giovedì 16 febbraio 2017

Verba volant (352): pisciare...

Pisciare, v. intr.

Io vedo come mi guardano gli altri operai. Oggi è peggio, dopo quello che è successo a Beppe, da ieri mi scansano, evitano di guardarmi, neppure mi salutano quando i nostri sguardi inevitabilmente si incrociano all'entrata. Prima almeno mi salutavano, ma era un saluto sforzato, costretto, magari qualcuno fingeva una qualche simpatia, sperando che avrei chiuso un occhio se la pausa fosse durata più di quello previsto dal protocollo aziendale. Mi temevano. Da ieri mi disprezzano per quello che è successo a Beppe. Forse anch'io farei lo stesso se fossi al posto loro.
Mi dispiace per quello che è successo a Beppe. Mi dispiace davvero. Quando l'ho visto lì, in piedi, con i pantaloni bagnati, come imbambolato, non sapevo cosa dire, cosa fare; siamo quasi coetanei, i nostri figli hanno la stessa età. Ho rivisto mio padre quando per la prima volta se l'è fatta addosso e mi sono ricordato che ha cominciato a piangere.
Adesso tutti dicono che ho sbagliato a non permettergli di andare in bagno. Dicono che avrei dovuto usare il buon senso, che ho fatto male. Anche i capi mi hanno rimproverato, pensavo che sarei stato licenziato. Eppure le pause per andare in bagno devono essere brevi, molto brevi, e gli operai non devono abusarne: sapete quante volte me l'hanno spiegato. Mi hanno fatto una testa così.
Capisco che a fine turno sono stanchi e forse non hanno davvero bisogno di andare in bagno, vogliono solo staccarsi dalla catena e allora io dico di no. Non possono continuare ad andare in bagno. In questi anni i capi hanno ridotto le pause, sono sempre meno e più brevi, anche i lavoratori sono stati d'accordo, perché così l'azienda non avrebbe chiuso. Qui se chiude la fabbrica rimaniamo tutti a casa: non c'è altro da fare, abbiamo bisogno di questo lavoro. Con meno pause si fanno più macchine e la fabbrica può rimanere aperta solo se facciamo più macchine. E meno pause.
A me fa strano quando qualcuno che è più vecchio di me mi chiede di andare in bagno, come facevo io quando lo chiedevo alla maestra. Per questo quando dico sì lo faccio con una voce strana, gli operai dicono che mi dispiace quando dico di sì e che invece mi diverto a dir loro di no. Non è così: è che mi sembra strano dover dare il permesso di andare in bagno. Ma è il mio lavoro. Anzi il mio lavoro sarebbe quello di negare questi permessi. Sempre. Così mi hanno spiegato i capi. Non me l'hanno proprio detto così chiaro, ma me l'hanno fatto capire, facendomi vedere dei grafici, riempendomi la testa con delle parole in inglese. La fabbrica continuerà a esistere solo se gli operai smetteranno di fare delle pause. Io ho capito che se tutti smettessero di urinare forse il mio lavoro non servirebbe, ma almeno la fabbrica sarebbe salva. E il nostro lavoro sarebbe salvo. Se continueremo a pisciare loro chiuderanno la fabbrica. Ma non possiamo smettere.

Qualche giorno fa nello stabilimento Sevel di Atessa, in provincia di Chieti, di proprietà della Fiat-Chrysler, un operaio a cui è stato negato di andare in bagno se l'è fatta addosso. Ovviamente il primo pensiero - e la nostra solidarietà - va a quel lavoratore, che ha subito una tale ingiustizia, ma ho provato a immaginare cosa ha significato quell'accaduto anche per gli altri lavoratori, in particolare per il suo caporeparto, per chi ha negato quel permesso.

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