mercoledì 28 ottobre 2020

Verba volant (790): labbra...

Labbra
, sost. f. pl.

Mettetevi comodi e preparate i popcorn: stasera doppio spettacolo.

Martedì 19 giugno 1973: i sessantatré posti della sala Upstairs del Royal Court Theatre di Sloane Square, a Chelsea, sono tutti occupati. Sulla scena i sedili di un vecchio cinema che sembra abbandonato. Un riflettore illumina una giovane usherette che percorre lentamente il corridoio della piccola sala con il suo vestito rosa, che non nasconde le belle gambe, e il vassoio dei dolciumi tenuto al collo da una fascia rossa. Però non cerca di venderci i suoi dolcetti alla fragola: vuole raccontarci, cantando, lo spettacolo a cui stiamo per assistere. E lo fa con una canzone bizzarra, quasi senza senso - una sorta di collage dadaista - citando film apparentemente a caso, solo per rispettare metrica e rime. Ma forse quei titoli non sono scelti in maniera così casuale. E per noi che amiamo i vecchi film in bianco e nero, il testo di quella canzone è davvero uno spasso.

Si comincia citando Michael Rennie, l'attore inglese, alto ed elegante, protagonista del film del 1951 The Day the Earth Stood Still - che in Italia conosciamo con il titolo Ultimatum alla Terra. Per gli appassionati di fantascienza è un classico del genere, così come la frase, nella lingua degli alieni, Klaatu, Barada, Nikto! che ferma il robot Gort nel momento in cui sta per distruggere la terra per vendicare la morte del suo compagno dalle sembianze umane. Qualche anno prima nessuno aveva trovato le parole per fermare le bombe che avevano distrutto le città di Hiroshima e Nagasaki, nessuno, all'epoca in cui il film viene girato, sembra capace di trovare le parole per fermare una guerra che tutti sentono imminente. Non c'è salvezza in questo mondo, sembra il messaggio di quel film: bisogna sperare in un mondo diverso, bisogna sperare nell'arrivo degli alieni. Ma forse, come canta un poeta nato qualche anno dopo l'uscita di quel film, l'astronave è già passata e tu dormivi. Merita di essere ricordato il regista di quel film, Robert Wise, uno dei grandissimi artigiani di Hollywood, capace di fare film di qualsiasi genere, western, fantascientifici, bellici, anche se ha dato il meglio di sé nei film musicali e infatti ha ottenuto i suoi due Oscar per West Side Story e The Sound of Music.
Ma siamo appena all'inizio. Trixie ci annuncia un doppio spettacolo: un corto di Flash Gordon e L'uomo invisibile con Claude Rains. Sono tre le serie cinematografiche dedicate al personaggio creato da Alex Raymond: Flash Gordon del 1936, Flash Gordon's Trip to Mars del '38 e Flash Gordon Conquers the Universe del 1940. Ogni serie era divisa in quindici episodi. Il cinema, prima del film in cartellone, proiettava ogni settimana un episodio, sperando quindi che gli spettatori tornassero anche quella successiva per vedere come andava a finire. Più o meno quello che "subiamo" noi adesso con le serie televisive: solo che l'obiettivo per farci "tornare" ogni sera sul nostro divano è quello di venderci un nuovo telefono, un nuovo shampoo, una nuova merendina, un nuovo "qualcosa". Il Flash Gordon di quelle serie è Buster Crabbe, medaglia di bronzo nei 1500 metri di nuoto alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 e medaglia d'oro nei 400 in quelle di Los Angeles quattro anni dopo; e poi una bella carriera nel cinema d'avventura. Francamente quei film sono più belli del colossal prodotto da Dino De Laurentiis nel 1980, che rischiamo di ricordare quasi soltanto per la conturbante bellezza di Ornella Muti che interpreta una poco vestita principessa Aura, senza comunque essere mai affascinante come la perfida Kala di Mariangela Melato.
The Invisible Man del 1933 segna il debutto cinematografico dell'attore inglese Claude Rains. Il suo viso non doveva apparire quasi mai durante il film - lo si vede solo alla fine, nelle ultime scene - e per questo quel ruolo è stato rifiutato da Boris Karloff. Però serviva una grande voce e il regista James Whale, che aveva già diretto Frankenstein due anni prima, ha capito subito che Rains sarebbe stato perfetto per quel ruolo, con quella sua voce così caratteristica. Ma non era sempre stato così: il giovane Claude, nonostante una grande passione per il teatro, ha difficoltà a parlare, oltre a un terribile accento cockney. Ma sir Herbert Beerbohm Tree, il fondatore della Royal Academy of Dramatic Art, è convinto che quel ragazzo possa diventare un grande attore. E così è stato e in seguito Rains è diventato docente in quella stessa scuola di recitazione, insieme ai suoi amici John Gielgud e Laurence Olivier. E noi abbiamo imparato a conoscere anche il viso di Claude Rains, che è stato uno dei grandi "cattivi" di Hollywood: il principe Giovanni in La leggenda di Robin Hood, il corrotto senatore Paine in Mr Smith va a Washington, il nazista Alexander Sebastian in Notorius; ma anche il grandissimo capitano Renault in Casablanca. E poi negli anni Sessanta, con la sua inconfondibile voce e l'innato aplomb inglese, è il professor Challenger in Mondo perduto e Mr Dryden in Lawrence d'Arabia. Quanto cinema abbiamo già raccotato; e siamo solo al quarto verso della canzone.
Poi arrivano Fay Wray e King Kong. Potete perfino non aver visto il film del 1933 prodotto dalla RKO e diretto da Merian C. Cooper and Ernest B. Schoedsack, potete perfino non conoscere esattamente la storia, ma tutti, proprio tutti, avete in testa l'immagine dell'enorme gigante che sulla cima dell'Empire State Building lotta contro quei biplani che volano come insetti intorno a lui. Ma anche se quel mostro ci spaventa, tutte le volte che guardiamo quella scena speriamo che riesca a fuggire, che scenda sano e salvo da quel dannato grattacielo, perché ci fanno molta più paura gli uomini che lo vogliono uccidere. E quelli che da dietro le cineprese riprendono tutta la scena. 
Ma non abbiamo tempo di fermarci: it came from outer space. E qui Trixie ci porta due decenni avanti, nel 1953, quando esce il film che ha proprio questo titolo diretto da Jack Arnold, basato su un soggetto scritto da Ray Bradbury, che in Italia conosciamo come Destinazione... Terra! In questo film gli alieni non sono venuti per conquistare il nostro pianeta, ma sono naufragati qui perché la loro astronave è andata in avaria. Ma non sono come noi, non sono bianchi come noi, non sono cristiani come noi, non sono maschi come noi, e quindi dovranno sopportare tutti i nostri pregiudizi. Non sono i primi "diversi" che abbiamo fatto soffrire con la nostra ipocrisia e non saranno certo gli ultimi.  
Basta pensare... Trixie ci annuncia già i due prossimi film: Doctor X del 1932 e Forbidden Planet del 1956. Se non avete visto il primo film, non vi rivelerò chi è il misterioso serial killer che uccide e sbrana le sue vittime nelle notti di luna piena. Ma vi dico che l'eroina che sta per cadere vittima di questo mostro è ancora una volta la sventurata Fay Wray, in uno dei tanti film della sua bella e lunga carriera. È morta a Manhattan l'8 agosto 2004, a novantasei anni, e due giorni dopo le luci dell'Empire State Building sono rimaste spente quindici minuti in sua memoria. Il secondo invece è nelle intenzioni dei suoi autori una specie di versione fantascientifica della Tempesta di William Shakespeare: forse un obiettivo troppo ambizioso, per quanto rimanga comunque un ottimo film di fantascienza. I protagonisti sono Walter Pidgeon, una giovane Anne Francis - citata nella canzone - una delle tante possibili fidanzate d'America e un quasi esordiente Leslie Nielsen, che certo non avrebbe mai immaginato di diventare Frank Drebin. Pidgeon aveva la faccia e il portamento dell'eroe, del buono, ma ha saputo interpretare ruoli più complessi, come quello del bandito in La belva umana e appunto il dottor Morbius in questo film; ma noi lo ricorderemo come lo splendido coprotagonista, insieme a Totò, del film I due colonnelli, che Pidgeon recita in italiano, ovviamente con il suo marcato accento inglese. Però il vero protagonista del film è il robot Robby, creato da Robert Kinoshita su disegni di A. Arnold Gillespie e Mentor Huebner, che vedremo in altri sette film e in moltissime serie televisive, dalla Famiglia Addams a Mork & Mindy, da Colombo a Wonder Woman. E ha fatto anche molta pubblicità. Tanti attori in carne e ossa sognano di fare la stessa carriera di Robby the Robot: senza riuscirci. 
Jack Arnold è uno specialista del genere e infatti nel 1955 dirige anche il successivo film citato da Trixie, Tarantula, insieme a uno dei suoi protagonisti Leo G. Carroll, che interpreta il professor Deemer, lo scienziato che ha creato il siero che rende giganteschi gli animali, compresa la tarantola che solo una squadriglia di jet armati di napalm - guidati da un giovane Clint Eastwood, non ancora il "buono" dei film di Sergio Leone - potrà distruggere. Leo G. Carroll, con quella sua aria misteriosa e altera, è un attore molto amato da Alfred Hitchcock: con lui girerà molti film e nel 1959 sarà il 'Professore" di Intrigo internazionale.
Sono enormi e giganteschi anche i trifidi, le piante che si staccano dal terreno e si nutrono di carne umana, i cui semi sono arrivati dallo spazio insieme a misteriosi meteoriti che hanno il potere di rendere ciechi chi li guarda. Il film è The Day of the Triffids del 1962, intitolato in Italia L'invasione dei mostri verdi, interpretato tra gli altri da Howard Keel, che non è più l'aitante Adamo Pontipee di Sette spose per sette fratelli. Anche se Trixie ricorda il film citando Janette Scott, l'attrice inglese che ha esordito come Cassandra in Elena di Troia di Robert Wise e negli Sessanta ha alternato con successo commedie romantiche e film di fantascienza. Janette è la biologa marina che insieme al marito vive su un faro in un'isola sperduta e che riuscirà a sconfiggere i trifidi gettandogli addosso acqua di mare. A proposito di "mostri" pericolosi, la sceneggiatura del film viene accreditata al produttore esecutivo Philip Yordan, anche se l'ha scritta Bernard Gordon, che non può lavorare perché, in quanto iscritto al Partito comunista, è nella "lista nera". Quando la Writers Guild of America ha cominciato ad accreditare correttamente le sceneggiature scritte sotto pseudonimi o attraverso prestanome, assegnando ai veri autori i loro crediti retroattivi, Gordon è quello che ne ha ricevuto di più di ogni altro scrittore della lista. Chi sono i "trifidi" più pericolosi? Una parte dell'America pensava si dovesse temere "l'invasione dei mostri rossi", ma quanti film, quanti libri, quanti musical abbiamo perduto per l'ottusa idiozia di questi pretesi difensori dell'ordine costituito?
Dana Andrews ha la faccia da western, ma Otto Preminger capisce che può diventare anche un duro per i suoi noir. Ma Trixie si ricorda di lui per La notte del demonio, un horror inglese del 1957 diretto dall'esperto del genere Jacques Tourner, famoso per Il bacio della pantera e Ho camminato con uno zombie. Andrews è il professore statunitense John Holden, uno scienziato che non crede all'esistenza di forze misteriose e soprannaturali: ma in suo viaggio nella vecchia Inghilterra dovrà ricredersi, visto che avrà l'occasione di incontrare il demonio in persona, con la sua misteriosa pergamena scritta con caratteri runici. 
Chissà se Trixie sa che George Pal, il prossimo nome che cita nella sua canzone, si chiamava György Pál Marczincsak ed era nato nel 1908 in quello che era ancora l'Impero Austro-ungarico, sotto il regno di Francesco Giuseppe. E forse non sa neppure che ha cominciato a fare film a Berlino negli anni d'oro dell'espressionismo tedesco, ma quando Hitler è andato al potere, è uno dei tanti cineasti europei che è dovuto fuggire a Hollywood, diventando uno dei grandi registi e produttori di film fantascientifici. Trixie ha visto certamente nel 1960 The Time Machine - in Italia L'uomo che visse nel futuro - con Rod Taylor e tanti altri film che lui ha prodotto, da When Worlds Collide a The War of the Worlds, e poi Conquest of Space. Perché a Trixie piacciono gli effetti speciali e Pal è un mago di questo cinema che ci tiene incollati alle poltrone. Ma chi è la misteriosa moglie di George Pal di cui parla Trixie? Questo non lo so neppure io, anche se ho un sospetto.

I miei lettori più attenti credono abbiano ormai capito sia il titolo della canzone che quello del musical che ha debuttato quella sera di giugno a Londra. Inutile dire che è stato un successo. È rimasto in cartellone fino al 20 luglio, ma poi è stato necessario trovare una sala più grande: dal 14 agosto al 20 ottobre in quella da duecentotrenta posti del Chelsea Classic Cinema e infine dal 3 novembre in quella da cinquecento posti del King's Road Theatre, dove lo spettacolo è rimasto fino al 31 marzo 1979. Ma ormai nessuno avrebbe più fermato The Rocky Horror Show. Che nel 1973 vince anche l'Evening Standard Award come miglior musical. Merita di essere ricordato che quell'anno come miglior spettacolo viene premiato Saturday, Sunday, Monday, la versione inglese della commedia di Eduardo Sabato, domenica e lunedì, con Joan Plowright e Frank Finlay che interpretano Rosa e Peppino Priore e Olivier nel ruolo del vecchio Antonio Piscopo. Due spettacoli che, a modo loro, raccontano il tempo che cambia.

Quella giovane usherette che interpreta Science Fiction/Double Feature è Patricia Quinn, una trentenne attrice arrivata a Londra da Belfast con il sogno di sfondare nel West End. L'autore Richard O'Brien e il regista Jim Sharman la scelgono per il ruolo di Magenta e le chiedono di interpretare anche Trixie: non hanno certo i soldi per scritturare un'altra attrice. Due anni dopo il Rocky Horror diventerà un film e naturalmente Patricia sarà ancora la misteriosa e sensuale cameriera del Dr Frank-n-Furter. E quando alla fine compare in scena con la tuta spaziale per tornare nel suo pianeta i suoi capelli sono un chiaro omaggio alla moglie di Frankenstein.
Nel film quella canzone deve accompagnare i titoli di testa e Sharman immagina che mentre canta Patricia vengano proiettati i fotogrammi di tutti i film citati. Ma ancora una volta bisogna fare i conti con il budget: acquistare i diritti di tutti quei film si rivela troppo dispendioso per la produzione. E allora Sharman ha un'idea: sarà O'Brien - ossia l'ineffabile Riff Raff - a cantare la canzone, ma le labbra rosse su sfondo nero - un omaggio a Lips di Man Ray - sono quelle di Patricia. Le labbra di una donna e la voce di un uomo: Science Fiction/Double Feature in un mondo che sta cambiando, anche se molti "terrestri" fanno di tutto affinché questo non accada. Ma noi, come Trixie, continueremo a fare il tifo per Kong e per tutti i "diversi" che lottano affinché questo mondo sia la loro "casa".  

domenica 18 ottobre 2020

Verba volant (789): assassina...

Assassina, sost. f.

Nonostante quelle splendide gambe e quei capelli rosso fuoco, la carriera di Gwyneth Evelyn - nata il 13 gennaio 1925 a Culver City - non riesce proprio a decollare. 

volete sapere come va avanti questa storia? dovrete aspettare il libro in cui ho raccolto tutte queste storie..

lunedì 12 ottobre 2020

Verba volant (788): appartamento...

Appartamento, sost. m.

Venerdì 6 marzo 1953 viene annunciata al mondo la morte di Iosif Vissarionovič Džugašvili: la notizia lascia nello sgomento una metà del mondo, mentre viene accolta dall'altra metà con malcelata soddisfazione. I redattori di Time Magazine non riescono a modificare la copertina del numero che sarebbe uscito in edicola lunedì 9 marzo, su cui infatti troviamo un ritratto del presidente sudcoreano Syngman Rhee, appena rieletto, con metodi tutt'altro che democratici, per un secondo mandato. Come per Somoza, il governo di Washington sa benissimo che si tratta di "un figlio di puttana", ma anche Rhee è il "loro figlio di puttana", uno dei tanti in giro per il mondo. Finalmente il lunedì successivo sulla copertina della più autorevole rivista americana campeggia un bel ritratto di Stalin, che osserva con un sorriso compiaciuto e ironico una ragnatela che egli ha pazientemente tessuto e in cui sono imprigionati diversi uomini-insetti. Il lunedì ancora successivo la copertina è dedicata a Malenkov, che nei giorni concitati successivi alla morte del leader sovietico appare come il nuovo "uomo forte" di Mosca. Ma evidentemente non è quella la soluzione definitiva nel complesso gioco di scacchi che si sta svolgendo al Cremlino: il 20 aprile in copertina c'è Molotov, il 20 luglio Berija, e dobbiamo aspettare il 30 novembre per vedere un ritratto di Nikita Sergeevič Chruščëv, con alle spalle una fascina di spighe che stanno per essere tagliate da una falce, naturalmente rossa. 
È istruttivo osservare un anno attraverso le cinquantadue copertine di Time. Il 1953 è aperto e chiuso da due ritratti di donne: la ventisettenne Elisabetta II all'inizio del suo regno - che naturalmente nessuno avrebbe immaginato così lungo - e la novantatreenne pittrice americana Grandma Moses, una delle più importanti esponenti dello stile American primitive. C'è anche un po' d'Italia nelle copertine di Time di quell'anno: nel numero del 25 maggio c'è un ritratto austero di Alcide De Gasperi, che sta per perdere le elezioni della cosiddetta "legge truffa" e lasciare la vita politica - era un tempo così: se perdevi una battaglia fondamentale dovevi ritirarti davvero, anche se eri De Gasperi - e in quello del 14 dicembre un solenne e ieratico Pio XII.
La copertina che interessa a me però è quella del 30 marzo. Dopo Stalin e Malenkov i lettori di Time trovano sulla loro rivista lo smagliante sorriso di una bella donna dai capelli neri che indossa un elegante cappello rosa, sullo sfondo dei grattacieli di New York.  

Mercoledì 25 febbraio ha debuttato al Winter Garden Theater - il grande teatro di Midtown che dalla fine del 1982 e per quasi diciotto anni sarebbe stata la "casa" di Cats - un nuovo musical scritto da Leonard Bernstein. Il quarantacinquenne compositore e direttore d'orchestra è già molto conosciuto, ma non è ancora il "grande" Bernstein. Giovedì 10 dicembre di quello stesso anno debutta - ed è il primo direttore d'orchestra americano - alla Scala, dirigendo Maria Callas nella Medea di Luigi Cherubini con la regia di Luchino Visconti.
Ma questa storia comincia quasi vent'anni prima, all'inizio del 1935, quando Stalin comincia a organizzare le grandi purghe degli anni Trenta. Ruth ed Eileen McKenney, due sorelle cresciute a East Cleveland in Ohio, prendono in affitto per 45 dollari al mese un minuscolo appartamento nel seminterrato del numero 14 di Gay Street nel Greenwich Village. Se volete sapere com'è quella strada potete riguardare il video di Girls just want to have fun di Cindy Lauper, un "classico" degli anni Ottanta. Quelle due stanze dalle pareti ammuffite non sono il massimo, anche perché proprio lì sotto stanno costruendo una linea della metropolitana, e il Greenwich non è ancora un quartiere alla moda di Manhattan, ma quel piccolo appartamento di New York sembra un sogno per quelle due ragazze che vogliono to be the one to walk in the sun. Ruth vuole fare la giornalista, mentre Eileen sogna di sfondare a Broadway.
Le disavventure di due ragazze di ventiquattro e ventidue anni arrivate dall'Ohio in quell'appartamento del Greenwich diventano l'argomento per una serie di articoli che Ruth riesce a pubblicare sul New Yorker alla fine degli anni Trenta e che nel 1938 escono come un romanzo con il titolo My Sister Eileen. Quegli articoli permettono alle due sorelle di lasciare l'appartamento rumoroso e ammuffito, ma non il Greenwich, perché Ruth è comunista e in quelle strade "disordinate" - che non rispettano il disegno rigidamente ortogonale del resto di Manhattan - e in quei locali in cui bianchi e neri stanno facendo crescere la musica jazz, pulsa la rivolta dell'America. E Ruth deve stare lì.
Ruth non vuole essere ricordata solo per quelle divertenti storie di colore. Nel 1939 pubblica quello che considera il suo lavoro migliore, Industrial Valley, un libro-inchiesta sul grande sciopero degli operai della Goodyear ad Akron nel 1936. Nel 1943 pubblica un altro romanzo, Jake Home, la storia di un sindacalista dell'Ohio all'inizio del Novecento. Ruth ha deciso presto da che parte del mondo stare, quella che guarda con speranza a ciò che succede in Unione Sovietica, dalla parte degli operai delle grandi fabbriche, dalla parte dei neri che lottano contro la discriminazione razziale. Anche quando, nel 1946, viene espulsa dal Partito comunista d'America perché le sue posizioni non sono in linea con quelle "ufficiali" del partito: ma in fondo Ruth non è mai riuscita a stare in linea, anche quando giocava come prima base nella squadra di baseball di East Cleveland, l'unica ragazza in un gruppo di maschi.
Eileen non ha la stessa fortuna della sorella. Nel 1939 sposa lo scrittore Nathanael West, l'autore del romanzo Il giorno della locusta. Il 22 dicembre 1940 sono entrambi vittime di un tragico incidente stradale: Eileen ha solo ventisette anni. Ruth sarà molto colpita da questa perdita che condizionerà tutta la sua carriera negli anni successivi.
Le avventure di Ruth ed Eileen nell'appartamento del Greenwich sono un successo e due giovani commediografi, Joseph Fields e Jerome Chodorov, decidono di ricavarne una commedia per Broadway. My Sister Eileen debutta al Biltmore Theatre giovedì 26 dicembre 1940, appena quattro giorni dopo la morte della vera Eileen. Shirley Booth e Jo Ann Sayers interpretano le due sorelle. La prima è una delle grandi dello spettacolo americano, una delle poche a poter indossare la cosiddetta "tripla corona", ossia ad aver vinto un Tony, un Oscar e un Emmy nel corso della loro carriera. Probabilmente il suo ruolo più conosciuto è quello della moglie di Burt Lancaster in Torna, piccola Sheba, uno dei primi film ad affrontare il tema dell'abuso di alcol e delle sue conseguenze sulla vita familiare. Lo spettacolo, grazie anche alla verve di Shirley, ottiene un grande successo e rimane in cartellone fino al gennaio del 1943, per 864 repliche.
Naturalmente Hollywood si accorge di questo successo e decide di sfruttarlo. La Columbia chiede a Fields e Chodorov di adattare la commedia per il grande schermo, mentre Alexander Hall viene chiamato per la regia. Il film esce nella sale americane mercoledì 30 settembre 1942 ed è il più grande successo della Columbia di quell'anno. In Italia arriverà poco dopo con il titolo Mia sorella Evelina. Il film è divertente, Fields e Chodorov accentuano gli episodi da commedia e alla fine compaiono - anche se non accreditati nei titoli - i tre Stooges come gli operai che scavando il tunnel della metro sbucano nella camera delle ragazze. Il film finisce con Curly che dice: "Hey, Moe. Penso tu abbia fatto una svolta sbagliata!".
In quel film Ruth ed Eileen sono rispettivamente Rosalind Russell e Janet Blair. Janet è una brava cantante, ha imparato nella chiesa della sua città, Altoona in Pennsylvania, dove la madre suona l'organo e il padre dirige il coro. Fa la cantante in alcune big band dell'età dello swing, ma Hollywood nota ben presto la sua bellezza e la Columbia la mette sotto contratto. Non ha il successo che merita e non riesce mai ad avere una parte da protagonista: dopo My Sister Eilenn è l'amica di Rita Hayworth in Stanotte e ogni notte e torna finalmente a cantare in The Fabulous Dorseys. 
Rosalind - nata nel 1907 in Connecticut da una numerosa famiglia irlandese - invece è già un'attrice affermata. È molto bella, ma non diventerà mai un sex symbol: dirà in seguito che questo le ha permesso di avere una carriera molto più lunga di altre sue colleghe. Il suo ruolo è quella della donna elegante e sofisticata, anche se soffre di essere considerata una sorta di "appendiabiti". Negli anni Trenta appare in molti film, alternando drammi e commedie, ma è in queste ultime che offre le sue interpretazioni migliori. Nel 1940 è la giornalista Hildy Johnson nel film di Howard Hawks His Girl Friday - in Italia La signora del venerdì - in coppia con Cary Grant. Il film è una delle migliori trasposizioni cinematografiche della commedia Prima pagina, che nel 1974 diventerà una film con due protagonisti maschili, Jack Lemmon e Walter Matthau, in uno dei loro capolavori come coppia. Rosalind è la quindicesima scelta di Hawks, ma tutte le altre, dalla Hepburn alla Colbert, da Jean Arthur a Ginger Rogers, hanno rifiutato quella parte e così Rosalind scopre di essere nel cast leggendo in treno un articolo del New York Times in cui c'è l'elenco di quei famosi rifiuti. Il film è un successo e anche Hawks si deve ricredere sulle capacità di Rosalind Russell. L'attrice ottiene una nomination agli Oscar, la prima della sua carriera; ne avrà una seconda nel '46 per L'angelo del dolore - la biografia dell'infermiera Elizabeth Kenny - e una terza l'anno successivo per il ruolo di Lavinia nel film di Dudley Nichols Il lutto si addice ad Elettra, dal dramma di Eugene O'Neill.     
Nell'autunno del 1952 il produttore di Broadway Robert Fryer pensa che My Sister Eileen possa diventare un musical. Fields e Chodorov - che intanto viene indagato dal Comitato per le attività antiamericane - ci mettono davvero poco per scrivere il libretto. Adesso mancano solo le canzoni. In appena quattro settimane Bernstein e i suoi vecchi amici Betty Comden e Adolph Green scrivono la musica e i versi. In fondo quella è anche la loro storia. Leonard e Adolph condividevano un piccolo appartamento nel Greenwich e nei locali di quel quartiere si esibivano The Revuers, il gruppo formato da Comden e Green con Judy Holliday, spesso accompagnati al piano proprio dal giovane Bernstein. In uno di quei locali del Greenwich, il Village Vanguard, le pareti erano tappezzate di manifesti in cui si esprimeva il sostegno alla Repubblica Spagnola attaccata dai fascisti. Anche Leonard, Adolph e Betty hanno presto deciso da che parte stare.  
Fryer sa che Rosalind Russell è brava a cantare quanto a recitare: il ruolo di Ruth è suo. E questa volta è assolutamente la prima scelta. Ed è proprio il sorriso di Rosalind che i lettori di Time Magazine trovano in copertina il 30 marzo 1953, a un mese dal debutto. 
Wonderful Town è un successo che rimane in scena per 559 repliche. Forse non è uno dei capolavori di Bernstein, non ci sono canzoni diventate standard, ma, anche se non raggiunge le vette di Candide e West Side Story, questo musical rimane ancora oggi godibilissimo, uno dei frutti migliori della maturità artistica di Bernstein e della musica di Broadway degli anni Cinquanta. E Rosalind ottiene giustamente il Tony per la sua interpretazione della forte e determinata Ruth. Curiosamente la conservatrice Rosalind - sostiene tutte le campagne elettorali di Nixon, compresa quella per lui sfortunata contro il giovane Kennedy - la fervente cattolica Rosalind, è nelle proprie scelte artistiche una convinta sostenitrice dei diritti delle donne. Vuole interpretare donne forti, indipendenti, capaci di realizzare se stesse. E nel 1955 sempre a Broadway interpreterà il suo ruolo più celebre, quello di Mame Dennis, la Auntie Mame che dà il titolo alla pièce scritta da Jerome Lawrence e Robert E. Lee, basata sul romanzo autobiografico di Patrick Dennis. La commedia rimane in cartellone per quasi due anni e nel 1958 la Warner produce il film con lo stesso titolo, con la sceneggiatura della "ditta" Comden e Green. Rosalind Russell sarà nominata sia al Tony che all'Oscar per la sua interpretazione di questa donna esuberante e indipendente, sfortunatamente non vincendo alcun premio. Nel 1966 questa storia diventerà un musical, Mame, uno dei grandi successi di Angela Lansbury.
Nel 1955 la Columbia vorrebbe girare un musical basato sulla storia di My Sister Eileen, ma i diritti di Wonderful Town sono giudicati troppo costosi dai produttori. E poi i testi di Comden e Green sono molto espliciti e Ruth è una figura troppo indipendente e forte per la Hollywood del Codice Hays. La Columbia assume due specialisti del genere come Jule Styne e Leo Robin per scrivere una nuova colonna sonora e Bob Fosse per le coreografie. Eileen - che in questa versione diventa la protagonista - è interpretata da Janet Leigh, mentre Betty Garrett interpreta Ruth. Per Betty questo film segna finalmente la possibilità di tornare a lavorare a Hollywood. Nel 1949 la sua interpretazione in Un giorno a New York - con le canzoni scritte da Bernstein per la musica e da Comden e Green per i testi - sembra destinarle una carriera promettente, fermata, come per tanti altri, dalla indagini del Comitato per le attività antiamericane. Dopo Mia sorella Evelina - questo, come nel '42, il titolo in italiano - Betty potrà lavorare quasi solo in televisione. Sarà, tra molti altri ruoli, la signora Edna DeFazio, la madre di Laverne nella fortunata sit-com Laverne & Shirley. Il film non è il successo sperato dalla Columbia. E francamente, anche per il suo tono decisamente maschilista, inferiore al film del 1942 che ci appare molto più "moderno".
A parte l'inossidabile Lizzie sono tutti morti quelli che hanno goduto di una copertina di Time Magazine nel 1953. Anche il comunismo è morto. Continua a vivere, per fortuna, la musica di Bernstein e soprattutto la forza delle donne che - con il sorriso di Ruth - non seguono la "linea" e scelgono la parte giusta del mondo.

sabato 12 settembre 2020

Verba volant (787): cattiva...


Cattiva
, sost. f.

La crisi del '29 ha messo sul lastrico i Romero, una ricca famiglia di New York di origini cubane, che ha mantenuto forti legami con l'isola caraibica - la madre, Maria, si dice sia una figlia naturale dell'eroe nazionale Josè Martì - grazie all'attività di commercio dello zucchero. Per fortuna uno dei figli, Cesar, nato nel 1907 nella città americana, è affascinante, ha un'aria spavalda ed elegante, e sa ballare molto bene; e così riesce a mantenere la famiglia, anche dopo il crollo di Wall Street. Cesar fa qualche parte a Broadway, ma ben presto è attratto da Hollywood e qui troverà la sua fortuna. Negli anni Trenta e Quaranta, quando serve un gangster italiano o un principe indiano, un latin lover dall'aria scanzonata o un cow-boy dai tratti decisi, un affascinante truffatore o un seducente ballerino, Cesar Romero - sempre con i suoi baffi perfettamente curati - risponde alla chiamata: in questi anni interpreta decine di film e lavora con tutti i grandi. E, pur rimanendo uno scapolo incallito, viene fotografato nei locali più eleganti di New York e di Los Angeles con le più belle attrici di Hollywood, da Joan Crawford a Ginger Rogers, da Barbara Stanwyck ad Ann Sheridan. Poi, quando il cinema sembra aver meno bisogno di lui, e dei suoi baffetti, arriva la televisione: è lo zio donnaiolo di Zorro, nella serie degli anni Cinquanta che abbiamo amato per il povero sergente Garcia, interpretato dal bravo Henry Calvin. E comunque quando serve un playboy un po' in disarmo, Cesar c'è.

Burgess Meredith, nato anche lui nel 1907, a Cleveland, a differenza di Romero, non è uno dei belli di Hollywood; anche se ha sposato la splendida Paulette Goddard. Ma per almeno sessant'anni Burgess, membro a vita dell'Actor's Studio, uno dei pochissimi su invito, è stato un grande protagonista del teatro e del cinema americani. A Broadway ha interpretato moltissimi personaggi, dai classici shakespeariani a Beckett, passando per Eugene O'Neill, che porta anche a Londra. A teatro è anche un apprezzato regista: nel 1974 la sua regia di Ulysses in Nighttown, un adattamento di un episodio dell'Ulisse di Joyce, con Zero Mostel e Fionnula Flanagan, ottiene una nomination ai Tony. E sempre negli anni Settanta ottiene le due nomination agli Oscar come attore non protagonista della sua lunga carriera a Hollywood: per il ruolo di Harry Greener, un vecchio attore del vaudeville caduto in disgrazia in Il giorno della locusta, di John Schlesinger, e per quello di Mickey Goldmill, l'allenatore di Rocky. Anche se la sua interpretazione più importante rimane quella del personaggio di George nella versione cinematografica di Uomini e topi di John Steinbeck, diretta nel 1939 da Lewis Milestone. Uno dei pochi film in cui è il protagonista. Come nel suo, molto significativo, esordio cinematografico. Nell'autunno del 1935 Burgess è il protagonista a Broadway di Winterset, una delle opere più importanti del noto drammaturgo americano Maxwell Anderson. Burgess Meredith interpreta Mio Romagna che cerca di provare l'innocenza di suo padre, condannato a morte per una rapina e un omicidio che non ha commesso, una storia in cui sono ben chiari i riferimenti alla vicenda di Bartolomeo Vanzetti e di Nicola Sacco, uccisi dalla giustizia americana solo otto anni prima. Nel 1936 il dramma diventa un film, diretto da Alfred Santell, conosciuto in Italia con il titolo Sotto i ponti di New York: Burgess e gran parte degli altri attori che hanno portato in scena quello spettacolo sono chiamati a interpretare anche il film: un fatto abbastanza inusuale, ma siamo ancora nella Pre-Code Hollywood. E questo esordio sarà una delle ragioni per cui Burgess finirà nel mirino della Commissione per le attività antiamericane, con un inevitabile riflesso sulla sua carriera: negli anni Cinquanta e Sessanta potrà interpretare meno film, proprio a causa di queste accuse. Avrà comunque la sua rivincita: Burgess nel 1977 vince uno dei molti Emmy della sua carriera interpretando l'avvocato Joseph Nye Welch in un film per la televisione dedicato alla storia del senatore McCarthy. Welch è stato uno degli uomini che si è battuto in aula con più coraggio e determinazione contro McCarthy, contribuendo alla sua sconfitta.

Nonostante tutte queste storie, per noi ragazzini degli anni Settanta, cresciuti prima dei film di Tim Burton, Joel Schumacher e Christopher Nolan, Cesar Romero e Burgess Meredith saranno sempre Joker e il Pinguino nella serie televisiva degli anni Sessanta, arrivata in Italia all'inizio degli anni Ottanta nelle prime televisioni commerciali. 
So che i film sono filologicamente molto più aderenti all'originale rispetto a quella serie con il suo stile decisamente camp, così esagerato e teatrale, ostentatamente kitsch, con gli spari sottolineati dalla scritta BAM! e i pugni da quella ZONK!. So che Batman è un eroe tormentato rispetto ad Adam West che in ogni puntata spiega l'importanza di bere latte e mangiare verdure e che non sale mai in auto senza prima allacciarsi le cinture di sicurezza. E in quei mesi Adam West-Batman promuove in televisione l'appello del presidente Lyndon B. Johnson affinché gli americani acquistino i buoni di risparmio per sostenere la guerra in Vietnam. Eppure per me e per quelli della mia generazione Batman è quello lì, e soprattutto quelli sono i "cattivi", con buona pace dei Joker di Jack Nicholson, Heath Ledger e Joaquin Phoenix.
Special guest villain annunciano i titoli di testa: ed effettivamente in quei telefilm dalle trame per molti aspetti improbabili e sempre uguali, la cosa migliore sono i "cattivi", interpretati da alcuni grandissimi del cinema e del teatro americani. Con sedici apparizioni a testa Cesar Romero e Burgess Meredith fanno la parte del leone. E Cesar neppure per interpretare Joker ha accettato di tagliarsi i baffi, che sono coperti dal cerone bianco, ma comunque visibili. 
Ma devono essere citati altri grandi. Il Cappellaio Matto è David Wayne, due Tony e una grande carriera cinematografica e televisiva, e per noi il padre di Ellery Queen nella bellissima serie degli anni Settanta. Testa d'Uovo è Vincent Price, attore dalla dizione perfetta e carismatico interprete dei film horror che hanno fatto la fortuna del genere. Il Menestrello è Van Johnson, con Gene Kelly il protagonista di Brigadoon. Nella seconda serie l'Enigmista è John Astin, che certo ricordate come Gomez Addams in un'altra celeberrima serie televisiva, ma che è anche nel cast della famosa edizione del 1956 di The Threepenny Opera con Lotte Lenya, Edward Asner, Bea Arthur e Jerry Orbach. E poi c'è Mister Freeze, che è interpretato da George Sanders nella prima stagione, e da Otto Preminger e da Eli Wallach nella seconda. L'inglese Sanders è l'amante di Rebecca nel film di Hitchcock, ma anche la voce della tigre Shere Khan nel Libro della giungla della Disney, il velenoso critico teatrale in Eva contro Eva - ruolo per cui vincerà l'Oscar - e il raffinato pianista omosessuale di Lettera al Kremlino e il marito di Ingrid Bergman in Viaggio in Italia di Rossellini. Preminger è l'autore di Seduzione mortale, La magnifica preda, Carmen Jones e di molti altri film. Wallach è il "brutto" e uno dei volti degli spaghetti western. Anche Clint Eastwood è stato in predicato per entrare nel cast: per lui era pronto il ruolo di Due Facce, ma siccome il personaggio era considerato troppo cruento e non poteva essere facilmente caricaturizzato non se n'è fatto nulla. 
E poi c'è un quartetto di "cattive" che non posso non citare: Anne Baxter e Shelley Winters, che hanno vinto un'Oscar, e Joan Collins e Carolyn Jones, che abbiamo amato come Morticia Addams. Come vedete, con i "cattivi" di Batman posso raccontare vecchie storie di Hollywood ancora per un po'. 

A questo punto devo rassicurare i miei "colleghi" maschi. Non mi sono dimenticato di lei. Perché noi guardavamo Batman soprattutto per spiare le forme di Catwoman, fasciata da quella seducente tuta di pelle che oggi è conservata - giustamente - nelle sale dello Smithsonian a Washington. Peraltro quel costume è stato modificato proprio da Julie Newmar: ha voluto spostare la cintura dalla vita ai fianchi, in modo da enfatizzare la sua figura, rendendola ancora più sexy. 
Julie è nata a Los Angeles il 16 agosto 1933 e ha dimostrato fin da bambina un talento per la danza. A quindici anni è nella compagnia della Los Angeles Opera, ma con quelle gambe e quel sorriso così seducente il suo destino è naturalmente a Hollywood. Nella prima metà degli anni Cinquanta partecipa come ballerina - senza che il suo nome appaia nei titoli - a molti film musicali, compreso un classico come The Bandwagon di Vincente Minnelli. In Gli amori di Cleopatra è la ragazza completamente rivestita d'oro nella corte della regina d'Egitto. Finalmente nel 1954 è - anche se il nome nei titoli è ancora Julie Newmeyer - Dorcas Gaylen, una delle Sette spose per sette fratelli, quella che sposa il secondogenito Benjamin. E così Julie - ormai Newmar - può debuttare anche a Broadway. In The Marriage-Go-Round della commediografa Leslie Stevens, Julie è Katrin, la figlia di un professore universitario svedese che viene ospitata da una coppia di colleghi della New York University, Paul e Content, interpretati da due grandi come Charles Boyer e Claudette Colbert. La vita dei due professori è sconvolta dall'arrivo della giovane donna che si dimostra molto più disinibita delle sue coetanee americane, tanto da chiedere loro di poter fare un figlio con Paul, in modo che il bambino sia intelligente come lui e bello come lei. E visto che lei è Julie questa proposta - che naturalmente alla fine non sarà accettata - riesce a innescare tutta una serie di reazioni. Julie dimostra una grande capacità in questo spettacolo e ottiene un Tony. E così quando nel 1961 viene tratto un film - in Italia arrivato con il titolo Carosello matrimoniale - a Julie viene affidata ancora una volta la parte di Katrin, a fianco di James Mason e Susan Hayward.
La carriera di Julie prosegue tra Broadway - è Lola in una ripresa di Damn Yankees! e Irma in una di Irma La Douce - e Hollywood, dove recita in film non memorabili. Poi arriva Batman. Julie è Catwoman nella prima e nella seconda stagione, in cui le sue apparizioni, proprio per la crescente popolarità dell'attrice, diventano più frequenti rispetto alla prima. A causa degli impegni dell'attrice, nel film tratto dalla serie Catwoman è Lee Meriwether, mentre nella terza e ultima stagione - quando ormai la popolarità della serie è in netto declino - è l'attrice e cantante nera Eartha Kitt. E così, anche se Michelle Pfeiffer, Halle Berry e Anne Hathaway saranno splendide nel ruolo, Julie rimane Catwoman per un'intera generazione.
Nel 1995 esce una bella commedia che racconta il viaggio di tre drag-queen attraverso l'America. Hanno con loro una foto autografata proprio da Julie Newmar che hanno trovato in un bar. E il titolo del film è proprio questa dedica: To Wong Foo, Thanks for Everything! Julie Newmar. Perché Julie, nonostante una carriera probabilmente meno fortunata di quella che si poteva aspettare e che avrebbe meritato, è un mito. Anche per il suo impegno continuo a sostegno dei diritti della comunità LGBT.
E quindi, nel mio piccolo, anche io voglio dirle, thanks for everything, Julie Newmar!

mercoledì 9 settembre 2020

Verba volant (786): folletto...

Folletto, sost. m.

Quando lo hanno chiamato dalla Warner per proporgli quel film, Fred ha finto di credere alle bugie che gli hanno raccontato: sapeva di non essere la loro prima scelta. Lo avevano già chiesto a Dick Van Dyke. Ma poi sono mancati i soldi, il progetto è stato rimandato di alcuni mesi e così Dick ha preso altri impegni. Fred invece non ha altri impegni: ha settant'anni e sono lontani i tempi in cui era uno dei re di Hollywood, uno dei pochissimi che si poteva permettere di non essere sotto contratto con uno dei grandi studios.
Il suo ultimo film musicale è uscito undici anni prima, nel 1957: Silk Stockings - che in Italia conosciamo con il titolo La bella di Mosca - è una sorta di remake in musica di Ninotchka. Per Fred è stata l'occasione per ballare ancora una volta con la splendida Cyd Charisse e di cantare le canzoni di Cole Porter: Silk Stockings è stato infatti l'ultimo spettacolo che l'autore di Night and day ha scritto per Broadway. Anzi proprio per il film tratto dal musical il vecchio Cole ha composto per il suo amico Fred una nuova canzone: The Ritz Rock and Roll. Fred appare in scena indossando il frac e il cappello a cilindro - proprio come in Puttin' on the Ritz - ma balla sulle note della musica nuova che quel ragazzo di Memphis, con la sua aria sfacciata, sta facendo conoscere a tutta l'America. E quando ha finito di ballare Fred schiaccia il cilindro. La musica è cambiata: per sempre. E comunque Silk Stockings è stato un fiasco, al botteghino non ha incassato neppure i soldi che è costato.
E adesso gli chiedono di fare il protagonista di un film tratto da un musical che è andato in scena a Broadway vent'anni prima. Fred lo ha visto a teatro. Le canzoni sono molto belle e la storia è divertente: comunque è un'azzardo, il gusto del pubblico in vent'anni è molto cambiato. Gli hanno detto che la protagonista sarà Petula Clark, che è nata negli anni in cui lui ballava con Ginger. Con Downtown ha avuto un incredibile successo: quella è la musica nuova. Fred è preoccupato di dover cantare con lei. E poi non conosce il regista, praticamente un esordiente. Francis Ford Coppola ha appena trent'anni, ha fatto qualche corto con Roger Corman e You're a Big Boy Now: un film bizzarro, ma che è arrivato a vincere un Oscar grazie all'interpretazione di Geraldine Page. Questo Coppola, con quella barba e quei capelli lunghi, deve essere un hippy. Nonostante tutto questo ha accettato quella proposta: vuol far vedere di cosa è ancora capace il vecchio Fred Astaire e poi Finian's Rainbow è un musical dei suoi tempi, quando a Broadway c'erano ancora tutti i grandi.

Il 10 gennaio 1947 debutta al 46th Street Theater il musical Finian's Rainbow, con il libretto di Edgar Yipsel Harburg e Fred Saidy e le canzoni scritte dallo stesso Harburg per i testi e da Burton Lane per le musiche. Quella sala - che esiste ancora e si chiama Richard Rodgers Theatre - è stata la prima a presentare la disposizione dei posti "democratica" dell'architetto Irwin Chanin: tutti gli spettatori entravano in teatro attraverso le stesse porte, mentre in tutti gli altri di Broadway quelli che sedevano nei posti più economici e nel mezzanino usavano ingressi separati da quelli dei "signori" della platea. Per Yip Harburg quello è il teatro perfetto in cui far debuttare quel suo spettacolo in odor di socialismo.
Yip è nato l'8 aprile 1896 nel Lower East Side. Alle superiori conosce un ragazzo che, come lui, è figlio di ebrei emigrati dalla Russia, è bravo a scrivere e ama i musical. Yip e Ira Gershwin rimarranno amici per tutta la vita. È proprio Ira che lo convince a scrivere testi delle canzoni e Yip si rivela particolarmente dotato. Come i Gershwin, come Berlin, come tutti gli altri di questa "diaspora" di musicisti ebrei di New York, vola a Hollywood e qui ha l'occasione della vita: nel 1939 compone Over the Rainbow e tutti i testi delle canzoni di Il Mago di Oz. E anche se questo suo sforzo non è accreditato, coordina il lavoro della squadra degli sceneggiatori, scrive o riscrive intere scene, perché quello è uno dei primi film in cui le canzoni sono pienamente integrate e sono tutt'uno con i dialoghi.
Ateo, socialista, difensore dei diritti civili, Yip è convinto che con il musical si possa raccontare tutto, anche quello che l'America non vuol sentirsi dire. E così, alla fine della seconda guerra mondiale, nel momento in cui gli Stati Uniti, dopo aver sconfitto il mostro fascista, si sentono investiti del ruolo di guida del mondo "libero", nascondendo tutte le contraddizioni di una società in cui la segregazione razziale è ancora fortissima e in cui le ingiustizie sociali sono sempre più nette, scrive Finian's Rainbow, apparentemente una favola, in cui si intrecciano due storie d'amore, quella principale, inizialmente tormentata e poi a lieto fine, tra Sharon e Woody - che culmina nella dolcissima Old Devil Moon - e quella secondaria in cui un "vero" folletto irlandese, un leprecauno, accetta di diventare uomo per amore di Susan the Silent, una ragazza muta che si esprime solo danzando.
Ma Yip non si limita a scrivere una favola. Sharon è la figlia di Finian, un vecchio irlandese che decide di lasciare il suo paese - ricordato con nostalgia dalla ragazza nella celebre How Are Things in Glocca Morra - alla ricerca della felicità nella Rainbow Valley. Crede di aver trovato quel posto favoloso in America, nel Missitucky, perché lì c'è Fort Knox, dove i ricchi americani riescono a "moltiplicare" il loro oro. E anche Finian ha un piccolo gruzzolo che spera di far crescere in quel lontano paese. Quello che Sharon non sa è che il padre ha rubato quell'oro a un giovane leprecauno di nome Og, che si è messo in viaggio alla ricerca di Finian: se non riesce a recuperare la sua magica pentola è destinato a diventare un mortale. Ma in quella terra Finian, Sharon e Og trovano una comunità di agricoltori che coltivano tabacco, guidata da Woody, una comunità in cui bianchi e neri lavorano insieme, senza alcuna tensione, ma che soffre per la prepotenza dello sceriffo e delle autorità e per lo sfruttamento dei padroni delle terre. E contro quei coltivatori c'è anche il vecchio senatore bianco del Missitucky, bigotto e razzista, a cui nel corso della storia succederà di diventare nero, di provare, letteralmente sulla propria pelle, il razzismo della polizia e dei "benpensanti". E tutti, in una girandola di equivoci e di magie, cominciano a cercare quell'oro, convinti che possa risolvere ogni loro problema. Ma alla fine, quando scoprono che quell'oro non c'è più, capiscono che quella non è la cosa davvero importante, perché, come dice la canzone che chiude lo spettacolo If This Isn't Love. Sharon e Woody si sposano, Og accetta di diventare un mortale perché è l'unico modo per vivere insieme alla sua amata Susan, che comincia a parlare, e anche il senatore Rawkins, tornato bianco, diventa se non proprio socialista, almeno un po' più progressista e non trova più scandaloso che bianchi e neri vivano insieme. Forse il vecchio Finian ha davvero trovato un posto magico, ma lui deve continuare a cercare il suo arcobaleno, perché alla fine forse non c'è una pentola d'oro, ma c'è certamente un bellissimo mondo nuovo.
Al suo pubblico Yip racconta che in fondo il tanto decantato american dream non è che una fantasia irrealistica, irraggiungibile per la maggioranza, ottenuta solo da qualcuno con mezzi tutt'altro che leciti. Finian's Rainbow è apparentemente una favola ricca di magia e di romanticismo, ma è soprattutto un'atto d'accusa contro l'ipocrisia dell'America ricca e bianca e un manifesto di ideali socialisti. E, forse al di là delle speranze dello stesso Yip, quel musical è un successo, che rimane in cartellone per settecentoventicinque repliche. Merito soprattutto delle canzoni di Harburg e di Lane.
Per inciso anche il compositore Burton Lane - pure lui nato a New York da una famiglia di origine ebraica - ha un qualche legame con Il Mago di Oz. Nel 1935 a Hollywood sta facendo dei provini. Si presentano due sorelle, Virginia e Mary Jane Gumm: bravine, ma nulla di più. Con loro c'è la sorella più piccola - ha solo tredici anni - Frances, che canta una canzone, così per gioco. Burton capisce subito che quella ragazzina ha una voce incredibile. Il giorno dopo accompagna Frances alla MGM e suona il piano mentre lei canta per Jack Robbins, il capo del dipartimento musicale dello studio, e poi per Louis B. Mayer e infine per tutti i registi che ci sono in giro per i teatri di posa. Quel provino, iniziato alle nove del mattino, finirà solo alle sette e mezza di sera: quel giorno, grazie all'intuizione di Burton Lane, "nasce" Judy Garland.

Ma l'America degli anni Cinquanta non vuole sentirsi raccontare, anche se attraverso tante belle canzoni, quelle scomode verità. Yip Harburg già nel 1950 viene inserito nella "lista nera". Non è comunista, ma il suo coinvolgimento con l'Hollywood Democratic Committee, il suo rifiuto di identificare comunisti tra i suoi colleghi di Broadway e soprattutto le sue canzoni, sono per i suoi accusatori prove sufficienti: per dodici anni, fino al 1962, gli viene impedito di lavorare per il cinema, la televisione e la radio. E anche Broadway sbarra le porte a uno dei suoi più geniali talenti.
Anche per la protagonista femminile, Ella Logan, una brava attrice e un'ottima cantante nata a Glascow, Finian's Rainbow è la fine della carriera a Broadway: l'Fbi sospetta che sia un "corriere" dell'Unione Sovietica e non potrà mai più lavorare.
Il musical è invece il trampolino di lancio per il giovane attore del Michigan che interpreta Og, il folletto: David Wayne ottiene infatti il primo dei due Tony della sua ricca carriera teatrale. Forse il nome non vi dice nulla, ma il suo viso lo conoscete senz'altro, perché questo attore ha interpretato decine di film, anche se quasi mai da protagonista, è uno dei grandi caratteristi di Hollywood, presente in veri cult, da La costola di Adamo a Prima pagina, passando per Come sposare un milionario. Ed è un protagonista della televisione: se Ellery Queen per noi sarà sempre e solo l'allampanato e distratto Jim Hutton, è altrettanto vero che Wayne è perfetto nei panni del burbero ispettore Queen.

Nonostante il successo, Finian's Rainbow diventa di fatto "irrappresentabile". Solo nel 1955 un teatro di Broadway ne oserà una ripresa, con scarso successo. E cinque anni dopo Herbert Ross, all'inizio della sua carriera, è il regista e il coreografo di una nuova edizione che rimane in scena per poche repliche.
Nel 1954 il regista e disegnatore John Hubley progetta di realizzare un film d'animazione basato sulla storia del musical. Hubley da giovane ha lavorato per la Disney e ha collaborato ai grandi film di quello studio, da Biancaneve e i sette nani a Fantasia, poi ha fondato la propria compagnia e ha inventato il personaggio di Mr Magoo. Per realizzare questo film John riunisce un gruppo di animatori di grande talento, a partire da Art Babbit, artisti che hanno partecipato allo sciopero degli animatori contro la Disney, e chiama, oltre a Ella Logan e David Wayne, artisti come Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Oscar Peterson e Louis Armostrong per la colonna sonora. Quando esce la notizia di questo progetto, Hubley viene inserito nella "lista nera" e i finanziamenti per il film vengono frettolosamente ritirati. Rimangono schizzi dallo storyboard, pezzi di sceneggiatura, studi dei personaggi e diverse registrazioni di canzoni.
I diritti passano per diverse mani prima di arrivare alla Warner che nel 1967 decide finalmente di realizzare il film. Scrittura il vecchio Fred Astaire, che rimane, nonostante gli anni passati, un nome di richiamo al botteghino, e due idoli del rock del Regno Unito, come Petula Clarke e Tommy Steele. Petula confesserà in seguito di aver avuto paura di dover fare qualche numero di danza insieme a un mito come Astaire. Le premesse sembrano buone, ma Finian's Rainbow non è il successo su cui la Warner sperava. Le riprese sono complicate dal fatto che Coppola vorrebbe darne una versione realistica e quindi chiede che il film venga girato tutti in esterni, mentre Astaire non concepisce di cantare e danzare fuori da un teatro di posa. Sinceramente non è il film di Coppola e non sarà certo ricordato per questo. Ma il problema del film è che arriva ormai troppo tardi. Il cinema ormai viaggia su altre strade. Nel 1968 escono 2001: Odissea nello spazio, Rosemary's Baby, C'era una volta il West, Hollywood Party. In quello stesso anno esce un altro film musicale, The Producers, scritto e diretto da Mel Brooks, lontanissimo per struttura e musica da Finian's Rainbow. Non c'è davvero più spazio per la favola di Yip, che è figlia di un'altra epoca.
Ma soprattutto nell'anno in cui vengono uccisi Martin Luther King e Robert Kennedy quel messaggio non riesce più ad arrivare. Non è che il razzismo in America non esista più: l'omicidio di Memphis di un leader come il reverendo King racconta che c'è ancora tanto da fare, ma i giovani neri che vogliono cambiare la società pensano che ormai sia tempo di combattere con altre armi. E poi nell'America impantanata nel Vietnam dove può trovare il vecchio Finian l'inizio dell'arcobaleno?

Come canta Maude, una delle donne di quella comunità di agricoltori, la vita è ingiusta perché ci sono gli sfruttati e gli sfruttatori, quelli che sono costretti a piegarsi per necessità e quelli che se ne approfittano.
My feet want to dance in the sun
My head wants to rest in the shade
The Lord says go out and have fun
But the landlord says, "Your rent ain't paid"
E, nonostante la poesia di Yip Harburg e l'eleganza di Fred Astaire, non c'è magia che possa cambiare questo stato di cose. 

sabato 5 settembre 2020

Verba volant (785): clacson...

Clacson, sost. m.

Splende il sole quella mattina di inizio aprile a Parigi: Jacob capisce finalmente cosa deve aver provato suo padre quando ha visto per la prima volta New York.

volete sapere come va avanti questa storia? dovrete aspettare il libro in cui ho raccolto tutte queste storie...

martedì 1 settembre 2020

Verba volant (784): fucile...

Fucile, sost. m.

Mercoledì 11 maggio 1887: questo pomeriggio Alexandrina Victoria vedova Saxe-Coburg assisterà finalmente al grande spettacolo che ha debuttato due giorni prima a Londra, nell'arena costruita a Earl's Court proprio per questo evento. È molto curiosa: i quotidiani della capitale inglese ne parlano da giorni. I giornalisti che hanno assistito a quel primo spettacolo raccontano che è stato un successo, tutti i trentamila posti sono stati occupati. Quello spettacolo arrivato dall'America è davvero singolare: mai vista a Londra una cosa del genere, un avvenimento degno del giubileo d'oro della Regina. La vedova, dopo aver letto quegli articoli entusiasti, ne ha parlato con il figlio, e ha deciso di assistere allo spettacolo. Ha sessantotto anni, è una vecchia signora inglese, nata a meno di cinquant'anni dalla guerra d'indipendenza, ma desidera ancora conoscere tutto quello che succede nel mondo e quello spettacolo promette di raccontare come è avvenuta la conquista dei grandi territori dell'ovest di quelle che un tempo erano le Tredici Colonie delle Indie occidentali.
Le aspettative della signora Alexandrina non vengono certo deluse. Duecento artisti, tra cowboy e indiani d'America, tiratori scelti e musicisti, cavallerizzi e acrobati, e poi centottanta cavalli, diciotto bisonti, dieci alci, cinque grandi manzi; tutti arrivati dall'America con il piroscafo State of Nebraska, insieme a un'autentica diligenza e ai pali e alle tende per costruire alcuni tepee. Il colonnello William Frederick Cody ha fatto davvero le cose in grande per la sua prima tournée europea. I cowboy, montando i loro cavalli, hanno mostrato come radunano i bisonti e i manzi in quelle vaste praterie. Poi gli indiani hanno attaccato una diligenza - anzi la vera diligenza di Deadwood, come ha detto il colonnello nella presentazione di quel numero - finché non sono arrivati in soccorso i suoi uomini a mettere in fuga i "cattivi". A dire la verità a Deadwood quella diligenza è stata attaccata non dagli indiani, ma da banditi, ovviamente bianchi, ma a questo punto poco importa. Annie Oakley ha colpito la punta di un sigaro tenuto in bocca da suo marito. Mustang Jack è saltato su un cavallo, atterrando in piedi e ci è riuscito anche una seconda volta, tenendo in mano due manubri da dieci libbre. Gli indiani hanno costruito un villaggio e si sono esibiti in una loro danza di guerra, guidati da quello che dicono essere un loro grande capo, chiamato Toro Seduto. Ancora Annie da trenta passi con il suo fucile è riuscita a colpire diverse volte una carta da gioco prima che cadesse a terra e alcune monete da dieci centesimi, riesce a sparare anche voltata, tenendo la canna del fucile sulla spalla e guardando il suo obiettivo attraverso un piccolo specchio. E infine gli indiani hanno attaccato alcune capanne di tronchi fino a che il colonnello e i suoi cowboy li hanno sconfitti. La signora Alexandrina si è divertita moltissimo: quel Cody sarà anche americano, ma è proprio bravo a organizzare quegli spettacoli.
A dire la verità quel mercoledì pomeriggio sono solo ventisei gli spettatori di quello spettacolo che dura novanta minuti: se Sua Maestà Alexandrina Victoria di Hannover, Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e Imperatrice dell'India, chiede una rappresentazione privata del Buffalo Bill's Wild West Show, non le si può certo dire di no. Quella speciale rappresentazione inizia con un cavaliere che porta una grande bandiera a stelle e strisce, segno di pace e di amicizia, come annuncia il direttore del circo, e, inaspettatamente, la regina Vittoria si alza e fa un leggero inchino: la prima volta che un sovrano inglese rende un tale omaggio alla bandiera degli Stati Uniti. Poi il colonnello Cody si avvicina al palco, con eleganza si leva il cappello, fa un inchino e dice: "Benvenuta, Sua Maestà, nel profondo west d'America.". E a questo punto lo spettacolo può davvero cominciare.
La regina lo ha apprezzato molto. Il colonnello Cody le ha fatto un'ottima impressione: un vero gentiluomo, per essere un cowboy delle colonie. In cinquant'anni di regno Vittoria ha già visto i rappresentanti di tanti popoli "selvaggi", considerando che il suo regno va dalla Nuova Zelanda alla Nigeria, dal Canada all'India: è la regina di un quarto della popolazione mondiale e del 40% della superficie del globo. Quegli "indiani", con le loro piume e i loro gridi di guerra, non la colpiscono molto. Probabilmente trova bizzarro che un loro grande capo come Toro Seduto, l'uomo che ha guidato le sue tribù in una battaglia in cui le truppe americane sono state massacrate e dopo è stato duramente sconfitto, decida di partecipare a uno spettacolo di quel genere: una cosa forse troppo "moderna" per Vittoria, una donna dell'Ottocento, che non capisce che sta nascendo un nuovo mondo in cui there's no business like show business.
Tra gli indiani che prendono parte allo spettacolo c'è anche Alce Nero, che da giovanissimo ha partecipato, con Toro Seduto, alla battaglia di Little Bighorn, e che nel 1890 rimarrà ferito nell'eccidio di Wounded Knee. Molti anni dopo Alce Nero ricorderà di aver stretto la mano a quella che lui chiama Grandmother England: la mano piccola e morbida di una grande donna, il capo di una immensa tribù, una grande sciamana.
Alla regina piace in particolare quella donna giovane e minuta - è alta solo un metro e cinquanta - che è così brava a tirare con il fucile. Le fa molte domande: sulla sua età, sulla sua famiglia, su come ha cominciato a sparare, sul suo futuro. 

Phoebe Ann Mosey è nata lunedì 13 agosto 1860, in una contea rurale dell'Ohio, ai confini con l'Indiana. Non esiste ancora il Regno d'Italia, ma Alexandrina Victoria è già regina da ventitré anni, anche se non ha ancora il titolo di imperatrice dell'India e non è ancora vedova di Alberto. La piccola impara a sparare molto presto, perché l'unico modo di mantenere la sua famiglia, poverissima, anche perché il padre è morto e i figli sono in tutto nove, è quello di andare a caccia. Quando ha solo quindici anni nella sua cittadina arriva un immigrato irlandese che si guadagna da vivere facendo spettacoli di tiro a segno nelle campagne americane. Di solito arriva in una cittadina e sfida gli abitanti: scommette cento dollari che nessuno di loro riuscirà a batterlo. E per lo più è così, perché Frank Butler è un tiratore davvero eccellente. Ma quando arriva in quella parte dell'Ohio dicono che c'è qualcuno che può batterlo. Frank non riesce a crederci: quella ragazzina alta un soldo di cacio spara meglio di lui. E Frank perde i cento dollari. Ma trova una moglie e una compagna di lavoro. È stato un lungo matrimonio: e quando Annie morirà a 66 anni, alla fine del 1926, Frank smetterà di mangiare e si spegnerà diciotto giorni dopo. Buffalo Bill, quando fonda a metà degli anni Ottanta il Wild West Show, ingaggia subito Frank e Annie, che nel frattempo ha cominciato a usare il cognome Oakley. William Cody ha fiuto per lo show business e quei due, una coppia nella vita e nell'arte, diventano una delle attrazioni più importanti del suo spettacolo. Con buona pace di Frank, che ha ormai accettato che sua moglie è più brava di lui, Annie diventa una vedette. Durante uno spettacolo a Berlino, il principe di Prussia le lancia una sfida: deve riuscire a far saltare la cenere dalla sigaretta che egli tiene in bocca. Naturalmente Annie riesce: se avesse sbagliato la mira, Guglielmo non sarebbe diventato Kaiser e forse non sarebbe scoppiata la prima guerra mondiale.

A differenza di Annie, Dorothy Fields è una "figlia" di New York. Nasce venerdì 15 luglio 1904: la regina Vittoria è morta solo tre anni prima, Buffalo Bill porta ancora in giro il suo spettacolo, che però ha ormai più fortuna in Europa che in America. Annie non ne fa più parte. Nel 1901 il treno che porta gli artisti e il materiale del Wild West Show deraglia per un grave incidente, Annie rimane paralizzata e subisce cinque operazioni spinali. Ricomincia a camminare e a sparare, con la stessa precisione di prima, ma ormai non riesce più a sostenere la fatica di quelle lunghissime tournée. Scrivono per lei lo spettacolo The Western Girl: Annie interpreta il ruolo di Nancy Berry, una donna della frontiera che sconfigge un gruppo di fuorilegge. In provincia lo spettacolo funziona, ma non può arrivare a Broadway.
Invece Dorothy cresce proprio a Broadway. Suo padre è Lew Fields, un immigrato ebreo polacco che, insieme a Joe Weber, costituisce il duo comico più famoso del teatro americano della fine del diciannovesimo secolo e, pur continuando a recitare, diventa, all'inizio del Novecento, uno dei più geniali e produttori di musical: è Lew che fa debuttare il diciannovenne Richards Rodgers. Il vecchio Lew non ne vuole sapere che la figlia intraprenda la carriera teatrale, ma Dorothy è irresistibilmente attratta da quel mondo, there's no business like show business. Recita in qualche rivista, ma capisce presto che il suo talento è un altro: quello di scrivere i testi delle canzoni. In quasi cinquant'anni di carriera Fields ne ha scritte più di quattrocento e ha lavorato a quindici musical e ventisei film, ha collaborato con tutti i grandi musicisti, è stata una delle regine di Broadway.
Nel '45 Dorothy sente che vuole fare qualcosa di più e decide di scrivere il libretto di un musical. È convinta che questo sia il vero contributo degli Stati Uniti alla storia del teatro, il genere veramente americano, e con Oklahoma! Rodgers e Hammerstein hanno dimostrato che con il musical si può raccontare anche l'epopea del west, ossia l'unica storia di quel paese così giovane. E lei decide che farà lo stesso, raccontando però la storia di una donna, la più grande donna del west, e comincia a immaginare il libretto di Annie Get Your Gun.
Il produttore Mike Todd boccia l'idea, ma Richards Rodgers e Oscar Hammerstein II, che nel frattempo hanno deciso di diventare anche produttori, la sostengono: lei e suo fratello Herbert scriveranno il libretto, mentre le canzoni le scriveranno Herbert e il compositore Jerome Kern. Ma alla fine del '45 Kern muore. Hammerstein crede nel progetto e chiama Irving Berlin, che all'inizio rifiuta: pensa di non riuscire a scrivere canzoni che debbano anche raccontare una storia, è una cosa di cui non si sente pronto. E poi lui scrive sia i testi che le musiche. Herbert si ritira e Hammerstein riesce a convincerlo. In pochi giorni Berlin compone le prime canzoni. E si convince che dopo tutto può accettare quella sfida.
Annie Get Your Gun debutta a Broadway, all'Imperial Theatre, il 16 maggio 1946 e rimane in cartellone per 1.147 repliche. Nell'ottobre del '47 parte la tournée negli Stati Uniti che dura fino alla metà dell'anno successivo. Il 7 giugno 1947 debutta anche nel West End e rimane in cartellone al London Coliseum per 1.304 repliche. Ha successo perfino in Francia: Annie du Far-West rimane in cartellone per oltre un anno al Théâtre du Châtelet di Parigi, dopo il debutto del 19 febbraio 1950.
Anche il film prodotto dalla MGM nel 1950 ha avuto buoni incassi, nonostante non sia il capolavoro che avrebbe potuto essere. Rischiamo di ricordarlo più come un'occasione perduta per Judy Garland nella fase più drammatica della sua vita. E non è stato il trampolino per il successo della pur brava Betty Hutton.
Questo musical è certamente il più grande successo di Dorothy Fields e di Irving Berlin, anche per merito delle prime interpreti, perché Annie è una delle più belle parti femminili del genere. Per Ethel Merman, che pure aveva già interpretato tanti successi dei fratelli Gershwin e di Cole Porter, questo sarà il ruolo della vita, quello che la consacrerà come la più grande tra le regine di Broadway.

Irving Berlin, poco prima delle prove, sta per togliere dallo spettacolo la canzone che diventerà più famosa: crede, sbagliando, che a Rodgers non piaccia. Per fortuna cambia idea. Non la canta Annie, ma la interpretano insieme, in una scena davvero divertente, Frank, il colonnello Cody e Charlie Davenport, il manager dello spettacolo. Devono convincere quella ragazzina cresciuta tra i boschi e le praterie, che non sa leggere e scrivere, ma solo sparare, a unirsi allo spettacolo, perché there's no business like show business. Annie lo capisce immediatamente: e così quella "selvaggia" ragazza delle praterie un giorno potrà incontrare la più grande regina del mondo.  

mercoledì 26 agosto 2020

Verba volant (783): giarrettiera...

Giarrettiera, sost. f.

Cosa hanno in comune Betty Boop e il dottor Jekyll, la signorina Jane Parker e Scarface? Apparentemente nulla, eppure sono alcuni degli eroi - e delle eroine - di una delle stagioni più incredibili della storia del cinema americano: il breve, ma intenso periodo che va dal 1929, l'anno in cui crolla Wall Street e si afferma in maniera definitiva il sonoro, al 1° luglio 1934, il giorno in cui entra in funzione la Production Code Administration

volete sapere come va avanti questa storia? dovrete aspettare il libro in cui ho raccolto tutte queste storie...

mercoledì 19 agosto 2020

Verba volant (782): nudo...

Nudo, agg. m.

Mercoledì 10 gennaio 1912, su Milano cade un freddo nevischio. Saliti i pochi viaggiatori diretti a Roma, alle 16.30 il treno parte puntualmente dalla grande stazione centrale.

Ci sono solo cinque persone nell'elegante carrozza ristorante. Un uomo beve il caffè, annotando i suoi pensieri su un quaderno, mentre nel tavolino di fronte - il capotreno ha indicato loro quei posti vicini - una donna dai penetranti occhi neri sorseggia un tè, leggendo un libro. Entrambi sono soli e non sembrano essersi accorti l'uno dell'altra. L'uomo ha letto di sfuggita il titolo del libro che la donna ha in mano: L'Otage. Non conosce l'autore. Nota quella copertina chiara con il titolo in rosso: sono i volumi di una casa editrice che ha aperto da pochi mesi a Parigi. Evidentemente la donna viene da quella città ed è curiosa delle ultime novità letterarie. La donna vede che quel piccolo quaderno è sdrucito e la matita quasi consumata. Immagina che quell'uomo scriva molto.
Passano pochi minuti di quel silenzio amplificato dal rumore del treno. L'uomo si stupisce quando la donna si alza, si avvicina al suo tavolo e in un italiano piuttosto corretto, per quanto riconosca un lieve accento tedesco, chiede se può sedersi insieme a lui. Mi scusi, ma odio prendere il tè da sola.
L'uomo si alza, aggiustandosi la giacca. La prego. Buon pomeriggio. Sono il professor Bernardino Lamis.
La donna gli porge la mano. Grazie. Margaretha van der Meulen. Spero di non averla distolta da qualcosa di importante.
Non si preoccupi. L'uomo chiude il quaderno, tenendo in mano goffamente la matita quasi spuntata. Un'idea che può aspettare. Se sarà buona, tornerà. Altrimenti, meglio che si sia persa. L'uomo ha cominciato a parlare tedesco e pare che la cosa non stupisca la donna. E comunque anch'io penso che il caffè debba essere bevuto insieme a qualcun'altro. 
La ringrazio. Adesso anche la donna parla in tedesco e sembra all'uomo più a suo agio.
Lei è tedesca? 
No, sono olandese. Professore di cosa?
Insegno storia delle religioni all'Università di Roma.
Torna a casa quindi? La signora Lamis viaggia con lei o l'aspetta a Roma? 
Nessuna delle due cose, a dire il vero. Mia moglie non è venuta con me. Non ama il freddo milanese. Sono venuto su al nord per degli affari di famiglia e per incontrare alcuni amici e colleghi. Mia moglie ha colto l'occasione per scendere con i bambini dai suoi genitori in Sicilia. Credo ci rivedremo tra un paio di settimane. Lei viaggia per piacere?
Sì, in queste settimane sto scoprendo l'Italia. Non sono ancora stata a Roma e sono impaziente di vederla. Ma mi fermerò prima a Firenze.
Conosce bene la nostra lingua. Inconsueto per un viaggiatore.
L'ho studiata un po' ed ho amici italiani con cui ho potuto fare pratica. E poi amo la musica, mi sono esercitata sui libretti. Il suo è davvero un ottimo tedesco.
Ho studiato in Germania e la mia materia richiede di esercitarlo di continuo. Nei mesi scorsi mi sono dovuto cimentare con un lavoro di Hans von Grobler, tanto ponderoso quanto tedioso. Faccia attenzione: la lingua delle opere è strana. Non ascolterà mai nessuno parlare così, girando per il nostro paese.
E soprattutto non incontrerò persone come quelle raccontate in quei drammi, donne così eroiche, così capaci di amare, fino al sacrificio.
Viviamo altri tempi, gentilissima signora, in cui la cronaca spesso si incarica di togliere poesia alle storie.
Cosa intende, professore?
Vede, mi capita a volte di appuntare sul mio quaderno piccoli fatti di cronaca, di quelli che accendono per un giorno o due l'attenzione morbosa dei lettori e poi vengono dimenticati. Quelle storie che quando le leggiamo sul giornale ci sembrano degne di un romanzo, ma se le leggiamo in un romanzo diciamo che l'autore si è fatto troppo prendere dalla fantasia. Alcuni giorni fa ne ho annotato uno. Ma forse questo racconto non può interessarla.
Invece mi interessa molto.
L'uomo sfoglia le pagine del quaderno, cerca l'appunto, lo legge velocemente e poi comincia a raccontare. La bambinaia che lavora per la famiglia di un diplomatico si innamora di un giovane uomo che frequenta per servizio quella stessa casa. I due si fidanzano, ma lui la lascia, forse spinto dalla famiglia, che spera per lui un matrimonio migliore. La bambinaia è disperata e il diplomatico, approfittando di quello stato d'animo, la possiede. Mi perdoni la crudezza. Purtroppo, proprio in quel momento, la bambina cade dalla terrazza e muore. La ragazza viene licenziata dalla padrona di casa, e si ritrova in una città straniera, senza un lavoro e senza un luogo in cui stare, oppressa da quel terribile senso di colpa. Disperata, si concede a un uomo che incontra per strada, ma, vergognandosi di quell'ulteriore caduta, decide di uccidersi. Fallisce e quando si risveglia all'ospedale, spiega ai dottori e alla polizia che ha voluto farlo perché è stata lasciata dal fidanzato. Quella storia romantica diffusa dai giornali fa sì che i lettori comincino a simpatizzare per la ragazza. Naturalmente anche il giovane legge la notizia e vuole tornare da lei. Il diplomatico mente ai giornali, per non dover raccontare una verità imbarazzante, e allo stesso tempo tenta anch'egli di tornare con lei. A questo punto però il giovane capisce cosa è successo e accusa la donna di essere una bugiarda e una prostituta. Il castello di carte è caduto e la giovane si uccide.
Che storia terribile.
Sì, e non credo che la poesia o la musica possano raccontarla togliendo queste asprezze.
Eppure lei, professore, raccontandola è riuscito a far vivere di nuovo quella giovane, mostrando la verità della sua storia.
Ma vede, signora, questa non è una mia invenzione. Questo personaggio mi è come apparso, è lei che vuole raccontare la sua verità. E il suo dramma: sente la necessità di rivestirsi di un abito di rispettabilità, di qualità apprezzate dagli altri, di essere quello che gli altri pensano debba essere. Sembra che solo questa possa dare un senso alla sua vita.
Tra l'uomo e la donna cala un lungo momento di silenzio, interrotto all'improvviso da lei.
Quella giovane è fuggita da una vita, se n'è inventata una nuova e di fronte alla necessità di crearne un'altra ancora è crollata. Forse meno drammaticamente di quello che è successo a quella poverina, ma immagino che molti debbano fare i conti con qualcosa del genere, con quella vita che qualcun altro costruisce per loro. 
Qualcuno può anche essere prigioniero della vita che lui stesso si è creato. Forse non è sempre necessario dare la colpa agli altri.
O forse non sappiamo cosa ha spinto quella persona a crearsi quella vita di cui ora è prigioniera. Questa sua storia mi ha fatto ricordare la vicenda di una persona che ho conosciuto, una mia connazionale. La sua famiglia viveva in un bel palazzo nel centro della nostra città, lei studiava in una scuola prestigiosa. Ed era molto bella. Noi compagne la invidiavamo e credo lei ne fosse contenta. Poi all'improvviso tutto è cambiato: falliti i commerci, venduto il palazzo. Il padre se n'è andato, la madre è morta poco dopo e lei è stata allevata dal padrino che l'ha iscritta a una scuola per maestre. Ma in quell'istituto la sua bellezza è stata la sua colpa: il direttore era un uomo terribile. Non credo sia necessario dirle cosa è successo. A questo punto la giovane ha capito che per lei l'unica possibilità era sposarsi: ha risposto all'inserzione di un ufficiale. Pochi mesi dopo le nozze si sono trasferiti dall'altra parte del mondo, in Indonesia, dove il marito ha ripreso servizio. Non è stato un matrimonio felice, nonostante la nascita di due bambini. La mia amica non si è mai abituata a quel paese. E a quel marito che si rifugiava sempre più spesso nell'alcol. Neppure la promozione a maggiore e il trasferimento in una piazza più grande hanno alleviato i loro problemi. Il loro figlio è morto avvelenato da una medicina sbagliata. Forse un errore della loro domestica o forse una vendetta: il marito della donna era agli ordini del maggiore e qualche giorno innanzi era stato punito con troppa severità. Quella tragedia ha distrutto la famiglia. Sono rimasti laggiù ancora un anno, per tornare infine in Olanda. Il matrimonio, com'era ormai evidente, è finito. Il marito se n'è andato con la bambina e così la donna ha dovuto inventarsi una nuova vita. L'ho rivista, a Parigi, qualche anno più tardi. Diceva di essere nata a Giava, che sua nonna era una principessa indonesiana. Mi ha chiesto di non dire quello che sapevo. Giorni dopo ci siamo riviste, nell'albergo dove soggiornavo. E mi ha raccontato la sua storia, una di quelle storie che in un romanzo considereremmo inverosimili. E cosa le è successo nei primi anni a Parigi. Credo abbia omesso alcuni particolari. E io farò lo stesso. La mia amica sapeva ballare, aveva imparato in Indonesia quelle danze orientali, e così ha raccontato di aver assistito a riti segreti nelle stanze più recondite dei templi indù. Non era vero. Ho visto uno dei suoi spettacoli. Non è molto brava, per quanto riesca a muoversi con una qualche grazia, ma è bella e questo basta al pubblico maschile, che la adora. Si esibisce nella case degli uomini più ricchi d'Europa, rimanendo completamente nuda. Non l'ho più rivista da quella volta. E su di lei ho udito innumerevoli dicerie, di cui nessuna vera; o forse tutte. Nei giorni scorsi si è esibita alla Scala. Sono state solo cinque repliche: non deve essere stato un gran successo. Credo vorrebbe lavorare con Djaghilev, ma sarà sempre e solo un'attrazione da varietà. Un amico mi ha detto di aver sentito raccontare da lei di essersi sposata giovanissima con un nobile scozzese e poi di essere stata in Spagna, dove un torero, innamorato di lei, si è fatto uccidere nell'arena, perché non corrisposto. Credo ormai abbia finito per credere alle bugie che si è inventata. Ma forse un giorno dovrà pagarne il conto. 
Forse quelle che lei ora chiama bugie sono davvero la vita di quella sua amica.
Ho letto a Parigi il romanzo di un vostro connazionale. Mi ha molto colpito. Il protagonista, quando tutti lo credono morto, si trasferisce in una nuova città e si inventa una nuova vita. Ma finisce per inscenare la sua seconda morte e ritorna al suo paese. Ho immaginato che alla mia amica possa succedere una cosa del genere. 
Ubbie di scrittori. Ho letto anch'io quel romanzo. So che ha avuto un insperato successo. Ma personalmente non mi ha molto colpito. Credo che non sarebbe dovuto tornare. Forse avrebbe fatto meglio a sparire un'altra volta.      
Lei sogna mai di vivere una vita diversa?
Immagino sia capitato a tutti. Sarà per questo che mi capita di annotare sul mio quaderno queste storie curiose. Per cercare di capire. Non sono uno scrittore, per fortuna. Non sono costretto a inventare le vite degli altri.  
Prenderà nota anche della storia della mia amica?
Credo di sì. 
E se potesse incontrarla, cosa le direbbe? Di inventarsi una nuova vita? Di costruire un nuovo castello di bugie?
Vede, c'è un curioso paradosso nella vita di questa donna, che per lavoro si spoglia davanti agli altri, eppure non rimane mai davvero nuda. Anche la sua nudità è un vestito che gli altri vogliono che indossi. Quelle bugie che crede di inventare, sono le storie che gli uomini vogliono sentire da lei. Forse le direi di gettare la maschera che il mondo le ha cucito addosso, di rimanere nuda, ma davvero.
La donna rimane in silenzio per qualche momento. Non so se ne avrà la forza.
Lo so. Mentire è sempre più facile. E il volto fa più paura della maschera.
Cala di nuovo il silenzio.
L'uomo si alza. Credo sia ora di ritirarmi. Spero, signora van der Meulen, di non averla tediata con le mie storie.  
Non l'ha fatto, professor Lamis. È stato un fortunato piacere incontrarla. 

Adriano sale veloce le scale per raggiungere il piccolo appartamento dove lo aspetta Ersilia. Domani non lavora.
Come è andato il viaggio?
Bene, ma a Milano fa un freddo terribile: non mi ci abituerò mai. Guarda qui. E tira fuori dalle tasche alcune banconote. Domani possiamo festeggiare. 
Tutte mance?
Sì. E mi è successa una storia davvero curiosa. Un uomo mi ha dato dei soldi perché nel vagone ristorante lo facessi sedere vicino a una certa signora.
E com'era questa signora? Bella?
Certo, molto bella. Due grandi occhi neri.
Più bella di me?
E smettila. Ma adesso viene la cosa strana. Perché prima quella signora mi aveva dato una mancia, peraltro più ricca, per fare in modo di stare seduta vicino a quell'uomo. Ha detto che è uno scrittore che voleva conoscere.
E tu?
Li ho fatti sedere vicini. Come volevano.
E come è andata? Cosa hanno fatto?
Hanno parlato.

domenica 16 agosto 2020

Storie (XV). "L'anello della signora..."

Dimitra, ho voglia di vedere il mare. Mi puoi accompagnare, per favore?
Signora, questa mattina si è alzato il vento. E si annuncia una burrasca. Forse sarebbe meglio andare domani. La giovane schiava non vuole dirlo, ma pensa che la signora alla sua età dovrebbe riguardarsi.
Non riuscirò proprio a convincerti a chiamarmi solo Elena, vero? Grazie della tua premura, cara amica, ma proprio perché sono così vecchia, come tu per gentilezza eviti di ricordarmi, è meglio che andiamo oggi. A questo punto della mia vita, ogni giorno ha un suo valore. E faccio le cose che voglio fare. Almeno adesso.
Va bene, signora, però prometta di coprirsi.

Quando la sua padrona, la regina di Rodi, le ha detto che dal giorno successivo proprio lei avrebbe dovuto occuparsi di quella nuova ospite, Dimitra non è stata affatto contenta. Chissà quante pretese avrà quella donna, una che si credeva la più bella del mondo. Dimitra ha considerato quell'incarico come una specie di punizione. Mi farà impazzire. Chissà chi si crede di essere. Se non fosse per la bontà della mia padrona... Quella là ormai non ha nessun posto dove stare, dopo che i figli di Menelao l'hanno cacciata da Sparta. Ci credo: con quello che ha fatto.
E poi l'ospite è arrivata e Dimitra si è trovata di fronte quella vecchia signora, molto diversa da come l'aveva immaginata. Si è stupita. Potevo pensarci anche prima: la guerra è finita da più di vent'anni, prima che nascessi. E quella signora l'ha salutata con grande gentilezza. Già da quel primo giorno Dimitra si è ricreduta: quella vecchia signora è incredibilmente modesta. Dimitra deve insistere ogni volta per poterla aiutare a vestirsi e a pettinarsi. Parla poco la signora, non perché sia superba, sembra che preferisca pensare. Raramente esce dalla sua stanza. Preferisce mangiare lì, e la regina ha smesso di invitarla a unirsi a lei. Le due donne passano i giorni a cucire in silenzio. Nessuna è mai stata così gentile con me.

A Sparta mi è sempre mancato il mare. Ricordo la prima volta che l'ho visto, avevo sette anni, è stato quando mi hanno rapito Teseo e Piritoo. Mi avevano detto che avremmo fatto uno scherzo ai miei genitori. Non avevo paura di quei due uomini che avevano pranzato il giorno prima con mio padre e mia madre. E mi sembrava divertente quel gioco. È grazie ai dadi se ho visto il mare: sono stata vinta da Teseo, che mi ha portato in Attica. Teseo non l'ho più rivisto: ripensandoci, quel mio primo matrimonio forse è stato il migliore. Sono stata fortunata: non ha abusato di me, come succede a tante bambine in quelle situazioni. Sua madre Etra è sempre stata buona con me, mi portava a giocare sulla spiaggia. Le ho voluto bene. È tornata a Sparta con me quattro anni dopo, quando i miei fratelli mi hanno liberata, come dicevano loro. A loro non interessava nulla di me, ma quella era un'ottima occasione per dichiarare guerra ad Atene e saccheggiare l'Attica. Etra è venuta con me anche a Troia: poveretta, è morta in quella città lontana. Dimitra capisce che quel ricordo rattrista la signora, che adesso ha smesso di parlare. E così si fermano a osservare il vento che increspa le onde.

Quando rientrano a palazzo, c'è Cratete a sorvegliare la porta. Dimitra arrossisce quando il soldato le saluta con un fare un po' troppo marziale, dimostrando anche lui imbarazzo. Elena sorride, osservando Dimitra che guarda indietro verso la porta. Fa' attenzione, amica mia, sposati con giudizio. Almeno tu, che puoi scegliere con chi farlo.

Stanno cucendo anche quel pomeriggio. Era davvero così bello Achille? 
Elena sorride, sorpresa di quella domanda improvvisa di Dimitra. Sì, era il più bello di tutti i pretendenti che sono arrivati a Sparta per chiedermi in sposa. Un po' rude, ma erano tutti così. Ma sapevo che non erano venuti per me, ma per il regno: chi mi avrebbe sposata sarebbe diventato il nuovo re di Sparta, un titolo a cui evidentemente tutti loro ambivano. Io ero una specie di premio accessorio. Un bel premio, a sentire le loro lodi, ma comunque non erano lì per me.  
Signora, lei è la mortale più bella che sia mai nata.
Non lo so, e la vecchiaia mi ha certamente tolto quel titolo. Comunque è una cosa di tanti anni fa. Credo che succeda la stessa cosa con le bugie, a forza di ripeterle finiamo per crederci.
Lei avrebbe preferito sposare Achille?
Sinceramente non credo sarebbe stata una gran differenza. Menelao non era neppure il peggiore. C'era un soldato che mi scortava quando andavo al tempio, era come il tuo Cratete. Credo che avrei scelto lui, ma ovviamente non potevo dire a mio padre che avrei voluto sposare un soldato.
Dimitra vorrebbe farle tante domande: lei ha visto tutto, lei c'era. Ma pensa che adesso deve stare zitta. Si stupisce quando la signora interrompe il lavoro e si rimette a parlare.
Chissà quante storie hai sentito su di me. All'inizio quei racconti mi ferivano. Adesso ormai ci sono abituata. E chissà quante altre ne diranno: in fondo noi abbiamo vissuto la più grande guerra mai combattuta. E nel racconto dei poeti io ne sono la causa. Era inevitabile che le città greche e Troia combattessero per il controllo dello stretto e cercavano da tempo un motivo. Come Menelao aveva bisogno di me per ottenere il trono di Sparta, così Paride mi ha usato per i suoi scopi politici. Era chiaro che il successore di Priamo sarebbe stato o lui o Ettore. Ma Ettore non voleva la guerra con i greci. Il mio rapimento è servito a Paride a far scoppiare la guerra. Poi, una volta che Troia avesse vinto, lui sarebbe diventato il nuovo re, vantandosi di aver sposato la figlia di Zeus.
Ecco un'altra bugia a cui tutti hanno finito per credere. Non ho mai saputo cosa è successo davvero. Certo io e mia sorella Clitennestra non ci siamo mai assomigliate, neppure da bambine. Magari è un caso, o forse mia madre si è inventata quella storia per nascondere la sua infedeltà. E a mio padre è convenuto credere che una delle sue figlie fosse figlia di Zeus: in fondo un modo onorevole di sopportare un tradimento. Devo dire che l'invenzione del cigno e dell'uovo è stata geniale, molto poetica.
Quando Paride mi ha rapita ho potuto viaggiare per mare, quel viaggio mi è piaciuto. L'unica cosa che mi sia piaciuta. So che dicono che io ho seguito Paride: non è vero, ma ormai non importa più. Sinceramente non mi dispiace che Troia sia stata distrutta: ho un pessimo ricordo di quella città. Gli uomini mi guardavano con lasciva morbosità. Non sopportavano la loro ipocrisia. In pubblico inveivano contro la straniera, poi mi mandavano biglietti segreti sperando di giacere con me. Paride viveva con la sua vera moglie Enone, e io ero sempre sola. Solo Priamo mi ha voluto bene, in maniera disinteressata. Vdeva che stavo soffrendo e mi ha aiutato a capire: era un uomo incredibilmente saggio. Sapeva che sarebbe finita così, ma non poteva farci nulla. Ecuba voleva la guerra: lei era una vera vipera. Mi odiava, anche se io le avevo permesso di far scoppiare il conflitto. L'unica amica in quei dieci anni è stata Andromaca. Non ho sue notizie da tempo, spero stia bene. 
La notte del cavallo ho pensato di farla finita: non ne ho avuto il coraggio. E così Menelao mi ha riportata a Sparta, facendo la figura del marito magnanimo, dell'uomo che ha perdonato la moglie infedele. Quando avevamo ospiti raccontava, davanti a me, quella storia che io sotto la pancia del cavallo avrei imitato le voci delle mogli dei guerrieri greci, per farli uscire e scoprire l'inganno. Godeva a umiliarmi così. Naturalmente sapevo che in quel mostro di legno erano nascosti dei guerrieri, si sentiva il rumore delle armature e delle armi ogni volta che sbatteva. E poi lo aveva detto anche Cassandra, ma nessuno voleva crederci. Sinceramente a quel punto non mi importava più chi avrebbe vinto la guerra.

Elena, svegliati. Dimitra è entrata nella stanza, tiene in mano una torcia. Presto dobbiamo fuggire. La regina ha ordinato a Cratete e a un altro soldato di ucciderti questa notte. Lui non vuole eseguire l'ordine e sta organizzando la nostra fuga. 
Immagino voglia vendicare il suo sposo Tlepolemo. Se non ricordo male anche lui era tra i miei pretendenti. Dovrebbe ringraziarmi, è grazie a me se ora è regina e governa Rodi. E mi pare lo faccia anche bene, visto come sta prosperando questa isola. C'è voluta la mia guerra perché tante donne governasser le loro città.
Dimitra le allunga la veste. Grazie, cara Dimitra, ma a questo punto credo che debba anch'io dimostrare coraggio. È una cosa che ho invidiato a mia sorella. Non voglio fuggire, aspetterò qui il sicario che farà quello che gli hanno ordinato di fare. Prendi questo anello, con il cigno: è il mio regalo di nozze. Adesso voi due fuggite. Cratete ti vuole bene. Sta rischiando molto per te. Sei fortunata. A me non è mai successa una cosa così.