lunedì 21 agosto 2017

Verba volant (422): matto...

Matto, sost. m. e agg.

E' triste, e in qualche modo sconfortante, il destino dei grandi artisti comici che, alla fine della loro carriera - e specialmente dopo che sono morti - vengono ricordati soprattutto per la bravura che hanno dimostrato nei ruoli drammatici. Anche Jerry Lewis non è stato sottratto a questa sorta di damnatio memoriae. Certo è stato grandissimo in Re per una notte di Martin Scorsese - come Totò è stato incredibilmente intenso nei ruoli drammatici e grotteschi che Pier Paolo Pasolini ha creato per la sua maschera - ma io credo che quell'interpretazione non valga di più delle gag del "picchiatello" in cui sapeva usare e sfruttare il suo corpo come nessun altro; e come per l'artista napoletano la scena del wagon-lits vale più di tutto Uccellacci e uccellini.
Questa forma di supponenza per cui solo il teatro e il cinema "seri" sono arte vera, mentre i comici devono stare un passo indietro è francamente insopportabile, perché far ridere è difficilissimo; in fondo anche una cipolla sa farci piangere. E infatti sono molto pochi gli artisti comici che ricordiamo.
E in fondo pensiamo che i comici siano un po' meno artisti degli altri perché sono anarchici, perché non rispettano le regole, perché sono cinici e cattivi, perché mettono alla berlina la parte peggiore di noi. Perché ne abbiamo paura.
E come dice il Matto in Re Lear 
Adesso non sei altro che uno zero senza cifre davanti.
Io posso dire d’essere più di te:
io sono matto, almeno, tu non sei nulla di nulla.

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