giovedì 29 giugno 2017

Verba volant (404): gradimento...

Gradimento, sost. m.

Davanti ai parlamentari della commissione di vigilanza, interrogata sulla decisione della Rai di sottoscrivere un contratto così oneroso con un certo personaggio televisivo - il nome poco importa - la presidente Maggioni ha spiegato che se l'azienda non avesse accettato queste condizioni il personaggio in questione avrebbe firmato con una rete concorrente e che una tale decisione avrebbe rappresentato una perdita di spettatori, e quindi di sponsor, così ingente da mettere a rischio il livello occupazionale dell'azienda pubblica.
Francamente credo che Monica Maggioni abbia mentito: la perdita di quel personaggio non sarebbe stata così grave come ha voluto farci credere. Quel contratto così sostanzioso è stato un premio per chi in questi anni ha servito con prona dedizione la causa della maggioranza di governo ed è stato un segnale - vagamente mafioso - anche per gli altri: se fate i bravi verrete premiati, altrimenti potete tornare nelle televisioni locali a vendere pentole e materassi.
La scelta della bugia che si decide di raccontare è però sempre significativa e Maggioni, magari in maniera inconsapevole, ha detto una parte di verità. Chi determina le scelte della più importante azienda culturale di questo paese? La politica? Vorrebbe naturalmente, ma non ne ha la forza: la Rai di oggi non è né l'Eiar né la Rai della Dc. E' il mercato che decide cosa trasmettere e cosa no, cosa noi potremo vedere e cosa no. E il mercato, nonostante si qualifichi come libero, non accetta spazi di libertà. "La tua scelta libera" ci ricorda un noto gruppo televisivo privato dopo averci sciorinato i programmi della sera dei suoi canali; ma la nostra libertà, ogni sera, è piuttosto limitata.
Certo io posso scegliere di non guardare la televisione, ma comunque quello che viene trasmesso forma la cultura della società in cui vivo. Non ho letto i fortunati romanzi di Joanne Rowling né ho visto i film, eppure so benissimo chi sia Harry Potter, conosco la sua faccia e quella di Hermione e quella dei loro insegnanti di Hogwarts. In qualche modo il giovane mago è entrato nel mio bagaglio culturale. Se non siamo eremiti - e in qualche caso anche se lo siamo - noi respiriamo la cultura che abbiamo intorno e ne siamo plasmati. E la televisione, per la sua pervasività e la sua forza, è uno dei fattori che più contribuisce a determinare questa cultura.
E non è sempre un dato negativo. Pensate ad esempio che funzione per la diffusione di una diversa consapevolezza dei diritti civili hanno avuto alcuni telefilm americani - dai Jefferson a Will & Grace - o la pubblicità, dove le coppie omosessuali o quelle non sposate o quelle in qualche modo "irregolari" per l'ipocrita morale cattolica di questo paese sono diventate protagoniste quando ancora negli spettacoli erano ignorate, per non parlare dalla legge. Il mercato a volte diffonde messaggi positivi, ma rimane comunque il fatto che è il mercato che decide quando quel messaggio deve essere diffuso. E noi non siamo liberi di scegliere, ma solo di prendere quello che qualcuno ha deciso che possiamo "scegliere".
Naturalmente neppure la Rai della politica era libera, ma la politica per sua natura ha bisogno del consenso. Sappiamo che il consenso si costruisce - ormai ce lo hanno abbondantemente spiegato - ma non si crea dal nulla. Certo la Rai degli anni Sessanta e Settanta era un'azienda bacchettona e conservatrice, ma il paese era così - anche il Pci era così su tante questioni, proprio perché era un partito di massa - e in quella Rai c'era una censura rigida, per cui "certe" parole non si potevano neppure nominare, figurarsi se si potevano rappresentare certi comportamenti. Ma probabilmente c'era più libertà di scelta nei due - e poi tre - canali Rai rigidamente lottizzati che nella pletora di reti generaliste tutte uguali, sostanzialmente intercambiabili, perché in tutte vediamo gli stessi programmi e soprattutto la stessa pubblicità.
Probabilmente ve lo ricordate anche voi: una volta per decretare il successo di una trasmissione televisiva si diceva che aveva un alto indice di gradimento; adesso invece si parla solo di audience. Si tratta in entrambi i casi di dati spesso addomesticati e falsati, ma è interessante vedere come ora interessi solo il numero delle persone che stanno davanti all'apparecchio e non se a loro piace quello che viene trasmesso. Perché hanno già deciso cosa ci piacerà e a forza di farcelo vedere, sera dopo sera, finisce pure per piacerci. Ma la cosa importante è che non perdiamo neppure una pubblicità.

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