martedì 5 luglio 2022

Verba volant (814): fila...

Fila
, sost. f.

“Signorina, non è presto per un Martini? Non sarebbe meglio un caffè a quest’ora?”. Da quando ha aperto quel piccolo locale su Perry Street, Paul non si stupisce di nessuna ordinazione: dopotutto siamo nel Village e non ci sono orari in questa parte di Manhattan. Ma non riesce a non preoccuparsi per uno dei suoi clienti, anche se, come quella donna, è la prima volta che mette piede nel suo bar.
Lei gli sorride: “È un rito, amico, un Martini dopo ogni audizione fallita”.
“Allora capisco, per questa volta offro io. Sperando che la prossima tu non debba festeggiare allo stesso modo”.
“Grazie”.
“Per che spettacolo?”.
“Il nuovo musical di Merrick…”.
“Ho letto, 42nd Street. Certo il vecchio ama rischiare. Mettere in scena a Broadway uno spettacolo da un film in bianco e nero è un azzardo. Gigi è stato un fiasco”.
“Te ne intendi di spettacoli”. Mentre beve il suo Martini, Sheila osserva l’uomo dietro il bancone. Devono essere più o meno coetanei. Pensa che forse lui ci sta provando: non sarebbe la prima volta che le capita in un bar. Anche se ha la sensazione che sia gay.
“No, semplicemente leggo Variety, tanti miei clienti sono artisti, anche se per lo più off-Broadway, e devo sapere di cosa parlano quando hanno voglia di sfogarsi con il loro barista”. L’uomo le sorride. Pensa che è una donna molto sexy, se ci fossero degli altri uomini nel bar la mangerebbero con gli occhi. Ma a quell’ora della mattina sono soli. Quando è entrata, lui ha notato le sue gambe, forti e snelle: deve essere una ballerina.
“La verità è che sono vecchia per Broadway”.
Paul lo sa, e capisce che non è il caso di mentire. Lei non si aspetta di essere ingannata con una frase del tipo: “no, tu sei ancora giovane”. E non vuole certo corteggiarla. Meglio dirle la verità: “È un mondo spietato, basta un attimo per esserne buttati fuori”.
“Credo che ritornerò a Los Angeles. Lì almeno c’è la televisione, qualche piccola parte in una sit riesco sempre a trovarla, ma il mio sogno è sempre stato quello di ballare. Per questo ho provato a tornare a New York. Ma tutte le audizioni sono andate male. Questa è stata la mia ultima occasione”.
“Almeno ci hai provato. Tra qualche anno potrai dire che hai fatto di tutto per seguire il tuo sogno. E non avrai rimpianti”.
“Magari, ma credo che ne avrò sempre. Per quella volta che sono arrivata in ritardo, perché ho perso tempo con un ballerino che mi piaceva, e a cui io non piacevo, o per quella volta che non sono stata zitta e ho detto all’assistente del regista che poteva mettere le mani da un’altra parte e soprattutto per le volte in cui non ho ballato come io so fare”.
“Però ti sei rialzata ogni volta. Hai potuto farlo”.
“Certo, ma la danza è la vita che ho sognato, fin da bambina. Mia madre si è sposata che era molto giovane, mio padre la tradiva e non si è mai occupato troppo di noi. Non ho avuto un’infanzia felice, ma quando ho cominciato a ballare ho pensato che tutto potesse cambiare. Da bambina mi sembrava tutto così magico: uomini gentili e forti che sollevano giovani donne vestite di bianco. Naturalmente, allo scoccare del metronomo, ho capito subito che la danza sarebbe stata una vita faticosa, piena di sacrifici, che non sarebbe stata il paradiso. Ma per me è casa”.
Paul guarda la donna ed è come se la vedesse ora per la prima volta. Sheila nota che l’uomo sembra invecchiato di colpo, travolto da brutti ricordi.
“Scusa, mi spiace raccontarti i miei problemi”.
“Sono un barista, è il mio lavoro ascoltare i clienti. Ti posso fare compagnia? Ho bisogno di bere qualcosa anch’io”.
Solo adesso Sheila nota che l’uomo zoppica. Forse è stato in Vietnam o magari un incidente. Ma pensa sia meglio non chiedergli nulla. Intanto è entrato un altro cliente. Sheila capisce che è abituale, perché si è seduto bofonchiando un saluto e il barista gli ha servito un caffè, senza aspettare l’ordinazione. Sheila vede su una parete una grande foto di Cyd Charisse, sensuale nel vestito rosso di The Bandwagon. Adesso ricorda tutto: certo allora non portava i baffi, ma il barista è quel ragazzo portoricano che ha fatto un brutta caduta durante quella terribile audizione di dieci anni fa, per scegliere otto ballerini di fila. Per uno spettacolo che poi non è stato fatto. Lei alla fine è stata scartata – non se ne rammarica troppo: le quattro scelte erano davvero più brave di lei – ma a lui è andata decisamente peggio.

*****
Ovviamente possiamo solo immaginare cosa è successo “dopo” a Sheila Bryant e a Paul San Marco, passata quell’incredibile audizione raccontata in A Chorus Line. E ciascuno di voi può divertirsi - come ho fatto io - a raccontare altre storie o su loro due o su uno dei tanti personaggi di quel bel musical.
Però sappiamo cosa è successo a Kelly Bishop e Sammy Williams, che hanno interpretato questi due personaggi in quel fortunato spettacolo del 1975, ruoli per cui hanno vinto entrambi il Tony, dei nove ottenuti dal musical, che l’anno successivo ha vinto anche il Pulitzer per il teatro.
Kelly, nata nel 1944 in Colorado, grazie al ruolo della forte e sensuale Sheila, ha ottenuto il suo più importante, ma anche ultimo, successo a Broadway. La notorietà le è arrivata qualche anno dopo, a Hollywood, tra il cinema e la televisione. E sempre per il ruolo di una madre. Infatti è lei a interpretare la signora Houseman in Dirty Dancing nel 1987 e Emily Gilmore in Gilmore Girls, dal 2000 al 2007. Ma nel 2011 Kelly si è anche tolta la soddisfazione di tornare a Broadway, come guest star, nel fortunato revival di Anything Goes, accanto a Sutton Foster e Joel Grey, nel ruolo di Mrs Evangeline Harcourt, la madre - molto invadente e snob - della giovane Hope.
Non è andata altrettanto bene a Sammy, nato nel 1948 nel New Jersey. Nonostante il successo del musical, per lui non è stato l’inizio di una grande carriera. Ha ottenuto qualche piccola parte al cinema, un’apparizione in una puntata di Kojak, ma nulla di più. E così si è trasferito alla fine degli anni Ottanta in California, dedicandosi all’attività di fiorista. Per più di dieci anni ha disegnato e allestito i carri allegorici per la Rose Parade a Pasadena.
Merita di ricordare come il piccolo Sammy ha cominciato a ballare. Era sua sorella che frequentava le lezioni di danza del maestro Tucci a Trenton, ma quando un giorno lei si è rifiutata di continuare, lui, che era lì perché la madre non sapeva a chi lasciarlo, ha detto: “Posso farlo io”. E questa storia è entrata in A Chorus Line, grazie alla genesi molto particolare di questo spettacolo.
Il 26 gennaio del 1974, in una piccola sala prove dell’East Village i ballerini Michon Paecock e Tony Stevens hanno chiamato un gruppo di loro colleghi e quel variegato gruppo di “zingari” si sono messi a raccontare come hanno cominciato a danzare e cosa il balletto rappresentava per loro. Quei laboratori sono continuati, il regista e coreografo Micheal Bennett ha cominciato a frequentarli, prima per semplice curiosità, e, man mano che quelle storie crescevano, si è reso conto che poteva nascere qualcosa. Dopo di lui si sono aggiunti James Kirkwood Jr. e Nicholas Dante. In poco tempo, da tutti quei racconti, da quelle confessioni notturne, è nato lo spettacolo, con le canzoni scritte da Marvin Hamlisch per le musiche e Edward Kleban per le parole. Otto di quei ballerini, tra cui Sammy, hanno fatto parte del cast, prima al Public Theatre nel circuito off-Braodway e poi allo Shubert. E allora proprio nessuno avrebbe immaginato che la corsa di quello spettacolo sarebbe durata per più di seimila repliche.
L’esperienza di Sammy è diventata la storia di uno dei personaggi, Mike - anche se non quello interpretato da lui - nella canzone I Can Do That. Mentre la storia di Paul, il giovane ballerino di origini portoricane che vive in maniera drammatica la propria omosessualità, è la storia dello stesso Dante. E nel corso dei seminari tante ballerine hanno raccontato una storia come quella che Sheila, insieme a Babe e Maggie, racconta in At the Ballet. Il complicato rapporto d’amore tra il tirannico coreografo Zach e Cassie, la ballerina solista che pur di poter continuare a danzare, è disposta a fare le audizioni per la fila, nonostante le riserve dell’uomo che la considera troppo brava, racconta la contrastata vicenda sentimentale di Bennett e dell’attrice e ballerina Donna McKechnie - che ottiene il Tony per il ruolo di Cassie: The Music and the Mirror è uno dei capolavori della storia del musical.
La forza di A Chorus Line, al di là della bellezza delle canzoni e dell’energia dei balletti, è soprattutto in questa verità, nello strappare il sipario e nel raccontare quello a cui di solito noi spettatori non assistiamo. Noi vediamo la fila, le ballerine e i ballerini che, come nel famosissimo finale, vestiti tutti uguali nei loro luccicanti abiti dorati, sono praticamente indistinguibili l’uno dall’altra. Eppure ciascuno di loro - e lo abbiamo ben visto durante tutto lo spettacolo - è assolutamente One.

*****
Fortunatamente il bar si sta lentamente animando. Paul può smettere di rivolgersi a quell’unica cliente. Non ha mai saputo chi degli altri, dopo il suo incidente, è stato “chiamato”. Anche se ha sempre pensato che Sheila fosse una degli otto. Poi certo lo spettacolo non è stato fatto e quell’audizione non è servita a nulla, se non a distruggere la sua carriera.
Anche Sheila è felice di non dover parlare ancora con il barista. Ricorda che Zach, una volta che l’ambulanza aveva portato via Paul, aveva chiesto a tutti di pensare cosa avrebbero fatto quando non avessero più potuto ballare. Lei non è mai riuscita a trovare una risposta.

Won’t forget, can’t regret
What I did for love what I did for love

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