martedì 25 luglio 2017

Verba volant (418): abbraccio...

Abbraccio, sost. m.

Ovviamente non ho alcun titolo per dire a Pisapia chi dovrebbe o non dovrebbe abbracciare. Personalmente faccio fatica a salutare, figurarsi abbracciare, ma sono io che ho un cattivo carattere; se Giuliano è per natura espansivo, non posso fargliene una colpa.
La questione però non è l'abbraccio in sé: si tratta con tutta evidenza di una polemica idiota. Il problema non è quello specifico abbraccio, ma il fatto che non si riesca a uscire da un dibattito in cui le persone - e i rapporti tra le persone - contano più delle idee. Aveva cominciato qualche giorno fa un noto - e mi dicono anche bravo - psicanalista, spiegando che noi di sinistra odiamo renzi. Non so voi, io sono di sinistra e non odio renzi, semmai lo disprezzo umanamente, come si può disprezzare uno scarafaggio, ma anche questa non è una categoria della politica, è ancora una volta sintomo del mio brutto carattere. In linea teorica potrebbe perfino esserci qualcuno del pd che mi sta simpatico, ma non è su questo che si può misurare la politica.
Io sono contro il pd perché quel partito rappresenta quelle idee contro cui ho sempre combattuto e contro cui combatterò sempre, perché le idee di quel partito sono radicalmente diverse dalle mie. E quindi combatto quel partito perché credo sia un danno per questo paese. Pisapia la pensa in maniera diversa? Ne sono convinto da sempre, e per questo credo che la sua proposta politica sia destinata a naufragare, anzi farò di tutto affinché naufraghi. E amici come prima.
Se un danno possiamo imputare alla troppo lunga stagione berlusconiana, in cui in qualche modo siamo ancora immersi, è proprio quello di aver trasformato la politica da uno scontro di idee a uno scontro tra persone. E infatti in questo inverno della politica abbiamo considerato di sinistra tutte le persone umanamente ostili a Berlusconi, così come ora rischiamo di commettere lo stesso errore con quelli umanamente ostili a renzi. E anche il grillismo purtroppo non sembra uscire da questo schema pericoloso: il legame simpatetico con Grillo prevale su ogni altra cosa, anche perché quel partito programmaticamente non ha idee.
Io mi considero di sinistra indipendentemente dal fatto che disprezzi renzi, ma perché leggo secondo certi valori e certe idee la storia umana e da qui ne ricavo un'interpretazione e di conseguenza una scelta di campo. Se vi considerate di sinistra solo perché renzi vi sta sulle palle alla fine siete un po' renziani anche voi, perché non riuscite a uscire da questa asfissiante personalizzazione della politica. In questi vent'anni quante volte avete sentito ripetere la balla che in politica le persone sono più importanti dei programmi? Talmente tante volte che avete finito per crederci. E infatti ci fanno votare le persone, indipendentemente da quello che quelle persone pensano e fanno.
Con buona pace degli psicanalisti, il nostro paese non si divide in renziani e antirenziani, così come non si divideva in berlusconiani e antiberlusconiani, ma si divideva allora e si divide oggi tra sfruttati e sfruttatori, tra padroni e lavoratori, e così ci si regola di conseguenza. E' più comodo stare dalla parte degli sfruttatori, se ne ricavano più vantaggi, ma è la parte sbagliata, poi contenti voi. Qui non è in gioco la simpatia, ma un'idea. E il simpatico Pisapia ha scelto di stare dall'altra parte, con quelli del pd, dalla parte sbagliata. Amen. E piantiamola anche con questa stupidata che bisogna stare uniti: no, abbiamo bisogno di dividerci, abbiamo bisogno di conflitto, perché abbiamo bisogno di idee.
Dobbiamo tutti fare uno sforzo per non personalizzare la politica, per non farne sempre e comunque una questione di questa o quella persona - e quindi anche fregarcene degli abbracci dati o non dati - quando abbiamo cominciato a fare così abbiamo reso un pessimo servizio alla politica.

1 commento:

  1. PAROLAI

    di Fausto Corsetti




    Ammettiamolo: abbiamo un debole per quelli che sanno parlare. Il dono della parola ci affascina. Al punto che, spesso, quasi non ci importa quello che viene detto. Gli affabulatori, i funamboli di ardite metafore, i parolai sono capaci di farci cambiare idea, stravolgere le nostre convinzioni. Una bella frase, il giusto tono di voce, una mimica vivace et voilà, il gioco è fatto.
    Quanta leggerezza, superficialità in giro! Nei giornali, alla radio, in televisione, nei piccoli schermi saltellati da dita impazienti, nei contesti più diversi della vita quotidiana.
    C’è, in tutti gli uomini, una superficie e una profondità. La superficie è piatta e uguale, la profondità un abisso.
    Viviamo spesso in superficie, nel mondo della banalità, del “si dice”, della chiacchiera, del distrarsi, del ripetuto, dove non ci sono emozioni ma, al massimo, sorpresa o curiosità, talvolta soltanto pettegolezzo.
    Possiamo restare giorni e giorni incollati al televisore, guardare tutti i talk show, tutti i dibattiti politici, tutti gli incontri salottieri, e non allontanarci un istante dalla superficie. Possiamo perfino andare in vacanza, fare affari restando in superficie.
    Eppure, è strano, non poche sono le persone attratte dalla profondità.
    Alcuni, ad esempio, dicono di voler provare delle emozioni forti, adrenaliniche, magari correndo in automobile, praticando attività sportive estreme oppure cimentandosi in prove “no limits”: cercano qualcosa che sta al di là.
    Non è detto che la trovino, forse la trovano per un istante e devono perciò ripetere l’esperienza estrema, finché anche questa non si usura, non perde potere e novità.
    Eppure tutti, ogni tanto, siamo condotti sull’abisso della profondità quando qualcosa scuote i fondamenti della nostra esistenza.
    Quando siamo impegnati in una lotta disperata per ottenere un risultato, per superare una dura prova e ci riusciamo. E proviamo un senso di immensa esultanza, il momento di “gloria” che potremo ricordare. Oppure, sul versante negativo, quando muore una persona che ci è cara o ci ammaliamo di una malattia di cui temiamo gli esiti e ripercorriamo, riguardiamo con occhi diversi tutti i nostri rapporti, tutta la nostra vita.
    Distinguiamo, allora, ciò che è essenziale da ciò che essenziale non è, la superficie dalla profondità. Capiamo che la profondità è sacra.
    E, di più: accade di incontrarla quando ci innamoriamo, quando il nostro animo si dilata e diventa capace di emozioni, di pensieri tanto più grandi di noi stessi che vorremmo abbracciare il mondo e fonderci con esso.
    Afferrati dall’amore, possiamo essere felici solo con chi amiamo e se ci distraiamo, se preferiamo altre compagnie o altre cose, la nostra unicità si incrina, si degrada. L’amore è esigente. Tutte le cose perfette richiedono una concentrazione totale: il compositore è totalmente assorbito dalla sua musica, lo scrittore dal suo romanzo.
    Sicuro, c’è un’altra strada verso la profondità: l’arte, la grandissima arte.
    Ci sono dei libri, dei romanzi, dei film, dei brani musicali, talvolta delle opere di pensiero, che invadono il nostro spirito e sembrano sul punto di farlo esplodere tanto ci apriamo al mondo, agli altri, a noi stessi: vediamo, così, qualcosa della nostra essenza, di cosa potremmo essere.
    Allora il nostro abituale modo di vivere ci sembra un vestito vecchio, abbandonato in un angolo di una stanza.
    Non è facile riconoscere il respiro profondo della speranza che trascende la provvisorietà o l’oscurità del quotidiano. Spesso il futuro intimorisce o quantomeno preoccupa. Eppure, la vita si distende nella ferialità, nel succedersi instancabile di piccoli avvenimenti, di speranze nuove, una successiva all’altra.
    Nella consapevolezza dei giorni, si illuminano gli abissi dell’anima, si alimentano di colori mai visti, di promesse coltivate, di parole gelosamente custodite nel silenzio: chi ha visto sorgere il sole può sperare, anche in piena notte, che l’indomani torni a brillare il giorno.

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