Sono José Mujica, sono stato un contadino, per guadagnarmi la vita, nella prima parte della mia esistenza.
E poi ho lottato per cambiare e migliorare la vita della mia società.
E adesso sono in un’altra tappa, sono Presidente - e domani - come qualsiasi altro uomo, sarò un cumulo di vermi e scomparirò.
Ho avuto degli inconvenienti, varie ferite, qualche anno di prigione. Alla fine, cose di routine, per qualunque persona si appresti a voler cambiare il mondo. Sono vivo per miracolo.
E sopra a tutte le cose, amo la vita. E spero di arrivare alla fine del mio viaggio, come qualcuno che entra in un bar e dice al proprietario: “È il mio giro!”
Il nostro modo di vivere e i nostri valori, sono l’espressione della società nella quale viviamo.
Ho avuto molto tempo per riflettere e ho scoperto questo: o siamo felici con poco - perché capiamo che la felicità è dentro di noi - oppure non otterremo niente.
Questa non è un’apologia della povertà, ma un’apologia della sobrietà.
Ma visto che abbiamo inventato una società di consumo e l’economia deve crescere, perché se non cresce è una tragedia.
Ci siamo inventati una montagna di consumi superflui, bisogna ininterrottamente comprare, gettare, comprare.
Quello che stiamo sprecando è tempo della nostra vita, perché quando io compro qualcosa - o tu - non lo compri con il denaro, lo compri con il tempo della vita, che hai dovuto spendere per avere quel denaro.
Però con questa differenza, che l’unica cosa che non si può comprare è la vita.
La vita scorre. Ed è miserabile, sprecare la vita, per perdere la libertà.
Visto che l’Uruguay è un paese piccolo, non abbiamo un aereo presidenziale. E non ci importa neanche averlo.
Abbiamo deciso di comprare dalla Francia un elicottero molto caro, per metterlo al centro del paese.
Invece di comprare un aereo presidenziale, abbiamo comprato un elicottero per metterlo al centro del paese per salvare la vita alle vittime di incidenti, per avere un servizio permanente di soccorso veloce.
Questa cosa così semplice. Vedi il dilemma?
Compro un aereo presidenziale o compro un elicottero di salvataggio? Ritorniamo sempre allo stesso punto.
E mi pare che il concetto di sobrietà abbia molto a che fare con questa cosa.
Io non sto consigliando di andare a vivere nelle caverne, vivere sotto ad un tetto di paglia, niente di tutto questo. No, no. Non è questo.
Quello che dico è dare le spalle al mondo dello spreco e delle spese inutili e delle case lussuose, che poi hanno bisogno di tre, quattro, cinque, dozzine di domestici. Perché fare tutto questo?
Perché?
Non ce n’è bisogno.
Si può vivere con molta più sobrietà e allocare risorse per cose davvero importanti per la società.
E questo è il vero senso repubblicano, che si è perso nella politica.
Almeno devo dire quello che penso. Non possiamo dire che non ci sono risorse.
I governi si preoccupano delle prossime elezioni, ci si batte per il potere e ci dimentichiamo delle persone, dei problemi del mondo.
Non è crisi ecologica, è crisi politica.
Siamo arrivati ad una fase della civilizzazione in cui c’è bisogno di un accordo planetario. Ma guardiamo dall’altra parte.
Per questo l’uomo potrebbe essere l’unico animale capace di autodistruggersi. È questo il dilemma che potremo avere in futuro.
Quello che vorrei trasmettere alle persone è che si può cadere e rialzarsi sempre. E sempre vale la pena ricominciare da zero. Una e mille volte, finché abbiamo vita.
Questo è il messaggio più grande della vita. E che si può riassumere in questo che i perdenti sono quelli che smettono di lottare. E smettere di lottare è smettere di sognare.
Lottare, sognare, confrontarsi con la realtà, è questo il senso della vita.
Non si può vivere coltivando il rancore. Nessuno può far niente per i dolori che ho avuto nella vita, nessuno può cancellarli. Bisogna imparare a farsi carico delle proprie cicatrici e continuare sulla strada, guardando avanti.
Se mi fermo a medicarmi le ferite, non posso avanzare. E per me la vita è sempre davanti. Quello che è importante è il domani.
Mi dicono, e mi gridano, che bisogna aver memoria per non riprodurre il passato.
Io lo conosco, l’umano! È l’unico animale che inciampa venti volte sullo stesso sasso. E ogni generazione impara dalle esperienze che ha vissuto e non da quelle che altri hanno vissuto.
Non idealizzo l’uomo. Che possiamo imparare dalle esperienze altrui? Impariamo dalle esperienze che viviamo noi.
Però, questo è il mio modo di vedere la vita. E non ho conti da regolare.
i pensieri di Protagora...
mercoledì 14 maggio 2025
giovedì 11 gennaio 2024
Storie (XXXIII). "La befana rossa"
27 dicembre 1929, venerdì
Quella sera cade un gelido nevischio. Il poliziotto, mentre fa il suo solito giro di ronda, nota la luce nella bottega della sarta sulla Spiegelgasse. È l’unica in cui c’è ancora qualcuno a lavorare. Pensa che non ci sia nulla di strano: è naturale che ci sia molto da fare, vista l’ansia con cui tutte si stanno preparando per le feste del Capodanno. Anche sua moglie gli sta dando il tormento… Ma l’uomo sa anche che nel retro di quella bottega si riunisce un gruppetto di donne iscritte al partito comunista. E lui deve tenerle d’occhio, con discrezione. Il suo vecchio capo, prima di andare in pensione, gli ha detto di controllare in particolare quella maestra che viene dall’Italia, una che spesso si mette nei guai.
Quella sera cade un gelido nevischio. Il poliziotto, mentre fa il suo solito giro di ronda, nota la luce nella bottega della sarta sulla Spiegelgasse. È l’unica in cui c’è ancora qualcuno a lavorare. Pensa che non ci sia nulla di strano: è naturale che ci sia molto da fare, vista l’ansia con cui tutte si stanno preparando per le feste del Capodanno. Anche sua moglie gli sta dando il tormento… Ma l’uomo sa anche che nel retro di quella bottega si riunisce un gruppetto di donne iscritte al partito comunista. E lui deve tenerle d’occhio, con discrezione. Il suo vecchio capo, prima di andare in pensione, gli ha detto di controllare in particolare quella maestra che viene dall’Italia, una che spesso si mette nei guai.
Effettivamente Franziska e Greta non smettono di cucire mentre Adelaide comincia a raccontare quella sua strana idea. Quello è uno dei periodi dell’anno in cui lavorano di più: tutte le loro clienti hanno bisogno di qualcosa e tutte hanno fretta. Oltre a loro ci sono due ragazze iscritte al partito, la signora Kammerer e Lotte. Lei è la più eccitata di tutte: è la prima volta che partecipa a una di quelle riunioni “segrete”. Titus ha bofonchiato un assenso forzato, ma in fondo è contento che sua figlia abbia quelle idee e abbia il coraggio di sostenerle.
«Non ho capito cos’è questa “befana”?». È proprio la più giovane del gruppo a chiedere una spiegazione di quel buffo nome italiano che pare sia l’oggetto di quella riunione convocata così in fretta.
«Compagne, è una storia molto antica. Prima dei Romani i popoli che abitavano in quella che non si chiamava ancora Italia celebravano le notti intorno al solstizio d’inverno. Credevano che fossero misteriose, che i morti potessero tornare nel mondo e che delle donne magiche volassero sui campi per renderli fertili. Era un tempo in cui le donne comandavano sugli uomini e in cui credevano che dio fosse una donna». Sono tutte molto attente. «Va bene, maestra, ma cerca di venire al punto» la incalza Franziska, che sa che quando Adelaide comincia a raccontare quelle storie non la finisce più.
«Va bene, cerco di semplificare. Poi sono arrivati i Romani e dopo i cristiani. E i maschi hanno vinto. Però qualcosa di quel mondo così antico ha resistito. Ecco la befana è questa forma di resistenza delle donne. Perché in una notte d’inverno questa fata benigna scende ancora e porta regali ai bambini. La chiesa ha voluto che coincidesse con l’epifania e i maschi hanno dipinto la befana come una strega, una brutta vecchia con i vestiti laceri».
«Ma questo cosa c’entra con noi» stavolta è Helga a incalzare la giovane amica.
«Dovete sapere che è una festa molto popolare in Italia, almeno quanto il natale. Anch’io da bambina aspettavo la befana, appendevo una calza al camino e speravo di trovarci un piccolo regalo. I miei genitori dicevano che se ero stata cattiva ci avrei trovato del carbone, mentre se ero stata buona un dolcetto. Che ansia quelle notti ad ascoltare i rumori che venivano dalla cucina. Proprio perché è così popolare i fascisti se sono impossessati. Il 6 gennaio è diventato festa nazionale e in tutt’Italia è un fiorire di quelle che loro chiamano “befane fasciste”: sfruttano questa tradizione per indottrinare i bambini, per far credere che da quando c’è Mussolini si sta bene».
«E noi cosa possiamo fare?» chiede Lotte.
«Qualche giorno fa una compagna di Lugano mi ha detto che loro, proprio per opporsi al regime, hanno cominciato a organizzare la “befana rossa”. E hanno ragione i compagni ticinesi. La befana è rivoluzionaria, è nostra e non dei fascisti. Siamo noi che lottiamo per costruire una società diversa e giusta. Allora che ne dite se lo facciamo anche noi a Zurigo?».
Le amiche sanno che se Adelaide si è messa in testa di fare una cosa è impossibile fermarla. E poi tutte pensano che sarà bello organizzare quella piccola festa per le bambine e i bambini della casa del popolo.
«Il 6 al pomeriggio faremo la festa. Cominciamo a dirlo alle compagne, che portino i figli e i nipoti. Io faccio la befana. Franziska, tu e Greta riuscite a prepararmi una gonna piena di toppe colorate? Io da qualche parte credo di avere un vecchio scialle, bruttino e che ha un buco. Poi basterà un grosso fazzoletto e una scopa e il travestimento è fatto. Poi servono i dolci».
«Quello non è certo un problema. Domani chiamo la moglie del salsicciaio e le altre amiche della Spiegelgasse. Avrete tutti i dolci che volete», Helga interviene spiccia come al solito.
«Mio marito suona la fisarmonica - dice una delle compagne più giovani - sarà felice di venire».
Tutte hanno un compito. La riunione sembra finita. Ma Adelaide esclama: «E se la facessimo volare?».
«Compagne, è una storia molto antica. Prima dei Romani i popoli che abitavano in quella che non si chiamava ancora Italia celebravano le notti intorno al solstizio d’inverno. Credevano che fossero misteriose, che i morti potessero tornare nel mondo e che delle donne magiche volassero sui campi per renderli fertili. Era un tempo in cui le donne comandavano sugli uomini e in cui credevano che dio fosse una donna». Sono tutte molto attente. «Va bene, maestra, ma cerca di venire al punto» la incalza Franziska, che sa che quando Adelaide comincia a raccontare quelle storie non la finisce più.
«Va bene, cerco di semplificare. Poi sono arrivati i Romani e dopo i cristiani. E i maschi hanno vinto. Però qualcosa di quel mondo così antico ha resistito. Ecco la befana è questa forma di resistenza delle donne. Perché in una notte d’inverno questa fata benigna scende ancora e porta regali ai bambini. La chiesa ha voluto che coincidesse con l’epifania e i maschi hanno dipinto la befana come una strega, una brutta vecchia con i vestiti laceri».
«Ma questo cosa c’entra con noi» stavolta è Helga a incalzare la giovane amica.
«Dovete sapere che è una festa molto popolare in Italia, almeno quanto il natale. Anch’io da bambina aspettavo la befana, appendevo una calza al camino e speravo di trovarci un piccolo regalo. I miei genitori dicevano che se ero stata cattiva ci avrei trovato del carbone, mentre se ero stata buona un dolcetto. Che ansia quelle notti ad ascoltare i rumori che venivano dalla cucina. Proprio perché è così popolare i fascisti se sono impossessati. Il 6 gennaio è diventato festa nazionale e in tutt’Italia è un fiorire di quelle che loro chiamano “befane fasciste”: sfruttano questa tradizione per indottrinare i bambini, per far credere che da quando c’è Mussolini si sta bene».
«E noi cosa possiamo fare?» chiede Lotte.
«Qualche giorno fa una compagna di Lugano mi ha detto che loro, proprio per opporsi al regime, hanno cominciato a organizzare la “befana rossa”. E hanno ragione i compagni ticinesi. La befana è rivoluzionaria, è nostra e non dei fascisti. Siamo noi che lottiamo per costruire una società diversa e giusta. Allora che ne dite se lo facciamo anche noi a Zurigo?».
Le amiche sanno che se Adelaide si è messa in testa di fare una cosa è impossibile fermarla. E poi tutte pensano che sarà bello organizzare quella piccola festa per le bambine e i bambini della casa del popolo.
«Il 6 al pomeriggio faremo la festa. Cominciamo a dirlo alle compagne, che portino i figli e i nipoti. Io faccio la befana. Franziska, tu e Greta riuscite a prepararmi una gonna piena di toppe colorate? Io da qualche parte credo di avere un vecchio scialle, bruttino e che ha un buco. Poi basterà un grosso fazzoletto e una scopa e il travestimento è fatto. Poi servono i dolci».
«Quello non è certo un problema. Domani chiamo la moglie del salsicciaio e le altre amiche della Spiegelgasse. Avrete tutti i dolci che volete», Helga interviene spiccia come al solito.
«Mio marito suona la fisarmonica - dice una delle compagne più giovani - sarà felice di venire».
Tutte hanno un compito. La riunione sembra finita. Ma Adelaide esclama: «E se la facessimo volare?».
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