruttamento c'è dietro quelle bollicine così seducenti, come sono complesse, varie, ma anche simili, le tradizioni dei popoli della terra e come tutti siamo spaventati quando le giornate di accorciano e come poi festeggiamo quando vediamo che ricominciano ad allungarsi. E soprattutto gli - o le - dovrei insegnare cosa sono la guerra, la povertà, lo sfruttamento, affinché quando sarà adulto - o adulta - continui a essere innocente, ma soprattutto lotti affinché questi mali diminuiscano.
Se ci voltiamo dall'altra parte, se facciamo finta di niente, non siamo innocenti, solo perché non facciamo male a qualcun altro. Perché essere innocenti non significa essere ignari di quello che succede nel mondo e neppure smettere di fare del male, ma combattere contro chi continua a farlo e difendere chi lo subisce. Quindi, quando avranno saputo che Babbo Natale non esiste, insegniamo ai nostri figli e alle nostre figlie che saranno davvero innocenti quando avranno combattuto per questo ideale.

giovedì 29 dicembre 2016

Verba volant (334): principessa...

Principessa, sost. f.

Carrie Fisher era una donna capace di ironia e spesso diceva che a diventare famosa non era stata lei, ma la principessa Leila, che il caso aveva fatto somigliare a Carrie Fisher. Credo abbia ragione; e infatti noi non sappiamo chi sia la donna che è morta a causa di un infarto due giorni dopo Natale, non la conosciamo, per noi è una perfetta estranea, e di conseguenza risuonano vuote e inutilmente retoriche molte frasi di cordoglio lette in questi giorni. Se non conoscevamo la signora Fisher non abbiamo ragione di essere così addolorati.
Però noi conoscevamo la principessa Leila, ci ha turbato da ragazzi per quel suo bikini di metallo - che peraltro oggi ci sembra castissimo, pensando a cosa vedono i nostri figli al cinema - è stata l'eroina di una bella storia, in cui era facile sapere chi erano i buoni e chi i cattivi. Anche perché poi abbiamo imparato, spesso a nostre spese, che nella vita non è così facile fare questa distinzione.
Proprio perché conoscevamo bene Leila, i nostri ricordi sono legittimi, ed è perfino ammessa - anche se sarebbe opportuno non esagerare - la nostra tristezza. E' che le storie hanno un potere che noi a volte sottovalutiamo. Anche noi abbiamo viaggiato sul Millenium Falcon, così come abbiamo girato per le strade di Chicago sulla bluesmobile con Jake ed Elwood. E abbiamo combattuto con la banda di Robin Hood nella foresta di Sherwood, abbiamo partecipato alle grandi feste di Gatsby, abbiamo mangiato i falafel a Belleville con qualcuno dei Malaussène, abbiamo seguito Lawrence d'Arabia nell'assedio di Aqaba, abbiamo incontrato Sherlock Holmes in un treno diretto nel Devon. E ne abbiamo fatte davvero più di Carlo in Francia; già perché siamo andati anche con Astolfo sulla luna.
Poi lo sappiamo fin troppo bene che queste sono storie, che la nostra vita - di cui pure siamo contenti e di cui ogni giorno ringraziamo per quel suo tranquillo e monotono tran tran - è diversa da quelle storie. E sappiamo che non abbiamo mai fatto - e non faremo mai - nessuna di quelle cose. Ma certo, quando abbiamo saputo che è morta la principessa Leila, allora abbiamo avuto la certezza che non saremmo mai andati a combattere contro l'Impero.

domenica 25 dicembre 2016

Verba volant (333): dio...

Dio, sost. m.

Per un greco antico, per uno che era cresciuto ascoltando le storie di quegli dei, era assolutamente naturale che un dio o una dea prendesse forma mortale. Per quella cultura era normale che un dio si facesse uomo, per aiutare o per punire un mortale, per giacere, anche con la violenza, con una mortale. Però si trattava di qualcosa che durava un tempo definito: svolta la sua missione, ottenuto il suo piacere, quel dio smetteva di essere uomo - o animale - e tornava tra gli Olimpii. Ed era anche possibile, seppure molto più raro, che un mortale, al termine della sua vita su questa terra, diventasse un dio.
Lo scandalo della nuova religione che nacque mentre il potere di Roma si affermava sul mondo orientale è che in quella mitologia, per la prima volta, un dio si faceva uomo, in maniera definitiva. E quel dio, che evidentemente poteva scegliere ogni vita, decise di nascere molto lontano dal centro dell'impero, in una famiglia poverissima, decise di nascere non nella casa del falegname di Nazareth che aveva scelto come padre, ma in un'altra città, in condizioni precarie, come uno sfollato. E decise di nascere in una famiglia presto costretta alla fuga, in un famiglia di profughi, e soprattutto decise di morire giovane, come un bandito, dopo un supplizio atroce, con la pena più vergognosa che si usava in quel tempo. Quel dio non avrebbe potuto scegliere una condizione più abietta per diventare uomo. La novità, e appunto lo scandalo, della religione dei cristiani, sta in questa incredibile e inaudita decisione del loro dio, che scelse di essere uomo. Ho l'impressione che la portata rivoluzionaria di questa decisione sia stata in qualche modo nascosta nelle teologie, sempre più complicate, di chi voleva provare a spiegare l'inspiegabile. E in una costruzione dogmatica sempre più complessa, diventata a sua volta incomprensibile, e in una chiesa ormai ridotta a fornire prescrizioni e divieti sulla vita sessuale dei suoi adepti.
Credo che, guardando un presepio o una croce, quelli che credono farebbero bene a riflettere su questo scandalo. E dovremmo farlo anche noi che non crediamo.

sabato 24 dicembre 2016

da "Mondo piccolo. Don Camillo" di Giovanni Guareschi

Si era oramai sotto Natale e bisognava tirar fuori d'urgenza dalla cassetta le statuette del Presepe, ripulirle, ritoccarle col colore, riparare le ammaccature.
Ed era già tardi, ma don Camillo stava ancora lavorando in canonica. Sentì bussare alla finestra e, poco dopo, andò ad aprire perché si trattava di Peppone. Peppone si sedette mentre don Camillo riprendeva le sue faccende, e tutt'e due tacquero per un bel po'. "In questo porco mondo un galantuomo non può più vivere!" esclamò Peppone dopo un po'.
"E cosa ti interessa?" domandò don Camillo. "Sei forse diventato un galantuomo?"
"Lo sono sempre stato."
"Oh bella! Non l'avrei mai immaginato."
Don Camillo continuò a ritoccare la barba di San Giuseppe. Poi passò a ritoccargli la veste.
C'è ancora il brutto giallo dell'uccisione del Pizzi da risolvere. Tutti diffidano e hanno paura di tutti. Compreso Peppone, che teme di andar a finire in prigione, e sente il bisogno di confidarsi con qualcuno…
"Ne avete ancora per molto tempo?" si informò Peppone con ira.
"Se mi dai una mano, in poco si finisce."
Peppone era meccanico e aveva mani grandi come badili e dita enormi che facevano fatica a piegarsi. Però, quando uno aveva un cronometro da accomodare, bisognava che andasse da Peppone. Perché è così, e sono proprio gli omoni grossi che son fatti per le cose piccolissime. Filettava la carrozzeria delle macchine e i raggi delle ruote dei barocci come uno del mestiere.
"Figuratevi! Adesso mi metto a pitturare i santi!" borbottò. "Non mi avrete mica preso per il sagrestano!"
Don Camillo pescò in fondo alla cassetta e tirò su un affarino rosa, grosso quanto un passerotto, ed era proprio il Bambinello. Peppone si trovò in mano la statuetta. Senza sapere come, e allora prese un pennellino e cominciò a lavorare di fino. Lui di qua e don Camillo di là della tavola, senza potersi vedere in faccia perché c'era fra loro, il barbaglio della lucerna.
"È un mondo porco" disse Peppone. "Non ci si può fidare di nessuno, se uno vuoI dire qualcosa. Non mi fido neppure di me stesso."
Don Camillo era assorbitissimo dal suo lavoro: c'era da rifare tutto il viso della Madonna. Roba fine.
"E di me ti fidi?" chiese don Camillo con indifferenza.
"Non lo so."
"Prova a dirmi qualcosa, cosi vedi."
Peppone finì gli occhi del Bambinello: la cosa più difficile. Poi rinfrescò il rosso delle piccole labbra. "Vorrei piantare lì tutto" disse Peppone. "Ma non si può."
…Peppone sospirò ancora.
"Mi sento come in galera" disse cupo.
"C'è sempre una porta per scappare da ogni galera di questa terra" rispose don Camillo. "Le galere sono soltanto per il corpo. E il corpo conta poco."
Oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone. Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera.
Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna.
"Il mio bambino sta imparando la poesia di Natale" annunciò con fierezza Peppone. "Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. È un fenomeno."
"Lo so" ammise don Camillo. "Anche la poesia per il Vescovo l'aveva imparata a meraviglia."
Peppone si irrigidì. "Quella è stata una delle vostre più grosse mascalzonate!" esclamò. "Quella me la dovete pagare."
"A pagare e a morire si fa sempre a tempo" ribatté don Camillo. Poi, vicino alla Madonna curva sul Bambinello, pose la statuetta del somarello. "Questo è il figlio di Peppone, questa la moglie di Peppone e questo Peppone" disse don Camillo toccando per ultimo il somarello.
"E questo è don Camillo!" esclamò Peppone prendendo la statuetta del bue e ponendola vicino al gruppo.
"Bah! Fra bestie ci si comprende sempre" concluse don Camillo.
Uscendo, Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa.
Poi udì risuonarsi all'orecchio le parole della poesia, che oramai sapeva a memoria. "Quando, la sera della Vigilia, me la dirà, sarà una cosa magnifica!- si rallegrò. - Anche quando comanderà la democrazia proletaria le poesie bisognerà lasciarle stare: anzi, renderle obbligatorie!"
Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l'argine, ed era anch'esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all'acqua, c'eran voluti mille anni. E soltanto fra venti generazioni l'acqua avrà levigato un nuovo sassetto. E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l'ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all'anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino.

Verba volant (332): pascolo...

Pascolo, sost. m.

In italiano usiamo questa parola per indicare il terreno in cui l'erba non viene falciata in modo che serva da nutrimento per gli animali. L'etimologista senese Otorino Pianigiani spiega che si tratta di una forma di diminutivo dell'antico termine pasco, usato anche ai suoi tempi solo in poesia. E nella denominazione di una delle più importanti banche italiane. Credo che a questo punto avrete capito di cosa parlerò in questa definizione: non certo di allevamento, anche se molti hanno pascolato su quella banca. Il Monte dei paschi di Siena si chiama così dal 1624 - anche se la banca venne fondata già nel 1472 - perché in quell'anno il granduca Ferdinando II concesse in garanzia dei debiti della banca le rendite dei pascoli demaniali della Maremma. Tutta roba molto old economy.
Come noto in questi giorni quella banca è stata di fatto nazionalizzata. Peraltro è curioso come questi governi di destra, ispirati dall'ultraliberismo, scoprano queste soluzioni "comuniste" solo quando c'è da salvare una banca. Comunque sia, credo che questa scelta fosse inevitabile per salvare i dipendenti e i clienti di quell'istituto: l'Italia non poteva  permettersi che Mps fallisse. Personalmente credo sia stato giusto, sono disposto a cedere un po' dei soldi che ho pagato con le mie tasse per salvare quella banca, anche se vorrei che quei "miei" soldi non fossero gestiti dagli stessi che hanno portato la banca alla rovina.
Io non ne ho le competenze e questo dizionario non è neppure la sede per un'analisi del genere, ma credo si possano facilmente individuare le persone che negli anni sono state le responsabili di questo fallimento: quelli che hanno compiuto operazioni sbagliate o pericolose, quelli che hanno avallato queste scelte, quelli che non hanno vigilato, quelli che in questi anni si sono arricchiti alle spalle della banca e anche quelli che ci guadagneranno grazie a questo salvataggio pubblico. Immagino siano molti, anche se non moltissimi, e un paese serio avrebbe il dovere di perseguirli, ma ovviamente questo non accadrà. Perché non siamo un paese serio, ma soprattutto perché questa non è una crisi accidentale, ma di sistema. Di Mps, come di altre banche importanti, si dice che è troppo grande per poter fallire: mi verrebbe da rimodulare questa frase dicendo che queste banche falliscono proprio perché sono troppo grandi.
Poi il Monte dei paschi è una banca molto particolare, la cui storia è da sempre intrecciata con quella della sua città, perché la città ne è stata per lunghissimo tempo la "proprietaria". E siccome nel secondo dopoguerra a Siena c'erano i comunisti, per molti anni l'espressione abbiamo una banca aveva un significato preciso per i compagni della sinistra senese. E quel sistema, nonostante alcune opacità - non era mai facile capire quale fosse la sede in cui si prendevano le decisioni nella città toscana, se in banca o nel partito - ha funzionato. Personalmente non credo sia un caso se la crisi di quella banca sia cominciata quando noi abbiamo cominciato a diventare un'altra cosa. Si tratta ovviamente di un processo di alcuni anni, ma che ha avuto nel 1995 un passaggio fondamentale con la trasformazione di quell'istituto di credito di diritto pubblico in una società per azioni. E quasi contemporaneamente con il suicidio del partito erede di quella storia e la nascita al suo posto di consorterie molto opache.
Il problema però non sta solo in questo passaggio né solo negli errori, spesso dolosi, dei singoli amministratori, quanto in un vizio intrinseco, in sostanza in quello che è diventato il capitalismo. Perché alla base della ricchezza non ci sono più i pascoli, perché pare che l'economia moderna non debba più basarsi su questi valori, concreti e tangibili, ma soltanto sull'alea del denaro che serve a produrre altro denaro. A un certo punto si è cominciato a produrre i soldi attraverso i soldi e non attraverso il lavoro. In fondo la vera crisi di Mps nasce da qui, dall'arroganza e dall'egoismo volgare del capitalismo.
Nel Palazzo pubblico di Siena sono conservati due celebri cicli di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, che rappresentano gli effetti del cattivo e del buon governo sulla città. A dominare l'allegoria del cattivo governo è un mostro diabolico assiso in trono, la personificazione della tirannide secondo il pittore e i suoi committenti. Ora noi potremmo dire l'immagine del capitale, i cui effetti sulla vita delle persone che vivono in città e in campagna è terribile e mortale: la crisi di Mps non è un accidente della storia, come vogliono farci credere, a cui si può mettere mano partendo dagli effetti, senza intervenire sulle cause. Questo fallimento è una conseguenza inevitabile quando si lascia tutto il potere al capitale. E quindi il nostro obiettivo deve essere abbattere quel mostro.

Verba volant (331): poliziotto...

Poliziotto, sost. m.

Quando sei un ragazzo - e, a dire il vero, non solo a quell'età - è una fatica leggere Guerra e pace, soprattutto per quelle interminabili descrizioni di battaglie in cui sembra che non succeda mai niente. Sei cresciuto vedendo la guerra al cinema, partecipando, seppur in questo modo indiretto, al vivo dell'azione, e poi arriva Tolstoj a dirti che le battaglie sono questo lungo insieme di azioni casuali, in cui un evento fortuito può significare la vittoria, o la sconfitta. Certo si possono riconoscere alcuni atti di eroismo, come inevitabili momenti di viltà, ma la guerra è soprattutto questo intrecciarsi di azioni "normali", di comportamenti assolutamente comuni, che si svolgono indipendentemente le une dalle altre, e che portano a un esito imprevedibile e imprevisto. E tu puoi essere il più esperto degli strateghi, puoi anche essere Napoleone, ma se non ti rendi conto - e non accetti - che la guerra, come la vita, è questa storia complessa, questo allinearsi di episodi scollegati, su cui puoi incidere poco o nulla, sarai sempre destinato alla sconfitta.
Ammetto di averla presa un po' alla lontana per commentare quello che è avvenuto in una notte di dicembre a Sesto San Giovanni. Ci sono questi due giovani poliziotti di pattuglia in una fredda notte poco prima di Natale. Chissà perché hanno deciso di fare i poliziotti in un paese che ama così poco le regole e ancora meno chi cerca di farle rispettare. Peraltro spesso anche i poliziotti non amano le regole e sfruttano il loro potere per infrangerle. Magari quei due giovani hanno deciso di fare i poliziotti perché affascinati dalla divisa e dalle armi, o perché sono un po' fascisti, di quel fascismo che è soprattutto ignoranza, o perché questa è stata l'unica opportunità che hanno visto in questi tempi difficili. Comunque sia, si sono trovati di fronte a questo tipo sospetto nella zona della stazione di Sesto San Giovanni. Quante persone dall'aria sospetta girano ogni notte, nei pressi delle stazioni di ogni città italiana? Migliaia. Forse avrebbero fatto meglio a lasciar perdere, come si fa in tanti casi simili. Forse è un balordo che non ha nulla da perdere, forse è armato e, proprio perché non ha niente da perdere, potrebbe essere molto pericoloso. O forse è un balordo, ma non è armato - ma come si fa a essere sicuri su cosa tiene in mano in questa nebbiosa notte invernale - e se gli spari comunque, la rischi grossa. Meglio far finta di niente, convincersi che è solo un'ombra nella notte. Invece quei due ragazzi hanno chiesto i documenti a quel tipo sospetto e si sono trovati di fronte all'uomo in quei giorni più ricercato dalle polizie di tutta Europa. E per fortuna sono entrambi ancora vivi per poterlo raccontare. E così è stata vinta una battaglia in questa strana guerra che da anni ci fanno combattere contro un nemico che non vediamo. E i ministri, i prefetti, i questori, novelli napoleoni, si sono vantati di questa vittoria così assolutamente casuale, come ogni vittoria. E però non hanno saputo spiegarci cosa davvero è successo, perché è successo, così come non lo sanno quei due giovani poliziotti. E non lo saprebbe neppure lo sconfitto di questa battaglia.
Credo ci farebbe bene leggere - o rileggere - Guerra e pace.

mercoledì 21 dicembre 2016

Verba volant (330): esausto...

Esausto, agg. m.

Sono rimasto colpito dalla scarsa attenzione che in questi giorni tutti noi abbiamo dedicato all'attentato di Berlino. Quasi nessuna bandiera tedesca nei social, pochissimi Ich bin ein Berliner, non ho notizia di manifestazioni. Certo noi italiani non abbiamo mai amato molto i tedeschi, neppure quando siamo stati loro alleati di ferro. Ma questo non è stato un attentato contro la Germania, è stato - ancora una volta - un attacco all'Europa, alle grandi città dell'Europa, in cui per forza di cose ci si mescola, ci si meticcia. Tra le vittime ci sono una giovane studentessa nata a Sulmona e un camionista polacco, come presumibilmente ci sono dei cittadini tedeschi nati nel vicino e nel lontano oriente, perché quelle bancarelle - a Berlino come nelle nostre città - sono gestite per lo più da persone venute qui in Europa da lontano. E' un attacco alle donne e agli uomini, quindi in qualche modo ci riguarda.
Forse non abbiamo più le parole per raccontare il nostro dolore, le abbiamo finite tutte. Non fingiamo che stavolta rispettiamo in silenzio il dolore di quei morti e di quelle famiglie, perché per cose più futili riusciamo a trovare le parole. Siamo tutti presi a insultarci tra sostenitori e detrattori della Raggi, raccogliamo firme contro Poletti: robetta da poco, se ci pensate, a confronto di quello che succede nel mondo. Forse siamo distratti dalle festività natalizie, siamo impegnati nelle cene di auguri con i colleghi e con i parenti, con persone con cui durante l'anno fatichiamo a prendere un caffè, siamo indaffarati ad acquistare regali, facciamo la fila nei centri commerciali. Non possiamo smettere di comprare: i terroristi non l'avranno vinta, non distruggeranno i valori della civiltà occidentale, non ci toglieranno le nostre carte di credito. Forse stiamo diventando dei ragionieri del dolore: calcoliamo un tot di cordoglio a persona e visto che i morti di Berlino sono meno di quelli di Parigi decidiamo di ricalcolare in questo modo il nostro dolore. Anche se in questa contabilità c'è qualcosa che non quadra, perché il maggior numero di morti li sta subendo Aleppo, li stanno subendo tante città degli "altri", eppure per quelle stragi, per quegli attentati, per quelle vittime, la nostra soglia di dolore è assai bassa.
Forse siamo esausti. In italiano questo aggettivo significa stanco, ma il suo significato etimologico è vuoto. Forse siamo semplicemente vuoti, di idee, di speranze, di voglia di lottare. Non capiamo che il nemico che getta quei camion contro la folla inerme, che spara, che piazza le bombe, non è il fanatismo o una religione o un popolo con una lingua e una cultura diversa dalla nostra, ma è una forza che ci vuole deboli e impauriti, noi e loro, noi e quelli che ci dicono sarebbero i nostri nemici, perché hanno una lingua, una cultura, una religione, diversa dalla nostra, mentre sono uguali a noi, ugualmente deboli e impauriti. Il nostro nemico è chi ci vuole, noi e loro, vuoti. E il nostro nemico sta vincendo proprio perché siamo sempre più esausti, noi e loro, perché abbiamo sempre meno parole, e meno lacrime. E meno voglia di ribellarci, noi e loro.

domenica 18 dicembre 2016

Verba volant (329): laurea...

Laurea, sost. f.

Premessa: ovviamente non voglio difendere Valeria Fedeli, che è una persona che non stimo e di cui ho un pessimo giudizio, perché è del pd; anzi è tra quelli del pd che mi fanno più schifo perfino dei "renziani nativi", perché Fedeli, come molti altri, è diventata renziana per fare carriera. Detto questo non riesco più a sopportare tutti i commenti a proposito della sua mancata laurea, perché ormai il tema non è più - e non è solo più - il fatto che nel suo curriculum ci fosse un fantomatico diploma di laurea, declassato poi a semplice diploma e forse neppure quello - spero che adesso non cominci la ricerca dell'esito dell'esame di quinta elementare della piccola Valeria - ma proprio il fatto che sarebbe inadeguata a fare il ministro - tanto più dell'istruzione - proprio perché non ha la laurea. Non ricordo una simile canea sui social quando Benedetto Croce, che notoriamente non aveva finito l'università, assunse tale incarico.
Io - come immagino anche voi - ho conosciuto dei laureati che sono perfetti imbecilli, mentre ho imparato moltissimo da donne e uomini che si sentivano più sicuri a parlare in dialetto piuttosto che in italiano e che non avevano finito neppure le elementari. Anch'io, come dice di sé il poeta son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato. Ho avuto un'opportunità che i miei genitori non hanno avuto e che hanno fatto di tutto affinché avessi: sono abbastanza sicuro - anche se non me l'hanno mai detto né io l'ho detto a loro - che il giorno in cui mi sono laureato loro fossero molto più contenti di quanto lo fossi io, perché quella corona d'alloro che gli amici mi avevano scherzosamente messo in testa per loro è stato un traguardo, mentre per me era un momento di passaggio, un qualcosa di necessario, ma non sufficiente. A essere sincero quel pezzo di carta non è stato determinante per le cose che ho fatto, ad esempio avrei potuto partecipare al concorso per il posto in cui adesso lavoro anche con la sola maturità, però ci sono state lezioni a cui ho assistito, incontri che ho fatto, libri che ho letto in quegli anni dell'università, che sono stati fondamentali, sono qualcosa che mi rimarrà per sempre, che mi hanno fatto diventare, nel bene e nel male, quello che sono. Poi in quegli stessi anni ho anche cominciato a fare politica - anzi ci ho messo un po' a laurearmi proprio perché facevo troppa politica - e anche quella è stata una scuola fondamentale, con le sue lezioni, i suoi incontri, i suoi libri. E anche i suoi esami.
Per questo il tema non è se quel presidente, quel ministro, quel sindaco, abbia o no la laurea, ma chi sia, quali siano le sue idee, cosa sappia e voglia fare. Proprio per questo le battute, le dichiarazioni, le prese di posizioni più o meno sdegnate, di questi giorni non ci fanno riflettere, perché è passata l'idea che la politica sia una questione tecnica, come la medicina, qualcosa che devono fare gli esperti. Peraltro ci sono medici, ovviamente laureati - spero - che sono incapaci assoluti quando devono parlare con i loro pazienti. Anche la bugia di Fedeli testimonia questo clima. Lei o qualcuno del suo staff, scrivendo quel curriculum, avrà pensato che non sta bene avere almeno una laurea e quindi ha un po' stiracchiato quel titolo; invece Fedeli avrebbe dovuto valorizzare il suo impegno, il suo lavoro nel sindacato, che peraltro ha rinnegato votando il jobs act, ma questa è appunto un'altra storia, che riguarda, per fortuna, la politica e quello che una persona vale, indipendentemente da quello che ha studiato.

sabato 17 dicembre 2016

Verba volant (328): fotocopia...

Fotocopia, sost. f.

In questi giorni la definizione più frequente per descrivere il gabinetto Gentiloni è stata governo fotocopia. Effettivamente le modifiche sono state così modeste da farmi quasi dimenticare che renzi si sia dimesso, se non fosse per i festoni che ho ancora attaccato in soggiorno, per le lingue di Menelik cadute dietro il divano, per le bottiglie vuote di spuma con cui ho festeggiato la dipartitita dell'uomo di Rignano. Comunque sia, perfino nei monocolori democristiani degli anni Cinquanta e Sessanta c'era più movimento di quello offerto da questa recentissima crisi di governo.
In ogni caso mentre Gentiloni saliva e scendeva dal Colle, anche Trump ha continuato ad annunciare i componenti della propria amministrazione e in questo caso non si può certo parlare di governo fotocopia. Almeno apparentemente.
Mi pare non sia stato sottolineato abbastanza: l'elezione di Trump rappresenta forse la più grande rottamazione - il termine non mi piace, ma rende l'idea - mai avvenuta in un paese occidentale. The Donald è il primo presidente degli Stati Uniti a non avere mai ricoperto un incarico pubblico nell'amministrazione o nell'esercito. Del suo segretario di stato è stato ampiamente sottolineato che è un amico di Putin, ma non il fatto che neppure lui ha mai avuto un ruolo politico, essendo l'amministratore delegato della Exxon Mobile. In altri ruoli chiavi dell'economia sono stati scelti manager e proprietari di corporation alla loro prima esperienza politica. Oppure generali da pochissimo non più in servizio, per i quali deve scattare una qualche deroga per assumere incarichi di governo. O familiari dello stesso Trump. Sicuramente negli Stati Uniti si sta per insediare un nuovo governo, ma non sarà un governo nuovo.
Ovviamente le persone "scelte" da Trump si sono sempre occupate di politica, l'hanno finanziata, l'hanno condizionata. I texani Bush ad esempio sono stati i rappresentanti della grande industria energetica e petrolifera e quindi uno come Rex Tillerson in qualche modo si è già occupato della politica estera degli Stati Uniti. Il nuovo segretario al tesoro, Steven Mnuchin è un manager della Goldman Sachs, come lo erano Robert Rubin e Henry Paulson, che hanno ricoperto lo stesso incarico con Clinton (marito) e Bush (figlio): negli ultimi vent'anni il "partito" di questa enorme banca d'affari ha espresso il ministro del tesoro per un lungo periodo, indipendentemente da chi sedesse alla Casa bianca. Ma evidentemente qualcosa è cambiato, anche negli Stati Uniti, nel rapporto tra capitale e politica. E' come se il capitale avesse voluto affrancarsi dai politici per assumere direttamente il controllo del potere. I capitalisti hanno deciso che la politica è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai politici.
C'è un dato che mi ha molto colpito: il governo Trump, allo stato attuale, ha un patrimonio stimato in 35 miliardi di dollari, più del pil di almeno un centinaio di paesi del mondo. Trump e i suoi ministri valgono più del Vermont. Credo sia chiaro quale sarà la politica del lavoro del nuovo ministro Amdrew Puzder, amministratore delegato di una grande catena di fast food, o quale sarà l'impronta economica determinata da un finanziere come Wilbur Ross, che sostiene che le tasse per le imprese devono essere ridotte fino al 15%. Questo governo nasce per tutelare soltanto i grandi azionisti delle corporation e questi, in una fase così delicata, non hanno voluto correre rischi, non hanno voluto delegare ad altri la difesa di questi interessi, ma hanno deciso di occuparsene direttamente. 
Assistiamo quindi al paradosso di un governo espressione come non mai dei poteri di Wall street eletto grazie ai voti di chi voleva meno Wall street, anzi eletto proprio grazie alla propaganda contro Wall street. Magari il governo Trump non sarà un governo fotocopia, ma i lavoratori degli Stati Uniti sanno perfettamente cosa aspettarsi da questo esecutivo così smaccatamente di classe, così sfacciatamente schierato a favore dei ricchissimi contro i poveri. E sarà durissima. Francamente non so se questo sia solo un segno di forza del capitale; forse è anche il segnale che i capitalisti hanno paura, che si rendono conto che il loro potere, cresciuto in maniera così volgarmente ingiusta, potrebbe sgretolarsi e quindi che per difendersi occorre ogni loro energia. E quindi anche noi dobbiamo dedicare a questa battaglia contro di loro ogni nostra energia.

giovedì 15 dicembre 2016

Considerazioni libere (415): a proposito di una nuova battaglia...

Non è finita con il referendum. Lo sapevamo che non sarebbe finita. Se qualcuno tra noi che abbiamo votato NO ha creduto che quel voto cambiasse le cose è un illuso. Anzi la partita vera comincia adesso. Vedo purtroppo che molti compagni del NO sono rimasti delusi dal fatto che è nato il governo Gentiloni. Facciamo chiarezza: noi non abbiamo combattuto quella battaglia per cambiare governo, abbiamo lottato per la Costituzione. Se lo ricordino anche quelli del sì che adesso ci dicono con strafottenza che il nostro voto non è servito a nulla: invece quel voto è servito, anzi è servito anche a loro e prima o poi ci ringrazieranno di averli fatti perdere. Perché certamente è meglio che abbia vinto il NO e quindi che in questo paese ci sia ancora la nostra cara e vecchia Costituzione, per quanto un po’ acciaccata dalle mezze e male riforme che abbiamo fatto in questi anni, ma quel voto, per le sue stesse caratteristiche, non poteva segnare un nuovo inizio per la sinistra in questo paese. Come renzi si sbaglia quando crede che il 40% dei sì sia tutta "roba" sua, anche noi dobbiamo renderci conto che nel NO ci sono tante cose, spesso contrapposte.
Certo in quel NO c’è un pezzo importante della sinistra di questo paese, una sinistra che si è ritrovata unita, dopo molti anni in cui ha militato su fronti opposti. Ma queste differenze, per molti versi, ancora rimangono e pesano sulle vicende politiche, e perfino umane, di molti di noi.
Ad esempio tra me e D’Alema - si parva licet - nonostante questa volta ci siamo ritrovati a votare, dopo molti anni, nello stesso modo, c’è una differenza notevole, perché immagino che lui continui a essere un socialdemocratico che pensa che il capitalismo si possa riformare, passo dopo passo, mentre io penso che a questo punto occorra assumere una prospettiva davvero alternativa, e dichiaratamente anticapitalista e rivoluzionaria. Sono convinto che se siamo arrivati a questo punto così basso è anche per una precisa responsabilità di D’Alema - e anche mia, visto che stavamo nello stesso partito - ad esempio perché in quegli anni ci siamo convinti che fosse necessario modificare le leggi sul lavoro, e che fosse "moderno" togliere un po’ di diritti ai lavoratori, per guadagnarci in competitività. Invece abbiamo visto che togliere diritti serve solo a dare più armi agli speculatori e fa crescere solo le disuguaglianze. E il malaffare.
Nelle prossime settimane avremo forse una possibilità nuova, anche in questo caso grazie a un referendum, questa volta per abolire la cosiddetta riforma del lavoro conosciuta come jobs act. Non so se D’Alema ed io voteremo ancora nello stesso modo - spero di sì, e non solo per un attacco strumentale a questo governo, che evidentemente quella riforma ancora la difende. Perché a me - lo ripeto a scanso di equivoci - interessa poco la sorte di questo o di quel governo, interessano poco le narrazioni più o meno immaginifiche, interessa ancor meno il dibattito all'interno del pd. invece mi interessano le condizioni vere delle persone. Bisogna ripartire dalle sofferenze delle donne e degli uomini: tanti di quelli che hanno votato NO hanno usato quel voto proprio per dire che stanno male e che nessuno pensa a loro.
Personalmente non credo che a breve ci sia lo spazio per costruire in questo paese un forte partito di sinistra radicale e francamente non penso neppure che sia fondamentale dedicare tutte le nostre energie nelle prossime settimane a costruire una nostra risicata rappresentanza parlamentare - anche se vedo che questo tema di politique politicenne appassiona molti - ma penso che ci sia spazio per una serie di battaglie sociali su temi di sinistra. E il lavoro è senz’altro il primo di questi temi.
In qualche modo la battaglia per il NO alla modifica della Costituzione si lega a quella per l’abolizione del jobs act, perché quella formula dell’art. 1 "fondata sul lavoro" non è un espediente retorico, è un principio. E questo principio è adesso l’unico limite alle violenze di classe. E quindi la battaglia contro il jobs act e a favore dello Statuto dei lavoratori, diventa qualcosa di più, diventa il segno che dal lavoro si deve ricominciare.
Non so se sia vero che le elezioni anticipate verranno fatte scattare per impedire il referendum sul jobs act, come si è lasciato sfuggire il commensale di Buzzi e di Mafia capitale. Anche se fosse, quella battaglia per il lavoro e i diritti non deve perdere di intensità. Faremo rinascere una sinistra in Italia solo attraverso questa rinnovata consapevolezza che combattere per i diritti del lavoro è urgente e necessario.

sabato 10 dicembre 2016

Verba volant (327): riforma...

Riforma, sost. m.

Faccio politica, più o meno intensamente, dalla fine degli anni Ottanta, per un periodo è stata anche il mio lavoro. Ebbene in questi quasi trent'anni il tema della necessità delle riforme è stata una costante, una sorta di mantra della politica italiana. Certo se ne parlava anche prima, forse qualcuno di voi ricorderà la Commissione bicamerale della prima metà degli anni Ottanta presieduta dall'on. Bozzi, liberale, con la sua bella barba risorgimentale e l'eloquio forbito - leggendo la descrizione dello zio di molto riguardo fatta da Gozzano ho sempre pensato a lui - però è con la fine di quel decennio che il tema si è definitivamente imposto. In questi quasi trent'anni abbiamo fatto altre due Bicamerali, abbiamo cambiato diverse volte la legge elettorale, abbiamo sempre avuto un ministro dedicato a questo tema - per un periodo, ça va sans dire, è stato Bossi - abbiamo introdotto l'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle Province e delle Regioni, abbiamo fatto perfino due "grandi" riforme della Costituzione, per fortuna entrambe bocciate dagli elettori. Anch'io, quando facevo un altro mestiere, tante volte ho ribadito la necessità delle riforme, perché quella era la linea del mio partito, linea che condividevo, senza dubbio. E anche oggi, passato il 4 dicembre, tanti, sia tra quelli che hanno votato sì che tra quelli che hanno votato NO, dicono che occorre riprendere il cammino delle riforme.
E se non fosse vero? E se queste benedette riforme non fossero necessarie?
Sono sempre più convinto che questo tema sia un'illusione e per molti versi un alibi. Questo paese non ha affatto bisogno di riforme istituzionali: la Costituzione c'è e funziona bene, magari dovremmo sistemare le mezze riforme pasticciate che abbiamo fatto in questi anni, penso in particolare alla confusione che abbiamo fatto sul Titolo V. Abbiamo certamente bisogno di una legge elettorale rappresentativa, personalmente penso che dovremmo tornare al proporzionale, perché è il sistema che meglio si adatta all'impianto della nostra Costituzione, oppure potremmo tentare il doppio turno alla francese. Penso che sarebbe meglio tornare alla vecchia legge per l'elezione dei sindaci e che dovremmo rifare le Province - magari abolendo le Regioni, se proprio vogliamo abolire qualcosa. In sostanza penso che l'unica riforma davvero necessaria sarebbe quella di fare un passo indietro e decidere, una volta per tutte, che le riforme non servono.
Mi direte: facemmo quelle riforme perché tutti concordavamo che le istituzioni funzionavano male. E' vero, funzionavano male trent'anni fa, esattamente come funzionano male adesso dopo questi sei lustri di riforme - anzi forse adesso funzionano pure peggio - perché il problema non è che l'auto è guasta, siamo noi che non sappiamo guidarla.
La necessità di fare le riforme si è imposta con tutta evidenza all'indomani di quella stagione che abbiamo cominciato a chiamare Tangentopoli, e, proprio a causa di quegli eventi, la fretta, che è sempre cattiva consigliera, ci spinse all'introduzione del maggioritario e all'elezione diretta dei sindaci. Perché ci eravamo convinti - e ci avevano convinto - che quella disonestà diffusa in maniera così pervasiva nelle istituzioni fosse colpa delle regole che mancavano. Invece le regole c'erano, c'erano sempre state, erano i politici che non le rispettavano e noi cittadini che non le facevamo rispettare, perché comunque traevamo un qualche vantaggio dalla loro disonestà. E lo stesso avviene adesso, se i nostri rappresentanti sono disonesti è perché noi, per viltà, ma più spesso per connivenza, preferiamo chiudere entrambi gli occhi, sperando che qualche briciola del bottino cada per terra, per raccoglierla con destrezza, fregando gli altri.
Non c'è una riforma costituzionale capace di trasformare le persone, di rendere gli elettori e gli eletti onesti, non c'è una riforma costituzionale che ci costringa a rispettare le istituzioni. Non c'è una riforma costituzionale capace di sostituire l'etica, così come non c'è una riforma capace di sostituire la politica. Così ad esempio, per venire alla mia parte, se la sinistra in Italia è diventata quello che è diventata non è colpa delle mancate riforme, come qualcuno ancora pensa, ma semplicemente perché molti di noi hanno precise responsabilità e abbiamo dimenticato principi e valori o, pur ricordandoli, non li abbiamo saputi e voluti applicare.
Le regole sono ovviamente fondamentali, non avrebbe avuto senso la nostra battaglia per il NO e per la difesa della Costituzione se non pensassi che queste servono e regole migliori servono a migliorare una società. Ma basta illuderci che le regole da sole cambino il mondo. O cambino noi stessi. Quello è il compito della politica.

giovedì 8 dicembre 2016

Verba volant (326): opposizione...

Opposizione, sost. m.

E adesso? è la domanda che sento in maniera ricorrente dalla notte del 4 dicembre. Me l'hanno posta, ovviamente in maniera provocatoria, dei renziani che hanno votato sì, sottintendendo che adesso sono cavoli nostri, visto che con il nostro NO abbiamo aperto la strada alla destra e ai populisti; ma mi hanno fatto la stessa domanda anche dei compagni che hanno votato NO, preoccupati per quello che succederà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Naturalmente sono preoccupato anch'io, anche se comunque mi rincuora moltissimo che sia ancora in vigore la nostra Costituzione. Ricordo a tutti quelli che adesso si fanno venire dei dubbi che abbiamo il corso il rischio, reale, tangibile, concretissimo, che dal 5 dicembre questa Carta non ci fosse più. E quindi è meglio così. Per tornare a quella domanda devo dire che, almeno per me, non cambia proprio nulla, perché io, nel mio piccolissimo ovviamente, non sono all'opposizione di questo o di quel governo, ma di un sistema, chiamiamolo capitalista per intenderci, perché per me è quello il nemico e non le persone che di volta in volta lo rappresentano, si chiamino renzi o Berlusconi o in qualunque altro modo.
Per questa ragione io non sono mai stato - né mai sarò - del pd, e non lo voterò, qualunque cosa succeda, qualunque sia l'antagonista. Naturalmente - siccome un po' di politica credo di capirne - mi rendo conto che c'è una differenza tra renzi e Bersani, tanto è vero che nel febbraio del 2013, per la prima - e certamente l'ultima - volta ho votato per il pd di Bersani. E ho commesso un errore clamoroso, tragico, perché poi quel mio voto è stato usato da renzi per tentare di stravolgere la Costituzione. Per questo sono stato così felice della vittoria del NO: perché con il NO quel mio errore di tre anni fa è stato in qualche modo riparato.
E per non correre più questo rischio e soprattutto per essere fedele alle mie idee - a cui tengo - stante l'attuale situazione, non voterò alle prossime elezioni politiche, perché nessuno dei tre schieramenti in campo assume come proprio obiettivo l'idea di opporsi in maniera radicale al sistema capitalista. Ovviamente non lo fa la destra - che sia guidata da Salvini o da Berlusconi poco cambia - perché la destra è capitalista o non è, lo abbiamo visto con le prime mosse negli Stati Uniti di Trump. Non lo fa il Movimento Cinque stelle, il cui orizzonte ideologico è da sempre confuso e nebuloso, ma che comunque non si è mai espresso per sovvertire il sistema capitalista. Purtroppo non la fa nemmeno il partito che colloca se stesso a sinistra, il partito che si dichiara socialista, perché anche Bersani, anche D'Alema, anche Pisapia con il suo "soccorso arancione", non presuppongono mai l'opzione socialista e anticapitalista. Naturalmente un governo Bersani-Pisapia sarebbe meglio di uno renzi-Verdini o di uno Salvini-Meloni o anche di uno Cinque stelle, ma nessuno di questi - ripeto, a futura memoria, nessuno - avrà il mio voto. Non serviranno ricatti, non serviranno mozioni degli affetti, non serviranno spauracchi. Diventando vecchio, divento sempre più ostinato.
Naturalmente un partito come lo voglio io, socialista e anticapitalista, radicale e rivoluzionario, non esiste, anche perché, nonostante i tanti proclami, non l'abbiamo ancora fatto nascere. Quasi certamente non ci sarà se ci faranno votare in primavera, perché un partito non si crea da sera a mattina e comunque, anche se ci fosse, non entrerebbe nei giochi, non correrebbe per vincere. Sarebbe comunque già importante che una nuova - finalmente rappresentativa - legge elettorale, assicurasse anche a noi di essere rappresentati, ma sinceramente questo non è probabilmente l'esigenza prioritaria. Anche perché mi pare che il mondo non sia pronto a sovvertire il capitalismo: i vincoli imposti a un governo di un paese europeo sono talmente tanti e stringenti, che perfino quando una forza di sinistra ha la maggioranza, finisce per fare - quando va bene - delle politiche blandamente socialdemocratiche. La violenza con cui il capitalismo ha tarpato le ali al governo greco di Tsipras descrive bene in quali stretti vincoli possiamo muoverci, come canarini in una gabbia sempre più piccola.
Mi sto convincendo però che forse il tema non è neppure quello della nostra rappresentanza parlamentare, che sarebbe utile, ma non è indispensabile per fare opposizione. E allora forse ci dovremmo preoccupare meno degli equilibri all'interno del governo - e men che mai di quelli all'interno del pd - e cominciare a fare opposizione sociale, in modo da far crescere una cultura che adesso ci sembra largamente minoritaria, ma di cui pure ci sono segnali, perché ci sono molte persone che soffrono e che chiedono una soluzione per uscire da questa sofferenza. La sinistra è nata così, nasce sempre così, quando si cerca una soluzione per uscire insieme dalla sofferenza.
In fondo la battaglia per il NO al referendum è servita anche a far ragionare molti giovani sul valore della Costituzione del '48: non è poco, forse è un inizio. Occorre fare una battaglia per lo Statuto dei lavoratori, contro l'abolizione dell'art. 18 e soprattutto contro le forme di precariato, a partire dall'uso indiscriminato e selvaggio dei voucher, che rappresentano per tanti giovani l'unico modo per entrare nel mondo del lavoro. La battaglia contro la "buona scuola" non può essere ridotta alle rivendicazioni, pur legittime, degli insegnanti, ma deve coinvolgere la società su un tema centrale come quello della difesa dell'istruzione pubblica. La battaglia sui beni comuni, su cui si erano mobilitate tante energie, forse non del tutto disperse, rappresenta un'altra importante strategia della nostra opposizione sociale. Dobbiamo tornare a parlare del dramma degli strati più deboli della società, strati che spesso non conosciamo e che quindi dobbiamo tornare a conoscere. Credo che l'opposizione sia questo studio, questo lavoro sul campo, questa ricerca di soluzioni, alternative e rivoluzionarie, sia riconoscere che abbiamo un nemico, che si chiama capitale, e che la nostra vittoria passa necessariamente per la sua sconfitta, perché non c'è modo di trovare un accordo, abbiamo sperimentato che questa strada è fallimentare. E soprattutto che queste forme di lotta dobbiamo trovarle insieme, per tornare a dare un senso alla parola socialismo.
Quindi alla domanda e adesso? io so cosa rispondere: opposizione, sociale e socialista.

martedì 6 dicembre 2016

Considerazioni libere (414): a proposito di un ciclo che si chiude (e di un altro che si apre)...

La crisi che si è aperta con il fragoroso voto di domenica 4 dicembre e con le conseguenti e inevitabili dimissioni del presidente del consiglio è ora nelle mani del Presidente della Repubblica, come è giusto che sia. Come in un grande gioco dell'oca, un colpo di dadi ci ha riportati alla casella di partenza: perché non possiamo dimenticare che il referendum ha chiuso un ciclo politico cominciato esattamente cinque anni fa, proprio nelle ovattate stanze del Quirinale.
Se non ricordiamo quei giorni del novembre 2011 facciamo fatica a inquadrare con esattezza quello che è successo domenica. Sotto la spinta fortissima delle autorità finanziarie europee - dovete ricordare la lettera a firma Trichet-Draghi che imponeva una serie di riforme, di fatto commissariando l'esecutivo, i risolini di Merkel e Sarkozy, il clima da fine impero di quelle settimane - l'allora inquilino del Quirinale, con una forzatura istituzionale e in maniera assolutamente irrituale, fece dimettere il presidente del consiglio in carica, forte comunque di un mandato elettorale, e nominò a quella carica Mario Monti, opportunamente fatto diventare senatore a vita pochi giorni prima di quella investitura. Molte persone applaudirono a quel cambio di governo, una folla festeggiò in piazza del Quirinale, perché allora il premier era Berlusconi, ma quella gioia fu un errore e un'illusione. Fu un errore festeggiare la fine del nostro avversario politico proprio perché avveniva a quel modo, al di fuori della prassi costituzionale, e fu un'illusione, perché la situazione non sarebbe migliorata senza Berlusconi. Anzi.
Dal novembre del 2011 il nostro paese ha vissuto in una sorta di perenne stato di emergenza, con i nostri conti sotto la tagliola delle autorità di Bruxelles e Francoforte e soprattutto con un ruolo predominante del Presidente della Repubblica, diventato, anche per la debolezza degli altri attori politici, il dominus della politica italiana, tanto da essere rieletto a quella carica, un'altra forzatura istituzionale che ha violato lo spirito, se non la lettera, della Costituzione. Certo formalmente in questi cinque il governo ha sempre ottenuto la fiducia del parlamento, ma non si poteva diventare premier senza l'avallo del Quirinale, come ha provato a sua spese il povero Bersani; certo in questi cinque anni l'Italia ha continuato a essere una repubblica parlamentare, ma è stata un'altra cosa, perché l'attività legislativa è stata di fatto delegata all'esecutivo, e siamo andati avanti a colpi di decreti, su cui si imponeva il voto di fiducia per tacitare il parlamento; certo in questi cinque anni la Costituzione era ancora in vigore, ma è stata modificata in alcuni punti fondamentali, come con l'introduzione dell'obbligo del pareggio di bilancio, che segna il passaggio di sovranità alle istituzioni europee. La riforma che abbiamo bocciato domenica scorsa faceva diventare norma costituzionale quello che Napolitano aveva imposto nella pratica e infatti il vero sconfitto del 4 dicembre è il presidente emerito, anche più di renzi, perché è lui il vero padre di questa riforma.
Con il voto del 4 dicembre, con quel nostro NO, abbiamo detto che quella riforma non ci va bene, perché toglie potere ai cittadini, perché mina il principio di rappresentanza che è vitale per una democrazia. Il voto del 4 dicembre è stato importante soprattutto per questo.
Poi, chiuso un ciclo, occorre aprirne un altro e non è chiaro cosa succederà. Certo molto dipende dall'attuale Presidente, la cui prudenza fino ad ora è stata al limite dell'inconsistenza, perché nel disegno costruito dal suo predecessore poteva esserci solo un uomo forte e ora quell'uomo sedeva a Palazzo Chigi, quindi al Quirinale doveva esserci qualcuno che si limitasse al taglio dei nastri, alle cerimonie istituzionali, ai messaggi rassicuranti di fine anno. Inaspettatamente all'uomo in grigio del Quirinale adesso tocca gestire questa fase di vuoto. Speriamo che ascolti la voce che si è alzata dal paese e soprattutto che si attenga allo spirito della Costituzione, come la maggioranza di noi gli ha chiesto con il voto di domenica. Personalmente non ho molta fiducia, ma l'uomo, da vecchio democristiano, potrebbe stupirci.

lunedì 5 dicembre 2016

Verba volant (325): sfiducia...

Sfiducia, sost. f.

Questa notte renzi ha in qualche modo rubato la scena alla vittoria del NO, ma la notizia non è la decisione subitanea - e per altro inevitabile - del presidente del consiglio. Per quanto molti di noi - e io vi assicuro l'ho fatto - ieri notte abbiano gioito di fronte al farfugliare dell'uomo di Rignano, che si è creduto per mille giorni il salvatore della patria e che ha visto all'improvviso ridimensionata un'ambizione smodata e volgare, l'obiettivo del nostro NO non erano queste dimissioni. Il nostro obiettivo era difendere la Costituzione da un attacco durissimo delle forze del capitale - il più pericoloso della nostra storia recente - teso a limitare le prerogative democratiche e quindi i diritti delle classi lavoratrici.
Invece la notizia di questa notte, la cosa che avrà conseguenze sul futuro di questo paese - e non solo sul destino irrilevante di una persona irrilevante - è il massiccio e consistente successo del NO, che solo in parte - temo in una piccola parte - è dettato dalla difesa della Costituzione e delle istituzioni democratiche. Quel NO, così omogeneo in tutto il paese, non racconta un'Italia che si è scoperta paladina dei valori costituzionali, ma descrive un'Italia sfiduciata, incattivita, che non sa come cambiare e che ha detto NO, perché ha sentito che il NO era l'unico voto che poteva esprimere questa rabbia, che nessuno riesce a incanalare in un altro modo. E' un voto molto simile a quello con cui i cittadini del Regno Unito hanno scelto di uscire dal'Unione europea, perché quel voto - e solo quel voto - rappresentava una protesta contro un sistema che evidentemente non funziona - perché il capitalismo non funziona. Negli Stati Uniti quello stesso voto ha portato Trump alla presidenza, con un inganno evidente ai danni degli elettori, perché quel loro voto contro i meccanismi più perversi del capitalismo ha dato vita a un governo il cui ministro del tesoro è un esponente della Goldman Sachs. Ma è stato possibile solo perché c'era la faccia "nuova" di Donald. Era francamente difficile, se non impossibile, che il capo del governo in carica potesse diventare il campione dell'antipolitica; e infatti, anche se ci ha provato in maniera esagitata, non c'è riuscito.
In mezzo alla retorica dello scoutismo, in mezzo a un discorso in cui ha ripetuto le menzogne di questi mesi sull'Italia che funziona, ieri notte renzi è riuscito, nonostante sia un mentitore seriale, a dire una verità. Ha sfidato il cosiddetto fronte del no a fare una proposta di riforma, ben sapendo che sarà impossibile. Io con molti di quelli che hanno votato come me al referendum non prenderei neppure un caffè, con molti non sono neppure disposto a parlare, figurarsi immaginare un comune progetto istituzionale. Non nascerà una riforma del NO e probabilmente il NO ha vinto proprio per questo, perché era un voto solo distruttivo, incapace di proporre una soluzione alternativa credibile. Il NO ha vinto proprio perché non offriva alternative ed è stato per molti un NO, a prescindere. Se le avesse offerte probabilmente non avrebbero dato quel voto. Se lo devono ricordare Salvini e Grillo che credono di fare il pieno di voti alle prossime elezioni: le persone hanno votato anche contro di loro, come hanno votato contro renzi, contro Prodi, contro Berlusconi, contro tutti insomma.
Per questo il voto di ieri ci consegna un'Italia di cui dobbiamo avere paura, non perché è caduto il governo, non perché salirà lo spread o perché gli indici del mercato azionario subiranno un tracollo. E fomentando questa paura cercheranno di non farci votare nei prossimi mesi. Dobbiamo essere preoccupati perché il voto di ieri ci ha consegnato un'Italia smarrita e sfiduciata, che ha preferito dire NO e che probabilmente avrebbe detto NO anche a una buona riforma. Poi ragioni sbagliate ci hanno consegnato un risultato giusto e per fortuna c'è ancora la Costituzione; se non avessimo avuto questo baluardo la crisi sarebbe stata inarrestabile e rapidissima. Quindi abbiamo fatto bene a tenerci stretta la nostra cara e vecchia Costituzione del '48, benché negli anni sia stata un po' manomessa. Ma questo non può bastarci, non deve bastarci.
Adesso il nostro obiettivo politico deve essere quello di dire NO a questa sfiducia, a questo clima di disillusione che c'è nel paese e che coinvolge in maniera così radicale le istituzioni democratiche. Dobbiamo fare vivere la Costituzione. Ed è qualcosa che va ben oltre il futuro governo o il futuro parlamento; va oltre quello che succederà alle prossime elezioni, perché il rischio non riguarda qualcuno, ma tutti. Ovviamente qualcuno da tempo lavora perché questa sfiducia cresca e si consolidi, e quindi è contro questo potere che dobbiamo combattere, con un'energia che fino ad ora non abbiamo dimostrato. Personalmente - e lo sapete - credo che questa battaglia si possa combattere solo a sinistra, solo tornando alle idee e ai valori del socialismo, perché se è vero come è vero che il problema è il capitalismo, occorre non continuare a intervenire sui sintomi, ma incidere sulla causa della malattia, prima che ci uccida. E l'unica alternativa al capitalismo che conosciamo è il socialismo.

Considerazioni libere (413): a proposito di una battaglia che continua...

Abbiamo vinto.
Oggi prevale l'euforia, ma non possiamo smettere di combattere proprio ora. Non dobbiamo smettere di combattere proprio ora. Anche perché la guerra, quella vera, comincia oggi.
Prima di tutto dovremo organizzare la resistenza, perché "loro" cambieranno faccia, si libereranno di renzi e degli altri servi sciocchi - come nel novembre del 2011 si sono liberati di Berlusconi - e noi ci illuderemo, come allora, di aver vinto, ma non sono cambiati, torneranno ad attaccare la Costituzione, perché hanno mezzi e uomini illimitati per continuare questa guerra contro la democrazia. E perché sanno - a volte anche meglio di noi - che democrazia e lavoro si tengono e quindi vogliono limitare la democrazia per limitare, fino ad annullare, i diritti dei lavoratori. Dobbiamo denunciare ogni loro malefatta, dobbiamo far vedere alle persone che in buona fede hanno votato sì quali sono le vere intenzioni delle forze del capitale. E dobbiamo farlo capire anche a quelli che hanno votato NO per pura reazione, con poco o scarso interesse per la Costituzione, a quelli che hanno fatto la cosa giusta per il motivo sbagliato.
Comincia per noi una fase difficile, ma almeno avremo un punto chiaro di programma: la difesa della Costituzione del '48 e la sua piena applicazione. Questa dovrà essere la nostra parola d'ordine, questo dovrà essere il programma di base di uno schieramento di opposizione, in questi giorni difficili che ci attendono. E bisognerà, per una volta, essere chiari e non fare alcuno sconto. Nessuna intelligenza con il nemico, nessun distinguo. Non potremo più accettare accordi, anche solo locali, con il pd, con chi ha votato questa cosiddetta riforma, da domani il discrimine per ogni alleanza politica dovrà essere appunto la battaglia per la difesa della Costituzione del 1948, togliendo anche l'articolo che impone il pareggio di bilancio, che è stato il primo granello fatto entrare nel meccanismo della Costituzione per scardinarla.
Non ci illudiamo. La sinistra in questo paese sappia che l'attende un compito ancora più arduo: provare a ricostruirsi non solo in base a questa prospettiva repubblicana, che è necessaria, ma non sufficiente. La sinistra rinascerà in Italia se sarà socialista e quindi valorizzando gli aspetti più progressisti della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza. Lo so che è un compito che ci pare irrealizzabile, anche in un giorno di festa come oggi, ma non possiamo smettere di fare questo sogno.
La lotta, nel nome della Costituzione, continua.