lunedì 31 ottobre 2016

da "Peppino Girella" di Eduardo De Filippo


È sempre cos’e nient. Tutte le situazioni così l’abbiamo risolte: è cosa ’e niente, è cosa ’e niente. Non teniamo che mangiare: è cosa ’e niente. Ci manca il necessario: cosa ’e niente. ‘O padrone muore e io perdo il posto: vabbuò cosa ’e niente, cosa ’e niente. Ci negano il diritto della vita: è cosa ’e niente. Ci tolgono l’aria: vabbuò che vvuo’ fa’, è cosa ’e niente. Sempre cosa ’e niente.
Quanto sei bella. Quanto eri bella. E guarda a me, guarda cosa sono diventato. A furia ‘e ddicere: è cosa ‘e niente, siamo diventati cos’e nient io e te.
Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro. Ma se onestamente non si può vivere, dimmi, dimmi vabbuò è cos’e nient. Non piangere è cos’e niente. Se io esco e uccido a qualcuno è cos’e nient. E se io impazzisco e finisco al manicomio e ti chiedono perché vostro marito è impazzito tu devi dire: è impazzito per niente. È cos’e nient.
È niente. È sempre cosa ’e niente.

domenica 30 ottobre 2016

Verba volant (314): maceria...


Maceria, sost. f.

Provo a immaginare cosa sarebbe se all'improvviso mi trovassi senza una casa, senza questa casa, su cui abbiamo investito i nostri risparmi e su cui grava un impegno che dovremo onorare ancora per molti anni prima di poter dire: finalmente è nostra. Non credo di avere il diritto di usare l'espressione abbiamo fatto dei sacrifici, non sarebbe rispettoso verso i miei genitori, verso quelli di mia moglie, verso quella generazione che li ha fatti davvero, ma questa casa rappresenta comunque per noi qualcosa di importante, qualcosa senza cui non sapremmo pensare alla nostra vita. Forse c'è qualcosa di arcaico in questo attaccamento alla terra, forse è sbagliata questa eccessiva considerazione verso la roba, eppure non ci sento nulla di egoistico, perché è qualcosa che noi abbiamo costruito e soprattutto che non abbiamo tolto a nessuno.
Penso a chi oggi ha perso la propria casa, a chi l'ha vista crollare sotto i colpi di una terra che da mesi non ha smesso di tremare o l'ha vista abbattuta dall'ennesimo lancio di bombe, senza neppure sapere da dove siano arrivati gli aerei che le hanno sganciate; e non so immaginare come mi sentirei. Sarei contento di essere vivo, sarei felice del fatto che mia moglie sta bene ed è accanto a me, ma guarderei sgomento a quelle macerie, che finirebbero per essere una sorta di metafora di quello che ho fatto nella mia vita e che ora ho perduto. Avrei paura di non riuscire a sopportare una cosa del genere, credo che quelle scosse, quelle bombe, finirebbero per abbattere anche me o comunque a lasciarmi diverso, profondamente diverso. Con molte macerie dentro di me.
Per questo credo che quelle donne e quegli uomini abbiano diritto prima di tutto al nostro rispetto: provare a capire quello che sentono - anche se noi possiamo al massimo intuirlo - credo serva per farci evitare di dire cose stupide, come troppe volte ci succede in occasioni del genere. E serva per farci capire noi, gli altri, il mondo, serva magari per non farci commettere sempre gli stessi errori.

sabato 29 ottobre 2016

Verba volant (313): barricata...

Barricata, sost. f.

Ciascuno di noi ha delle parole che gli piacciono più di altre. Per me barricata è una di queste: è una gran bella parola. Perché ci sono state le barricate della Rivoluzione francese, e quelle del '48 e poi quelle della Commune, su cui sventolava la bandiera rossa. E perché ci sono state le barricadas di uno dei più famosi canti anarchici della guerra di Spagna e le barricate delle Quattro giornate di Napoli. E soprattutto da quando vivo qui, perché ci sono state le Barricate di Parma dell'agosto del '22, quelle di Guido Picelli, di Antonio Cieri e delle donne e degli uomini dell'Oltretorrente che seppero resistere ai fascisti. Perché le barricate sono da sempre il simbolo del popolo che resiste e che lotta; e che, su quelle cataste ammassate, apparentemente sempre in procinto di cadere, prova a costruire un futuro diverso.
Capirete quindi quanto io sia furioso con le donne e gli uomini che vivono a Goro, che hanno costruito delle barricate non per difendersi da un nemico, ma per impedire che un gruppetto di donne e di bambini, di persone in fuga dalla loro terra, raggiungesse un asilo temporaneo nel loro paese. Quelle barricate di Goro non sono servite a resistere e a costruire, ma ad offendere e a distruggere. Non sono servite per la rivoluzione, ma per la reazione. Sono arrabbiato perché io ho sempre saputo da che parte stare, ma questa volta è quel popolo a essere dalla parte sbagliata della barricata.
Richiedere asilo è un diritto. Negarlo è una colpa. Sempre. E grave. E' una colpa, se possibile, un po' più grave se vivi a Goro. Perché quel paese soffrì la terribile alluvione del 1951, quella raccontata, tra gli altri, da Giovannino Guareschi e rappresentata in uno dei film di quella serie fortunata - il secondo per la precisione, Il ritorno di don Camillo - in cui, accanto a effetti speciali piuttosto artigianali, ci sono scene girate dallo stesso Guareschi proprio nel corso di quell'evento tragico. Che ovviamente colpì più duramente le realtà intorno alla foce del grande fiume, tanto che viene ricordata come l'alluvione del Polesine. Migliaia di persone furono costrette a lasciare le proprie case e vennero ospitate in giro per l'Italia. I Billi, che erano allora contadini a Veduro, a una quindicina di chilometri da Bologna, accolsero una di quelle famiglie, condividendo il poco che avevano con quelli che evidentemente avevano ancora meno. Forse è più facile essere generosi quando si è poveri: ma non è questo il punto. Ovviamente non pretendo che conoscessero questa storia quei mestatori venuti da fuori, che già quella notte e poi nei giorni successivi hanno condotto quella miserabile protesta, ma credo che chi vive in quelle terre "selvatiche", in cui non è facile vivere, avrebbe dovuto conservare quella memoria. Ma la memoria non viene coltivata né a Goro né nel resto d'Italia. Perché la memoria è faticosa e noi non vogliamo più fare fatica.
Francamente sono molte le cose che mi hanno fatto schifo di quella notte triste, i volti lividi dei "bravi" cittadini che urlavano e alzavano quelle barricate di paura, le loro parole cariche di odio, pur nella retorica del ma noi non siamo razzisti. No, voi siete proprio razzisti, li avete respinti perché hanno la pelle di un colore diverso dalla vostra, perché parlano una lingua diversa dalla vostra, perché sono stranieri. Mi ha fatto schifo il modo in cui hanno usato i loro bambini, chiamati ad assistere a quello spettacolo così poco edificante.  Mi ha fatto schifo il fascismo, perché quello è stato, un episodio di fascismo. Alla faccia di chi dice che fascismo e antifascismo sono categorie superate, consegnate alla storia del Novecento.
Mi hanno fatto schifo però anche molti dei commenti ipocriti di condanna. Ho avuto l'impressione che tanti si siano voluti pulire la coscienza lanciando la loro pietra contro i cittadini di Goro, per non vedere il marcio che c'è intorno a loro, dentro di loro. Come se Goro fosse un'eccezione in questo paese pieno di solidarietà. Balle: Goro è l'Italia, nulla di più, nulla di meno. Goro fa schifo quanto l'Italia fa schifo.
Decidere di mandare quei profughi, per quanto pochi, a Gorino è stato un errore, un errore molto grave. Se fossi maligno direi una provocazione premeditata per creare un'incidente, ma sinceramente credo che il prefetto di Ferrara sia più stupido che criminale. Non so se siete mai andati da quelle parti - peraltro merita andarci perché si tratta di uno scenario naturale unico - ma non è un luogo facile in cui vivere, una terra letteralmente strappata all'acqua, un posto del nostro paese troppo spesso dimenticato, come ce ne sono tanti nella provincia più lontana. Francamente se proprio dovessi sistemare urgentemente un gruppo di profughi non sceglierei un posto come Gorino. Ma forse i profughi in città danno fastidio, i profughi in città si vedono, li vede la moglie del prefetto, li vede tutta la "buona" società; meglio mandarli a Gorino - avrà pensato il prefetto - dove al massimo li vedono quei quattro sfigati che pescano le vongole. E così io faccio bella figura con il ministro perché ho sistemato quei negri di merda in un posto di merda e non ho scontentato i miei amici del circolo. Poi capita che i pescatori di vongole si incazzino per essere trattati sempre così e che dimentichino di essere umani, capita che arrivi qualcuno a fomentare le loro paure, capita che esista una stampa che da anni alimenta queste paure, e allora il povero prefetto - che voleva solo far bella figura - si trovi per le mani un problema che non aveva previsto. E che non sa risolvere.
Eppure li avevo rassicurati che sarebbero stati gli unici, che sarebbero rimasti poco tempo. In Italia chi crede alla parola di un prefetto, di un sindaco, di un ministro? Giustamente nessuno, perché dicono balle ogni giorno. In un paese in cui non possiamo fidarci dello stato in nessuna occasione, perché dovremmo cominciare a credere che proprio in questa dicano la verità, comincino a rispettare gli impegni presi.
La vicenda di Goro è diventata così grave con il passare delle ore perché quei cittadini alla fine hanno vinto la loro miserevole battaglia, perché quelle barricate sono diventate inespugnabili. I cittadini di Goro avevano torto? Sì, avevano torto. E siccome il giudizio sul punto credo sia unanime, quei profughi dovevano essere portati in quell'ostello, a ogni costo, scortati dalla polizia, dall'esercito, da chi volete, come i nove studenti di colore che furono fatti entrare in un liceo dell'Arkansas dalle truppe federali mandate da Eisenhower. Invece sono stati mandati in una struttura della più grande e più servita Codigoro, dove evidentemente li avrebbero dovuti mandare fin dall'inizio.
E quindi quei profughi continueranno a essere quello che sono stati fino ad ora: merci. E siccome molti, non solo a Goro, non vogliono quelli merci, qualcuno si offre di prenderle in carico, ovviamente trattando sul prezzo. Avviene qualcosa del genere con i rifiuti. E come a chi fa affari sui rifiuti poco importa del come si debba fare per diminuirli, così a chi fa affari sui profughi, di qua e di là delle sponde del Mediterraneo, interessa poco fermare questo flusso e soprattutto incidere sulle cause che spingono quei popoli a fuggire. Sta nascendo un'industria dell'accoglienza e a questa industria servono sia i profughi sia le barricate di Goro.
Non pretendo che uno di Goro, che non capisce nemmeno le regole più elementari dell'umana pietà, capisca che ci sono meccanismi nell'economia globale fatti apposta per rendere più povere quelle persone, perché quella povertà permette a pochissimi altri, in altre parti del mondo, di diventare sempre più volgarmente ricchi.  Ma spero che noi sapremo leggere la vicenda di Goro per quello che davvero rappresenta.
Quelle barricate sono servite ai "bravi" cittadini di Goro per difendere il loro invidiabile way of life, in cui non ci sono persone straniere, a parte qualche puttana nera, che fa esotico in certi tristi locali della bassa dove gli italiani si svagano - e si sfogano - dopo una dura giornata di lavoro. Però quello è qualcosa che capiscono, qualcosa che si compra, che si misura con i soldi. A parte qualche lavoratore in nero. Quelli vanno sempre bene.
Quelle barricate di Goro sono servite soprattutto a difendere questo mondo in cui viviamo, un mondo in cui le ingiustizie sono così palesi e sfacciate, in cui lo sfruttamento è così pervasivo, in cui tutti noi valiamo per quello che produciamo, spendiamo, compriamo e buttiamo. Quelle barricate sono servite a difendere questo sistema economico, basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e per questo il governo si è ben guardato dal distruggere quelle barricate, perché questa volta ci sono loro su quelle barricate, insieme ai loro padroni. Mentre noi siamo qui, per la prima volta sotto le barricate, insieme a quelle donne, a quei bambini, a quel popolo in cammino. E siamo troppo deboli - o così ci hanno fatto credere - per abbattere quelle barricate da cui i padroni non si difendono - non ne hanno bisogno, perché noi non li attacchiamo - ma ci colpiscono. Però almeno dobbiamo essere consapevoli di quale sia la parte giusta.

lunedì 24 ottobre 2016

Verba volant (312): cena...

Cena, sost. f.

La rivoluzione non è un pranzo di gala. E neppure una cena.
Immagino che Mao non pensasse a renzi quando ha detto questa frase, anche se leggendo i giornali nei giorni scorsi è sembrato proprio che quella cena offerta da Obama al leader italiano fosse l'inizio della rivoluzione. Finalmente l'Italia è tornata a tavola; senza neppure quelle poche migliaia di morti che, nelle intenzioni di un predecessore di renzi, sarebbero state necessarie per ottenere quell'invito. Certo che rispetto alle cene di Poletti, che andava a mangiare con Buzzi e Casamonica, una state dinner alla Casa bianca è tutta un'altra cosa.
A dire il vero una cena di gala è stata offerta dai presidenti degli Stati Uniti a tutti i presidenti del consiglio italiani democristiani, da Andreotti a Cossiga, da Prodi a renzi. Mentre non è toccata a Craxi, a Ciampi, a D'Alema, a Berlusconi: evidentemente i quarti di nobiltà scudocrociati valgono ancora al di là dell'Atlantico. Francamente non mi pare molto interessante tornare a parlare di quella cena né delle scontate dichiarazioni di Obama a favore del sì: cosa pretendete che dica il presidente eletto con i soldi della Morgan Stanley della riforma costituzionale sponsorizzata dalla Morgan Stanley?
Torno a parlare di quella cena per un aspetto apparentemente secondario e meno importante, che invece per me riveste un interesse particolare; e che racconta molto di cos'è il nostro paese. Per me questa recentissima spedizione americana è stata una carnevalata, una gita aziendale a voler essere magnanimi. Al massimo avrebbe dovuto essere l'occasione per le ennesime prese in giro al presidente-segretario, che oggettivamente non ha il phisique du role del mondano: lo smoking bisogna anche saperlo portare. E renzi, in fin dei conti, è un Nando Mericoni che ha avuto la fortuna di arrivare fino a Washington: whatsamericanboy...
Ho letto invece molti commenti lividi, che denotano invidia più che ironia. E soprattutto molti di questi commenti lividi sono stati indirizzati ad Agnese Landini, coniugata renzi, che certo ha la responsabilità di averlo sposato e di averci fatto dei figli, ma non ha alcuna "colpa" specifica. Sarò maligno, ma credo che molti degli invidiosi abbiano colpito Agnese perché è una donna e questa è una società in cui è normale attaccare, sempre in maniera becera e volgare, le donne. Subiscono lo stesso trattamento tutte le donne che fanno politica: è toccato a Mara Carfagna come ora tocca a Maria Elena Boschi. Io ho scarsa considerazione politica di entrambe, le considero entrambe due avversarie, le ho attaccate - e le attacco - con toni decisamente poco gentili e assolutamente non moderati, ma non capisco perché la satira su di loro tenda quasi inevitabilmente a trasformarsi in battute volgari. O meglio lo capisco benissimo, perché questa società è profondamente maschilista, volgarmente maschilista, e assai poco fantasiosa quando si deve trovare un insulto per una donna: si va a finire sempre lì. E figurarsi poi quando le donne non hanno neppure il "buon gusto" di essere belle.
In questi attacchi ad Agnese c'è anche moltra vigliaccheria, perché si preferisce colpire il bersaglio che si immagina più debole, mentre si ha paura di colpire quello più grosso, che potrebbe evidentemente reagire. Attaccare la moglie per colpire il marito è un modo per "usare" le donne, è il segno che le consideriamo ancora un po' meno rispetto ai maschi.
Un altro esempio: tra i molti partiti per le Americhe c'era anche Beatrice Vio. Bebe, prima ancora di essere una splendida campionessa, è una ragazza di 19 anni e ha fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi ragazza di quell'età invitata a un ricevimento alla Casa bianca: è stata contenta e ha raccontato questa sua gioia al mondo attraverso i social. Anche lei è stata oggetto di commenti pesanti, di inutili volgarità. Io, che ho quasi cinquant'anni, racconto su Facebook perfino quando vado sul bagnasciuga di Cesenatico e Bebe Vio non può dire che è andata alla Casa bianca? Conosco miei coetanei che si vantano di avere la foto con Al Bano e Bebe non può stimarsi di essersi fatta un selfie con Obama? Se invece di Bebe Vio a quella cena fosse stato invitato Alex Zanardi - un altro grandissimo campione - nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, mentre Bebe è una giovane donna e in Italia alle giovani donne, per di più "handicappate", è concessa meno libertà.
Anzi alla fine cosa pretendono queste donne? Le facciamo perfino mangiare con noi.

domenica 23 ottobre 2016

"Gerusalemme" di Yehuda Amichai


Sul terrazzo,
nella città vecchia,
pende il bucato
all’ultima luce del giorno.
Il velo bianco di una mia nemica,
il fazzoletto di un mio nemico
che lui ha usato per asciugarsi il sudore della fronte.
E nel cielo della città vecchia
sta un aquilone
ma all’estremità del filo c’è un bambino
che non vedo per colpa del muro.
Abbiamo fatto sventolare molte bandiere.
Hanno fatto sventolare molte bandiere
perché pensassimo che fossero felici
perché pensassero che fossimo felici.

da "Volevo la luna" di Pietro Ingrao

La gerarchia comunista, che in quel '56 governava a Budapest, era chiaramente spaccata fra due leader in pesante conflitto: Rakosi, legato strettamente a Mosca, e Imre Nagy: un comunista di chiaro timbro moderato, divenuto primo ministro proprio sotto l'impulso che aveva messo in agitazione sia la fascia operaia sita nel cuore della capitale (prima di tutto nell'isola di Csepel), sia quella della zona orientale di Orzd e Diagoson. L'agitazione nelle officine di Csepel già aveva strappato con lo sciopero una sua vittoria, e presto la vicenda portò a un cambio del governo.
Cadeva Rakosi, e il moderato Nagy, appena salito al potere, parlò di "nuovo corso": cancellò buona parte dei sinistri "campi di lavoro", concesse un'amnistia ai prigionieri politici, e lasciò spazio allo scendere in campo di larghi gruppi di intellettuali, duramente critici verso il filosovietico Rakosi.
Mosca allora rispose licenziando Nagy. Presto da Budapest venne la risposta: il circolo Petofi trascinò nello scontro politico tutta una fascia di intellettuali, mentre prendeva corpo una corrente che invocava il ritorno di Nagy. E si giunse allo scontro aperto.
La scintilla fu il funerale pubblico di Làszlo Rajk, una delle vittime delle repressioni staliniane. A salutare quella salma scesero in piazza centinaia di migliaia di persone. E presto dalla cerimonia funebre si passò alla rivolta.
Si mosse in prima fila il circolo Petofi, alzando la bandiera dell'autogestione operaia e avanzando la rivendicazione di elezioni libere e segrete. La situazione divenne rovente quando il nuovo premier Gerò, tornato da un viaggio in Jugoslavia, pronunciò un violento intervento contro le masse in movimento. Una folla grande si raccolse dinanzi al Parlamento, resisté a una fiacca risposta della polizia, e poi si diresse verso la gigantesca statua di Stalin: sotto la spinta di un fiume di popolo la rovesciò a terra. Nulla parve piu eloquente di quel gesto, mentre una delegazione operaia varcava la soglia del Parlamento per esporre all'assemblea la proposta di uno statuto che sancisse nuovi diritti di libertà. A quel punto scattò l'azione repressiva dell'Avh (la polizia politica).
E fu il massacro della folla inerme.
Ma non bastò a fermare la rivolta. Anzi nei giorni che seguirono, la lotta di popolo crebbe: vennero disserrate le porte delle prigioni, e cominciarono a sorgere nelle fabbriche i consigli operai, che presto divennero il nucleo piu robusto dell'insorgenza.
Mentre si dispiegava quell'urto sanguinoso, io vissi l'errore piu grave della mia vita politica. Scrissi un editoriale per I'Unità che condannava la rivolta ungherese e aveva un titolo roboante: Da una parte della barricata a difesa del socialismo.
Purtroppo in quello scritto era gravemente falsa la rappresentazione dei fatti: in quei giorni il popolo ungherese difendeva la libertà del suo Paese dall'attacco armato di Mosca.
E il grande obiettivo della lotta per il socialismo, che ci muoveva, non poteva cancellare l'autonomia di nazione, e meno ancora la libertà di pensiero e di parola avanzate ormai sulla scena già dalle rivoluzioni borghesi, e poi divenute rivendicazione centrale nella spaventosa seconda guerra mondiale. Né erano possibili deleghe di potere a una minoranza carismatica per geniale ed ardita che essa fosse.
Insomma tornava una questione cruciale che già aveva spaccato il soggetto proletario a cavallo fra i due secoli, e aveva ritrovato ardore e pregnanza dinanzi alla minaccia e agli orrori del nazifascismo. Perciò la descrizione della barricata, che io davo in quel mio articolo, piu che sommaria era falsificante.
Tornava la grave domanda su ciò che erano I'Urss e lo stalinismo, e l'innovazione chrusceviana che tante speranze e dibattiti aveva alimentato.
Perciò la questione ungherese presto acquisì una valenza che andava oltre la sorte immediata di quel breve lembo d'Europa. E riguardava valori di fondo: essenziali anche per la costellazione politica che nei vari continenti guardava all'Urss come ad una guida. Il leninismo-stalinismo aveva vinto contro i nazisti agendo in un complesso e multiforme schieramento mondiale, in cui la rivendicazione delle libertà democratiche era un punto cruciale. Come poteva reggere un tale schieramento colpendo quelle conquiste di libertà, e appiattendo e cancellando le differenze così complesse e articolate che operavano nel suo campo?
Qui si rivelava tutta la sommarietà falsificante di quella mia immagine e rappresentazione della barricata.
Presto a Budapest dilagò la tragedia. Un primo appello sovietico alla resa ebbe come risposta la dichiarazione dello sciopero generale e l'assalto alle caserme dell'Urss. Mosca allora decise di fare evacuare da Budapest i reparti dell'Armata rossa, mentre la rivoluzione dilagava nel Paese con la formazione di centinaia di consigli operai, e la liberazione dei rivoltosi finiti nelle carceri.
Fu allora il momento di Nagy che diede vita a un nuovo governo, dichiarò l'uscita dal Patto di Varsavia e strinse con le forze in agitazione un accordo per concludere lo sciopero entro pochi giorni.
Invece era ancora tutto a rischio. Difatti ai primi di novembre scattò l'allarme che denunciava un movimento di truppe sovietiche sulla linea di confine. E all'alba del 4 novembre partiva il primo assalto delle truppe corazzate dell'Armata rossa, che presto dilagò in un lungo, selvaggio attacco ai vari quartieri della capitale. Csepel venne presa casa per casa, e quasi rasa al suolo. Nagy fu arrestato su una macchina dell'ambasciata jugoslava che tentava di recarlo in salvo: venne fucilato pochi anni dopo. L'Armata rossa fece calare un cupo silenzio sui quartieri operai. E alla testa del nuovo governo fu chiamato Janos Kadar (un fedele - o quasi a Mosca), che tentò l'avvio di una ricostruzione.
Ricordo quel giorno fatale del 4 novembre. Era una domenica, mi pare. Il 30 di ottobre da Mosca era venuta una dichiarazione ufficiale del Pcus che proponeva un rifiuto netto della guerra e il rilancio di una politica di intesa e di conciliazione fra le forze progressiste. C'era parso un gesto di speranza; e lo interpretammo avidamente, in redazione, come una svolta nella linea di Mosca. Lo mostrai con esultanza a Togliatti.
Perciò sconvolgente e amarissimo fu per me quel dì di novembre, che cancellava brutalmente nei fatti la linea proposta nel documento sovietico di pochi giorni prima, e dava il via all'aggressione.
La notizia grave dell'invasione sovietica, l'appresi al mattino al giornale, dove - non ricordo perché - ero passato (mi attendevo forse notizie di altro tono). Il foglio di agenzia che annunciava l'aggressione l'ebbi tra le mani verso mezzogiorno o poco più. Telefonai a casa e dissi a Laura che non andavo a mangiare. Mi chiese perché: risposi con una bugia. lo avevo un dialogo intenso con mia moglie: sapeva tutto delle mie inclinazioni politiche e non taceva sulle differenze fra di noi, anche se accompagnava - quando c'era - il dissenso sempre con una generosità (o indulgenza?) di chi ha una lettura larga della vita. Rifiutava gli anatemi: come fossero soprattutto stupidaggini. Aveva un gusto della formazione che alimentava il suo interesse verso gli altri: con un'attenzione ai deboli, ai feriti, starei per dire agli «erranti», come se la sua curiosità umana volesse scavalcare gli steccati piu pesanti, avvicinare i piu lontani. Quella mattina del 4 novembre però non avevo voglia di parlare: nemmeno con lei.
La redazione era semivuota. Frugavo nei miei pensieri. Girai per ore per le vie di Roma, solo e sempre interrogandomi su quell'aggressione che mi sembrava inspiegabile e infame.
C'era un cielo annuvolato quando giunsi - quasi alle soglie della sera - in casa di Togliatti a Montesacro. E gli dissi subito il mio sgomento più ancora che la mia sorpresa per quella invasione. Togliatti mi rispose asciuttamente: - Oggi io invece ho bevuto un bicchiere di vino in più...
Non ebbi coraggio di replicare. Mi limitai a dire che non condividevo il suo giudizio. Poi rapidamente mi avviai verso casa. C'era ancora un giorno per preparare il giornale (che non usciva il lunedì). Ma io avevo in testa pensieri che scavalcavano la questione del giornale: e poi incisero su tutta la mia vita.

giovedì 20 ottobre 2016

Considerazioni libere (411): a proposito di una scelta ponderata, nel merito...

Da qualche giorno, ossia da quando la campagna elettorale per il referendum è entrata nel vivo e la propaganda del governo e dei suoi complici si sta facendo sempre più violenta e volgare, vedo aumentare gli appelli a entrare nel merito della riforma. Come se fino adesso avessimo parlato d'altro.
Alcuni di quelli che lanciano questi appelli sono certamente in buona fede: si tratta in genere di costituzionalisti e di esimi professori schierati per il NO che, comprensibilmente, vorrebbero spiegare le molte buone ragioni di questa loro scelta, in base ai loro studi e alla loro dottrina. Non sempre, a dire il vero, il loro modo di spiegare le ragioni del NO risulta efficace e anzi talvolta rischiano di trasformare questo tema in un dibattito da specialisti, mentre è qualcosa che riguarda tutti noi, anzi più ci riguarda quanto più siamo deboli e indifesi, perché la Costituzione è nata proprio per difendere chi ha meno, chi sa meno, gli ultimi della società, offrendo a tutti gli stessi diritti. Uno di questi professori in buona fede che rischia di fare danni è Valerio Onida, con il suo ricorso volto a "spacchettare" il quesito; se il suo ricorso fosse accolto il referendum sarebbe posticipato, offrendo un ulteriore vantaggio a renzi, che ha tutto l'interesse a prendere tempo per continuare le sue elargizioni elettorali, e togliendo spinta ai già scarsi e deboli sostenitori del NO.
Poi ci sono quelli che non sono in buona fede - e sono ovviamente la maggioranza - il cui obiettivo è quello di dare una mano al governo, senza apparentemente darlo a vedere, senza apparire troppo schierati; siamo pur sempre in Italia, patria di cerchiobottisti e di opportunisti. Molti "autorevoli" commentatori di Repubblica - ad esempio, ma non solo - stanno facendo questo gioco sporco e tanti altri vedrete che seguiranno. La loro tesi è che noi votiamo NO unicamente per odio a renzi e proprio per questa ragione ci spiegano che questo nostro NO è sbagliato, perché non è possibile costruire qualcosa unicamente su questo sentimento così poco commendevole. Dicono che votiamo NO solo per far cadere il governo e in questo modo ci accusano di non discutere nel merito delle proposte di riforma. Curiosamente la recente - e inattesa - dichiarazione di voto di Mario Monti a favore del NO ha rinfocolato questa tesi, dal momento che lo stesso Monti ha motivato questa scelta solo con le critiche a renzi, in particolare alle regalie che si stanno facendo sempre più sfacciate, senza dire una parola sulla riforma; visto il personaggio, servo fedele dei poteri internazionali che hanno ispirato e sostenuto questa riforma, forse questa sortita è una polpetta avvelenata.
Il problema di noi del NO è che troppo spesso di fronte a questi argomenti ci mettiamo in difesa e rinunciamo ad attaccare. Invece dobbiamo essere noi ad andare all'attacco, proprio perché su questo tema stiamo da sempre sul merito, anche quando attacchiamo renzi e i suoi complici. Perché il merito della riforma non è né la cancellazione del senato, né lo svilimento delle autonomie, né il combinato disposto di riforma e legge elettorale - figurarsi poi se può essere il Cnel - il merito vero di ciò di cui stiamo discutendo è quale idea di democrazia vogliamo per il futuro di questo paese. Quello che dobbiamo far capire ai cittadini - quelli che voteranno sì per opportunismo e per cieca fiducia in renzi ormai sono perduti, ma tanti ancora non hanno deciso - è proprio questo.
Questa non è una riforma che riguarda alcuni articoli, non è l'adeguamento di alcuni punti a nuove esigenze, non è un'operazione di semplice, per quanto necessario, maquillage, questa è proprio una "nuova" costituzione, che risponde a principi diversi rispetto a quelli su cui è fondata la Costituzione del '48. So bene che renzi e i renzioti dicono che i principi della prima parte non vengono modificati - ed effettivamente non vengono modificati - ma quando, come in questo caso, le norme della seconda parte vengono totalmente riscritte tenendo conto di altri principi, allora anche la prima parte viene tradita. Per questo lo "spacchettamento" finisce per essere soltanto un esercizio accademico: c'è un'idea complessiva nella proposta del governo ed è un'idea che confligge totalmente con la Costituzione vigente. Questo è il merito, su questo siamo chiamati a un solo sì o a un solo NO. E per questo non votiamo sul senato o sul meccanismo di formazione delle leggi o sul Cnel, ma votiamo proprio sulla Costituzione, su tutta la Costituzione, principi compresi. Stiamo nel merito; dobbiamo spiegare ai nostri concittadini che il vero quesito, al di là di quello che sarà o non sarà scritto sulla scheda, è: "Volete una nuova Costituzione al posto di quella entrata in vigore nel 1948?". NO.
E non vogliamo che una nuova costituzione venga scritta da renzi e da Verdini. In questo certamente il referendum è anche una consultazione sul governo, indipendentemente da ogni altra considerazione in merito ai provvedimenti presi da questo esecutivo. Umanamente disprezzo renzi, ma non è questo il punto, non mi fido di lui e non mi fido di quelli da cui lui prende ordini. Stiamo dunque ancora nel merito, spiegando che il quesito della scheda potrebbe essere efficacemente "tradotto" in questo modo: "Volete che renzi scriva la nuova Costituzione?". NO.
Questa nuova costituzione, che porta il nome di renzi, ma che è stata scritta nelle stanze di alcune grandi istituzioni finanziarie, è ispirata dall'idea che i cittadini debbano contare sempre meno, che la sovranità non debba più appartenere al popolo - o appartenergli sono nominalmente - ma che in realtà debba essere esercitata da chi può e da chi sa. Debba essere esercitata dalle banche, dalle grandi industrie, dalle multinazionali, in sostanza debba essere esercitata dai padroni, dalle persone molto ricche, basandosi sul principio che gli interessi dei padroni coincidono con quelli generali. Invece non è così: i padroni hanno sempre fatto - e sempre faranno - solo i loro interessi, a scapito degli interessi collettivi e di quelli delle classi più povere. La guerra di classe non è un'invenzione di Marx, ma il conflitto che ogni giorno i padroni combattono contro di noi, per sfruttarci. La Costituzione serve a difenderci e per questo loro la vogliono cambiare. In gioco non è la sopravvivenza di qualche posto da senatore, ma questa idea sottesa alla riforma che le istituzioni democratiche siano un ostacolo allo sviluppo. E per questo tutti i banchieri, tutti gli industriali, tutti i potenti sono schierati per il sì e fanno schierare per il sì le loro marionette, da Obama alla Merkel, da Hollande a Juncker.
Oggi hanno già abolito le elezioni provinciali, eppure le Province ancora funzionano: allora qualcuno potrà chiedere di abolire anche le elezioni regionali e poi quelle comunali. Oggi aboliscono non il Senato, ma l'elezione democratica di questo organo, in nome dell'efficienza e del risparmio; domani qualcuno sosterrà, in nome degli stessi principi, che anche seicento deputati sono troppi, troppo costosi e troppo inefficienti, e quindi ne chiederà la riduzione, e che il meccanismo di voto è troppo complicato e troppo costoso. E non ci sarà più alcun principio per fermare questa deriva, perché con questo sì saranno riusciti a distruggere gli anticorpi della Costituzione. Questo è il merito. Su questo saremo chiamati a votare il prossimo 4 dicembre. Per questo voteremo NO.
A questi pretesi riformatori - o meglio a questi nuovi costituenti - poco importa che le leggi vengano approvate da una o due camere. E francamente importa poco anche a me il puro meccanismo. A loro importa che le leggi vengano approvate soltanto dai governi - come avviene di fatto da molti anni in Italia, dal momento che il parlamento si limita a ratificare, spesso sotto l'imposizione del voto di fiducia, i decreti del governo, come è avvenuto in Francia con la Loi travail, fatta passare senza un voto parlamentare, con una procedura d'emergenza, come una legge di guerra. E questa nuova costituzione va in questa direzione, con la scusa di semplificare, di rendere più veloci le decisioni. Vogliono semplicemente essere loro a decidere. Per questo diciamo NO
Ai nuovi costituenti interessa manomettere la Costituzione del '48, perché quella Costituzione, proprio perché è nata in quegli anni, perché è figlia della Resistenza, ha un forte impianto progressista. Quella formula dell'art. 1 "fondata sul lavoro" non è un espediente retorico, è un principio. E questo principio è adesso l'unico limite alle violenze di classe. Per questo vogliono scrivere una nuova costituzione, mentre noi dobbiamo lottare per applicare davvero, fino in fondo, la Costituzione del '48. Questo è il merito: "Volete vivere in un paese senza Costituzione?". NO.

lunedì 17 ottobre 2016

Verba volant (311): letteratura...

Letteratura, sost. f.

Visto che ovviamente non ci sono arrivate testimonianze registrate delle performance degli autori greci antichi, noi "moderni" facciamo fatica a rendercene conto, ma in quel tempo il rapporto tra parola e musica era fortissimo e in qualche modo inscindibile. La tragedia greca era molto più simile al melodramma che al teatro di Shakespeare o di Goldoni: il coro cantava e ballava. E così nella commedia. Erano spettacoli da vedere e da ascoltare, non solo da leggere.
Pensate se delle opere di Verdi ci fossero arrivati soltanto i libretti, dubito che un qualche teatro avrebbe ancora in cartellone Trovatore o Aida; le poesie di Eliot sui gatti sono senz'altro una divertente opera letteraria, anche perché sono diventate alcuni anni dopo i testi di Cats e hanno avuto il dono della musica. Ovviamente non smetteremo di leggere Edipo re o Le supplici o Le nuvole - anzi saranno testi che continueranno ad affascinarci e da cui continueremo a imparare, per sempre - ma dobbiamo essere consapevoli che non sapremo mai come queste opere furono realmente, appunto perché ci mancano le musiche e le coreografie. E poi Saffo cantava, Pindaro cantava, Tirteo cantava, tutti i poeti antichi cantavano.
A dire la verità di quello che studiamo a scuola come letteratura greca praticamente nulla potrebbe rientrare in una definizione stretta di letteratura, quella - per intenderci - che, secondo alcuni, dovrebbe essere la sola a meritare di essere valutata dai severi accademici di Svezia. Omero era un cantastorie che girava per le città della Grecia raccontando a memoria le gesta dei guerrieri andati a combattere sotto le mura di Troia; Erodoto e Tucidide erano storici; Ippocrate era un medico; Platone e Aristotele filosofi; Lisia scriveva orazioni da far recitare ai suoi clienti nei tribunali. Gli altri, come ho detto prima, erano poeti che cantavano e librettisti di fortunate opere musicali. Per dire che la letteratura è, da sempre, un fenomeno più complesso di come vorrebbero ridurlo alcuni pedanti. E allo stesso tempo più semplice. Perché la letteratura è molte cose diverse. Gli articoli sportivi di Gianni Brera sono letteratura, le sceneggiature di Tonino Guerra sono letteratura, i pamphlet di Pier Paolo Pasolini sono letteratura, le ricette di Pellegrino Artusi sono letteratura. Perfino qualche blog può diventare letteratura.
Bob Dylan era letteratura anche prima del giorno in cui gli incartapecoriti accademici di Stoccolma gli assegnassero il Nobel, anzi lo è nonostante quel premio, che in fondo è una piccola cosa, l'occasione ogni anno per fare un gioco di società, per vedere la gioia del vincitore - e apprezziamo il silenzioso mister Zimmerman anche per l'inconfondibile stile con cui ha accolto la notizia - e soprattutto la rabbia di chi non ha vinto - e anche quest'anno qualcuno degli esclusi non è proprio riuscito a stare zitto.
Sappiamo bene che ci sono vincitori del Nobel che meritano l'oblio in cui sono caduti e artisti grandissimi che non l'hanno mai ricevuto, e forse non l'avrebbero neppure voluto ricevere. Per qualcuno quel premio è stato utile, perché ha squarciato un velo di indifferenza, li ha fatti conoscere a una platea più vasta dello stretto giro degli esperti. Per altro è buffo come ogni anno, pochi minuti dopo l'annuncio, consultata velocemente la relativa pagina di Wikipedia, tutti si affrettino a dire che effettivamente conoscevano già quello sconosciuto poeta africano o quella mai tradotta scrittrice boema. Per altri quel premio è stata una iattura, perché li ha posti sopra un piedistallo, su cui si trovano poco a loro agio. Personalmente credo sia stata una cattiveria dei vecchiacci di Stoccolma aver dato il Nobel a Dario Fo, trasformando quel giullare anarchico in un austero padre della patria; personalmente preferisco ricordarlo prima della beatificazione. Comunque anche Fo era letteratura, almeno quanto lo è stato Omero, che probabilmente non sapeva neppure scrivere o comunque non riteneva importante scrivere, perché le sue storie viaggiavano nell'aria.
L'elenco delle persone che hanno vinto il Nobel dimostra bene che non possiamo pretendere che i venerandi signori - e anche signore - dell'Accademia si intendano anche di letteratura. Però quel premio serve perché, al di là del valore di questo o quel premiato, dimostra che significato ampio abbia la letteratura. E giustamente Borges non è stato premiato, per il suo iniziale appoggio al regime di Videla. Io, lo sapete, amo Borges come pochissimi altri scrittori, ma credo che l'Accademia abbia fatto bene a negargli quel riconoscimento, proprio perché la letteratura è la vita. E la letteratura sono anche le canzoni; e con il Nobel a Dylan hanno voluto dirci proprio questo.
Virgilio ci racconta quanto sia difficile per gli uomini catturare il vecchio dio Proteo, che abitava sull'isola di Faro, in Egitto, e lì custodiva le greggi delle foche di Poseidone.
E diverrà d'improvviso cinghiale irsuto, crudele
tigre, squamoso drago, leonessa dal collo rossiccio;
poi, crepitante fiamma, vorrà liberarsi dai lacci
o fuggire via, dissolvendosi in limpide acque.
Però quando qualche eroe riusciva finalmente a tenerlo stretto e ad imbrigliarlo, Proteo tornava di nuovo un vecchio e raccontava a quell'audace il futuro. Io credo che la letteratura sia come quel dio, non ama essere definita, classificata, catalogata, ma una volta che siamo riusciti in qualche modo ad afferarla, allora ci fa dei regali incredibili, ci fa viaggiare, sognare, amare, ci insegna ad avere paura e ad avere coraggio, ci racconta, come Proteo, il futuro, attaverso il passato.

sabato 15 ottobre 2016

da "Morte accidentale di un anarchico" di Dario Fo

Questore
Allora, lei continua a rimanere nella convinzione che se l'anarchico s'è buttato dalla finestra, saremmo stati noi a spingervelo?
Matto
Me l'avete convalidato voi stesso un momento fa... perdendo la testa!
Commissario
Ma noi non eravamo presenti nell'attimo in cui s'è buttato. Domandi alla guardia!
Guardia
Sì, signor giudice loro erano appena usciti quando quello s'è buttato!
Matto
Sarebbe come a dire che uno innesca una bomba in una banca, e poi esce, non è colpevole, perché non era presente al momento dello scoppio! Ah, andiamo bene con la logica qui!...
Questore
Ma no signor giudice, c'è stato un equivoco... l'agente si riferiva alla prima versione... noi stiamo parlando della seconda.
Matto
Ah, già... perché c'è stata una specie di ritrattazione in un secondo tempo.
Questore
Beh, proprio ritrattazione non direi... una semplice correzione...
Matto
Giusto. Sentiamo: che cosa avete corretto? (Il questore fa cenno al commissario).
Commissario
Beh, abbiamo...
Matto
Vi avverto che anche per questa nuova versione ho qui dei verbali. Prego: sentiamo...
Commissario
Abbiamo corretto l'ora del... come dire... dell'inganno...
Matto
Come l'ora dell'inganno?
Questore
Sì, insomma, abbiamo dichiarato che il tranello dell'anarchico con relative frottole invece che a mezzanotte gliel'avevamo recitato verso le otto di sera.
Commissario
Alle 20 insomma...!
Matto
Ah, avete anticipato tutto di quattro ore, anche il volo dalla finestra! Una specie di orario estivo sviluppato!
Commissario
No, il volo no... quello è avvenuto sempre a mezzanotte... invariato. C'erano i testimoni.
Questore
Fra gli altri quel giornalista che stava nel cortile, si ricorda? (Il giudice fa cenno di no). Quello che ha sentito i tonfi sul cornicione e al suolo ed è accorso per primo... quello s'è segnato subito l'ora.
Matto
Va bene... il suicidio è avvenuto a mezzanotte e il saltafossa bidone alle 20... E allora, come la mettiamo con il raptus? Dico... è sul raptus, fino a prova contraria, che si basa tutta la vostra versione del suicidio... Tutti quanti, a cominciare dal giudice istruttore per finire al pubblico ministero, avete sempre insistito sul fatto che quel poveraccio si sarebbe buttato: "causa del raptus improvviso"... e adesso, sul più bello, mi sbattete via il "raptus".
Questore
No, no... noi non glielo sbattiamo via affatto il "raptus"...
Matto
E sì che lo sbattete!: mi distanziate il suicidio di addirittura quattro ore dal momento in cui lei o quel suo collaboratore entrate e gli fate lo scherzo gigante del: "Abbiamo le prove!" E dove mi va a finire così il "raptus" all'improvviso? Dopo quattro ore... hai voglia... avrebbe avuto il tempo di smaltire altro che quella di balla, l'anarchico... potevate anche raccontargli che Bakunin era un pappone e faceva il confidente della polizia e del Vaticano, ed era lo stesso!
Questore
Ma era proprio quello che volevamo, signor giudice!
Matto
Volevate raccontargli di Bakunin pappone?
Questore
No, volevamo dimostrare che il "raptus" non può essere stato determinato dai nostri inganni, dalle nostre false affermazioni... insomma proprio perché da quel momento all'altro suicidio sono trascorse quattro ore!
Matto
E già, ha ragione! Ma che bella pensata... che bravo!!!
Questore
Grazie signor giudice.
Matto
E già, così nessuno può incolparvi di certo: la balla cattiva c'è stata, ma non può considerarsi determinante!
Commissario
Esatto. Quindi siamo innocenti.
Matto
Bravi. Non si capisce perché poi quel poveraccio si sia buttato dalla finestra, ma non ha importanza, per adesso, importante è che voi risultiate innocenti.
Questore
Grazie ancora. Le dirò con sincerità che temevo lei partisse prevenuto nei nostri riguardi.
Matto
Prevenuto?
Commissario
Sì, che ci volesse colpevoli ad ogni costo.
Matto
Per carità... è proprio all'opposto semmai: vi dirò che se mi sono comportato in modo un po' duro e provocatorio, è stato solo per indurvi a produrre prove e argomenti tali da mettermi in condizioni di aiutarvi il più possibile ad uscirne vittoriosi.
Questore
Ne sono sinceramente commosso... E' bello sapere che la magistratura è sempre la migliore amica della polizia!!!
Matto
Diciamo collaboratrice...
Commissario-Questore
Sì, diciamo.
Matto
Ma anche voi dovete collaborare perché io vi possa aiutare fino in fondo... e rendere inattaccabile la vostra posizione.
Questore
Senz'altro.
Commissario
Con piacere.
Matto
Per prima cosa dobbiamo provare, con argomenti inconfutabili che, durante quelle quattro ore l'anarchico aveva smaltito ogni più piccolo scoramento, il famoso crollo psicologico, come lo chiama il giudice archiviatore.
Commissario
Beh, c'è la testimonianza dell'agente qui, e anche la mia, in cui si dichiara che l'anarchico dopo un primo moto di sconforto si riprendeva...
Matto
E' a verbale?
Commissario
Sì, credo...
Matto
Sì, sì, c'è, fa parte della seconda versione dei fatti... eccola: "il ferroviere si calma e dice che fra lui e l'ex ballerino non c'erano dei buoni rapporti". Ottimo!
Questore
Come a dire che non gliene importava un gran che di venire a sapere che fosse lui il dinamitardo assassino.
Matto
Certo, non lo stimava molto, né come anarchico né come ballerino!
Commissario
Forse non lo considerava nemmeno anarchico.
Matto
Io dico che lo disprezzava.
Commissario
Oh, che porta così male!
Matto
E non dimentichiamo che il nostro ferroviere era a conoscenza del fatto che nel gruppo anarchico romano bazzicassero un sacco di spie e confidenti della polizia... lui gliel'aveva detto al ballerino: "la polizia e i fascisti vi adoperano per far scoppiare disordini... siete pieni di provocatori pagati... che vi portano dove vogliono... e poi chi ci andrà di mezzo sarà tutta la sinistra..."
Commissario
Può darsi che abbiano litigato proprio per questo!
Matto
Già, e dal momento che il ballerino non gli aveva dato retta, forse il nostro ferroviere ha cominciato a sospettare che anche lui fosse un provocatore.
Questore
Ah, può darsi.
Matto
Quindi, non importandogli niente, prova inconfutabile: l'anarchico era sereno.
Commissario
Anzi sorrideva addirittura... si ricorda, l'ho dichiarato io stesso fin dalla prima versione.
Matto
Già, ma c'è purtroppo il guaio, che nella prima versione siete anche andati a raccontare che l'anarchico s'era acceso una sigaretta "abbattuto" alla Francesca Bertini e che aveva commentato "sconsolato": "è la fine dell'anarchia". Ta-tata-ta! andiamo, ma che v'è saltato in mente di buttarla sul melodrammatico a 'sto modo. Per dio!
Questore
Ha ragione, signor giudice. E' che è stata un'idea sua, del giovanotto qui; gliel'avevo anche detto: "le sceneggiate lasciamole fare ai cinematografi, noi facciamo i poliziotti".
Matto
Datemi retta, a 'sto punto, l'unica, per capirci qualche cosa, se vogliamo trovare una soluzione organica, è buttare tutto all'aria e ricominciare da capo.
Commissario
Dobbiamo dare una terza versione?
Matto
Per carità! basta rendere più plausibili le due che abbiamo già.
Questore
Giusto.
Matto
Dunque, punto primo, regola prima: qquel che è detto è detto e non si torna più in dietro. Perciò resta fisso che lei commissario e lei o chi per lei signor questore avete fatto il vostro saltafosso bidone... che l'anarchico s'è fumata la sua ultima sigaretta, che ha recitato la sua frase melodrammatica... ma, è qui che abbiamo la variante, non si è buttato dalla finestra perché non era ancora mezzanotte, erano solo le otto.
Questore
Come da seconda versione...
Matto
E si sa che un ferroviere rispetta sempre l'orario.
Questore
Fatto sta che così abbiamo tutto il tempo di fargli cambiare umore... tanto da fargli rimandare l'intento suicida.
Commissario
Non fa una grinza!
Matto
Sì, ma come è avvenuto questo cambiamento... il tempo da solo non basta a medicare certe ferite... qualcuno l'avrà aiutato... che so, con qualche gesto...
Agente
Io gli ho dato un chewingum!
Matto
Bravo. E voi?
Questore
Ma, io non c'ero...
Matto
No, questo è un momento troppo delicato, lei doveva esserci!
Questore
D'accordo, c'ero.
Matto
Bene, tanto per cominciare possiamo dire che la costernazione in cui era caduto l'anarchico vi aveva un pò commossi?
Commissario
Sì, a me mi aveva proprio commosso.
Matto
E possiamo aggiungere che vi era dispiaciuto l'averlo amareggiato... signor questore... lei un uomo così sensibile!
Questore
Sì, in fondo m'aveva fatto una certa pena... mi era dispiaciuto.
Matto
Perfetto! E scommetto che non ha potuto fare a meno di posargli una mano sulla spalla...
Questore
No, non credo...
Matto
Andiamo, è un gesto paterno...
Questore
Beh, forse, ma non ricordo.
Matto
Io sono sicuro che l'ha fatto! La prego... mi dica di sì!...
Agente
Sì, sì, l'ha fatto... l'ho visto io!
Questore
Beh, se m'ha visto lui...
Matto (rivolto al commissario) E lei invece gli ha mollato un buffetto sulla guancia... così (gli dà un buffetto)
Commissario
No, mi spiace deluderla, ma sono sicuro che no... non gli ho dato buffetti...
Matto
Certo che mi delude... e sa perché?... Perché quell'uomo oltreché anarchico era un ferroviere! Se l'era dimenticato? E sa che significa ferroviere? Significa qualcosa che è legata per tutti alla nostra infanzia... significa trenini elettrici e a molla. Lei da bambino non ha mai avuto trenini?
Commissario
Sì ne avevo uno proprio a vapore... col fumo... un treno blindato, naturalmente.
Matto
E faceva anche tu-tut?
Commissario
Sì, tu-tut...
Matto
E' splendido! Ha detto tu-tut... e le si sono illuminati gli occhi!! No, lei dottore non può che aver sentito affetto per quell'uomo... perché nel suo inconscio era legato al suo trenino... e se l'indiziato fosse stato, che so, un banchiere, lei non l'avrebbe nemmeno guardato, ma era un ferroviere e... lei, ne sono più che certo... lei gli ha dato il buffetto...
Agente
Sì, è vero... l'ho visto io... gliel'ha dato: due buffetti!
Matto
Vede... ho i testimoni! E che cosa ha aggiunto mentre lo buffettava...
Commissario
Non ricordo...
Matto
Glielo dico io cosa ha detto: gli ha detto: "su, su... non abbatterti così..." e l'ha chiamato per nome "vedrai, l'anarchia non morirà!"
Commissario
Ma, non mi pare...
Matto
Eh, no... per dio... lei l'ha detto... se no mi arrabbio. Guardi il nervo sul collo. Ammette sì o no d'averlo detto?
Commissario
Eh, va bene, se le fa piacere...
Matto
E allora lo dica... devo metterlo a verbale (comincia a scrivere).
Commissario
Beh, ho detto... su, su... "Ragazzo, non te la prendere... vedrai... l'anarchia non morirà!"
Matto
Bene... e poi avete cantato!
Questore
Abbiamo cantato...?
Matto
Per forza, arrivati a 'sto punto... s'è creato un clima di tale amicizia, di cameratismo... che non si può fare a meno di cantare... tutti in coro! Sentiamo cosa avete cantato? "Nostra patria è il mondo intero" immagino...
Questore
No, scusi signor giudice ma sul fatto del canto in coro non la possiamo proprio più seguire...
Matto
Ah, non mi seguite?... e allora sapete che vi dico?: io vi mollo e arrangiatevi... son fatti vostri... Ordinerà i fatti così come me li avete esposti... sapete cosa ne sortirà... scusatemi l'espressione vivace: ne verrà fuori un gran casino! Si proprio! Prima dite una cosa... poi la ritrattate... date una versione, dopo mezz'ora, ne date un'altra tutta diversa... non vi trovate nemmeno d'accordo fra di voi... qui c'è un appuntato che racconta addirittura che l'anarchico avrebbe già tentato di buttarsi una prima volta lo stesso giorno nel tardo pomeriggio, in vostra presenza... e voi di 'sto particolare da niente non ne avete manco accennato... fate dichiarazioni a tutta la stampa e, se non mi sbaglio, addirittura al telegiornale, di questo tenore: "naturalmente" degli interrogatori fatti all'anarchico non esiste nessun verbale, non s'è fatto in tempo... e dopo un pò: miracolo, ne saltano fuori addirittura due o tre di verbali... e firmati da lui... di suo pugno, da vivo! Ma se un indiziato si contraddicesse una metà di come vi siete impapocchiati voi, l'avreste come minimo accoppato! Sapete cosa pensa a 'sto punto di voi la gente? Che siete dei gran cacciaballe... oltre che dei biricchini... ma chi volete che vi creda più ormai, oltre il Giudice archiviatore naturalmente. E sapete la ragione principale del perché la gente non vi crede?... perché la vostra versione dai fatti oltre che strampalata, manca di umanità... di calore umano... nessuno dimentica la risposta sgarbata e insolente data da lei commissario alla povera vedova dell'anarchico che le chiedeva perché non l'avessero avvisata della morte del marito. Non c'è mai un momento di commozione... nessuno di voi che si lasci mai andare... che sbraghi... magari che rida, pianga... canti!... la gente vi saprebbe perdonare tutte le contraddizioni in cui siete caduti a pié sospinto... ma se, in cambio, dietro a questi impacci, riuscisse ad intravedere un cuore... due "uomini umani" che si lasciano afferrare alla gola dalla commozione e, ancorché poliziotti, cantano con l'anarchico la sua canzone... pur di fargli piacere... "nostra patria è il mondo intero"... chi non scoppierebbe in lacrime... chi non urlerebbe i vostri nomi festanti ascoltando una simile storia! Vi prego! Per il vostro bene... perché l'inchiesta vada in vostro favore... Cantate!
(comincia a cantare sottovoce ammiccando ai poliziotti che impacciati uno dopo l'altro accennano a cantare con lui).
"Raminghi per le terre e per i mari
per un'idea lasciamo i nostri cari."
Forza! voce! (li afferra addirittura per le spalle esaltandoli)
"Nostra patria è il mondo intero... voce per dio!
nostra legge è la libertà ed un pensiero
ed un pensiero... nostra patria è il mondo intero..."
(lentamente, sul coro a voce piena, scende il buio).

Verba volant (310): lingua...

Lingua, sost. f.

La gatta frettolosa fece i gattini ciechi. E spesso scrive post stupidi. In questo errore ci siamo incappati un po' tutti noi che, per lavoro e per diletto, scriviamo in rete. Certo anche i monaci amanuensi copiavano notizie sbagliate e le diffondevano, inconsapevoli dell'errore, ma a noi basta un clic per condividere una notizia non corretta, sbagliata o addirittura falsa. E troppo spesso, a differenza di quei bravi fraticelli, ci facciamo prendere dall'entusiasmo o dall'indignazione e così scriviamo i nostri commenti, senza molto costrutto.
Tanti italiani, da nord a sud, in questi giorni si sono fieramente scandalizzati perché alcune scuole per stranieri in Gran Bretagna hanno chiesto ai nostri connazionali se siano italiani, napoletani o siciliani. Immagino che siano gli stessi italiani del nord che sono cresciuti sentendo i loro genitori chiamare marocchini le persone emigrate dal Mezzogiorno nelle città del nord, che hanno chiamato vu cumprà i primi stranieri che si vedevano sulle nostre spiagge e lungo le strade delle nostre città - e che allora pensavano fossero un fenomeno folkloristico destinato a scomparire - e che adesso insegnano ai loro figli a usare la parola extracomunitario come fosse un insulto.
Se siete curiosi fate un piccolo giro tra gli articoli dei principali quotidiani on line del nostro paese che raccontano la notizia e vedrete quasi sempre la stessa immagine, ossia lo foto di un menù a tendina nel quale si vedono queste opzioni: Italian, Italian (Any Other), Italian (Napolitan), Italian (Sicilian), e soprattutto leggerete la stessa notizia, ossia che gli studenti italiani in Gran Bretagna sono discriminatisu base etnica. E anche i commenti ovviamente sono quasi identici, qualcuno punta un po' più sul sarcasmo - il giornalista della Stampa dice che mancano soltanto il ritratto del Padrino e gli spaghetti - altri, come ad esempio Il Giornale, calcano i toni, tutti parlano apertamente di discriminazioni, schedature, classificazioni etniche. E proprio da qui è partita la polemica che ha coinvolto il governo italiano, l'ambasciatore a Londra e quindi il Foreign Office. L'incidente diplomatico è stato chiuso con le scuse inglesi, ma francamente si è svolto tutto troppo in fretta e i gattini non hanno potuto vedere nulla.
Con un po' più di tempo - e meno sottovalutazione - chi ha divulgato la notizia avrebbe potuto capire che il tema non è la provenienza etnica, ma la lingua parlata dalle persone che avrebbero dovuto compilare quel questionario, peraltro anonimo e non obbligatorio. Tanto è vero che tra le varie voci previste dal menù c'è anche Sardinian - e non Italian (Sardinian) - perché gli inglesi sanno benissimo che la Sardegna si trova in Italia, ma sanno anche che il sardo è riconosciuto come una vera e propria lingua, distinto dall'italiano. In sostanza allo studente non si chiede se venga da Napoli o da Milano, ma quale sia la prima lingua parlata nella sua famiglia. E chi ha qualche conoscenza dei fenomeni legati all'emigrazione sa che spesso nelle famiglie si tende a parlare, oltre alla lingua del paese che ci ospita, il proprio dialetto, anche perché - anche questo è noto - ci si raggruppa per comunità. Non è infrequente che un immigrato di seconda generazione parli correntemente l'inglese e il suo dialetto, ma abbia difficoltà con l'italiano. Peraltro anche in Italia siamo ben lontani dal parlare tutti in italiano, visto che lo sentiamo ormai raramente: in televisione ormai vige una sorta di koine romanesca zeppa di termini inglesi e sui giornali è molto scarsa l'attenzione a come si scrive.
Per evitare la polemica sarebbe bastato tradurre bene, ossia Lingua italiana, Lingua italiana (qualsiasi altra), Lingua italiana (napoletana), Lingua italiana (siciliana). Certo in questo modo sarebbe stato più difficile indignarsi, tirare in ballo la Brexit, l'orgoglio offeso delle genti italiche tutte, e meridionali in particolare. Anzi non ci sarebbe stata neppure una notizia, perché effettivamente questa non è una notizia. E neppure di stretta attualità, visto che questa classificazione viene usata negli uffici pubblici della Gran Bretagna dal 2004, ben prima della Brexit. E sarebbe stato utile far notare che in quella stessa classificazione agli studenti nati nella Gran Bretagna si chiede se parlino gaelico, gallese, scozzese o la lingua della Cornovaglia.
Quelli che hanno preparato quel questionario dimostrano più conoscenza - e forse più rispetto - per il nostro paese di quanta noi ne abbiamo per noi stessi, per non parlare della scarsa conoscenza e del pochissimo rispetto che abbiamo per gli altri. Perché effettivamente il nostro è un paese complesso e molto vario, non solo per quel che riguarda le lingue che qui si parlano. E forse sarebbe utile che anche noi cominciassimo a renderci conto che non è proprio la stessa cosa essere nati ad Algeri o ad Addis Abeba, mentre noi li chiamiamo genericamente africani - quando non neri - che essere nati ad Aleppo è diverso che essere nati a Mosul, che la Cina è un paese immenso, perfino più grande della Lombardia, e che forse c'è più differenza tra due cinesi - che pensiamo siano tutti uguali - che tra uno di Bergamo e uno di Verona, che pure militano in due Leghe diverse e contrapposte. Forse anche noi, a partire dal barocco legislativo con cui scriviamo le leggi e redigiamo i moduli, dovremmo pensare che chi deve compilare quei moduli nella propria famiglia parla cinese o pachistano o albanese o siciliano.
Forse basterebbe che pensassimo un po' prima di dare aria alla lingua. E alla tastiera.


venerdì 14 ottobre 2016

Verba volant (309): concorso...

Concorso, sost. m.

Curiose coincidenze. Alcune settimane fa Raffaele Cantone, instancabile fustigatore dei vizi italici, ha fatto sentire la sua voce, sempre teatralmente indignata, contro i metodi non sempre limpidi con cui vengono scelti i professori nelle università del nostro paese. Ammetto che anch'io, in un primo momento, avevo pensato si trattasse del consueto intervento di questo personaggio, che non perde occasione per pontificare su ogni cosa, dimenticando di essere quello che teoricamente dovrebbe fermare la corruzione in Italia, evidentemente con scarso successo. Poi ho capito che questo zelante funzionario renziano aveva un obiettivo e che queste frasi contro i professori universitari non erano dal sen fuggite. Anche sui giornali inaspettatamente si parla di università, un tema che solitamente riscuote molto meno interesse del Grande fratello vip. Su Repubblica da qualche tempo è diventata una sorta di rubrica fissa l'esaltazione di nostri giovani connazionali diventati professori in qualche prestigiosa università straniera, costretti a lasciare i nostri atenei perché troppo bravi o troppo poco capaci a prostituirsi al barone di turno. Sul giornale di Confindustria è stata pubblicata un'indagine molto interessante: in Italia l'età media dei professori ordinari è 59,6, la più alta di tutte le professioni prese in esame, e la percentuale di donne è del 21,6%, la più bassa di tutto il pubblico impiego. Anche in questo caso sono bravi i giornali a denunciare questi fatti: ma evidentemente l'obiettivo di questi gazzettieri di regime è un altro.
Se i professori universitari sono per lo più maschi anziani, il cui sistema di reclutamento è la cooptazione c'è un problema: si tratta con tutta evidenza di una situazione molto grave, che mina alla radice lo sviluppo italiano. E quindi ecco pronta la soluzione di renzi, come al solito tagliata con l'accetta. Il governo ha annunciato che saranno assunti cinquecento nuovi professori, premiando ricercatori di eccellenza. Bene, bravo. Questi cinquecento nuovi professori saranno selezionati da commissioni formate da studiosi di prestigio internazionale, sottraendo queste nomine alle beghe delle consorterie italiche. Bene, bravo. I presidenti di queste commissioni saranno scelti direttamente dal presidente del consiglio e il presidente sceglierà gli altri due componenti. Bene, bravo. Un momento: quando cominciano gli applausi è difficile fermarsi, ci si lascia prendere dall'entusiasmo, ma in questo caso è meglio riflettere. Questo significa che il governo controllerà direttamente la nomina di questi nuovi cinquecento professori. In questi giorni il garrulo presidente-segretario dice che se vincerà il NO l'Italia tornerà indietro di 30 anni. Evidentemente il suo obiettivo è più ambizioso: vuole portarla ben più indietro. E' infatti del 1935 il Regio Decreto n. 1071 con cui la scelta dei professori universitari veniva assegnata al governo: francamente quegli anni non mi sembrano un modello a cui tendere.
Il metodo normale per la scelta dei professori deve essere il concorso, ossia una procedura in cui le persone - come spiega l'etimologia - corrono insieme. Naturalmente, come in ogni gara, occorre che le regole siano chiare e che vengano fatte rispettare, che i concorrenti e i giudici non facciano trucchi e soprattutto che tutti siano messi nelle condizioni di gareggiare partendo nello stesso momento e dalla stessa linea. Poi chi è più veloce vincerà. Bene, bravo. E brava, perché per le nostre figlie è sempre più difficile concorrere; e non dovrà più essere così.

giovedì 13 ottobre 2016

"All along the watchtower" di Bob Dylan

"There must be some way out of here,"
said the joker to the thief,
"There's too much confusion,
I can't get no relief.
Businessmen, they drink my wine,
plowmen dig my earth,
none of them along the line
know what any of it is worth."

"No reason to get excited,"
the thief, he kindly spoke,
"There are many here among us
who feel that life is but a joke.
But you and I, we've been through that,
and this is not our fate,
so let us not talk falsely now,
the hour is getting late."

All along the watchtower,
princes kept the view
while all the women came and went,
barefoot servants, too.
Outside in the distance
a wildcat did growl,
two riders were approaching,
the wind began to howl.


"Dev'esserci una via d'uscita", / disse il giullare al ladro, / "C'è troppa confusione, / non riesco a trovare sollievo. / Uomini d'affari bevono il mio vino, / contadini scavano la mia terra, / nessuno di loro lungo il confine / sa quale sia il valore di ciò".

"Non c'è motivo di allarmarsi", / disse il ladro gentilmente / "Ci sono molti qui tra di noi / che pensano che la vita sia solo un gioco. / Ma tu ed io sappiamo tutto ciò / e non è questo il nostro destino, / perciò, basta parlare in maniera falsa adesso, / l'ora è tarda."

Lungo le torri di guardia, / prìncipi osservavano l'orizzonte / mentre tutte le donne andavano e venivano / anche i servitori scalzi. / Fuori, in lontananza, / un puma ringhiò, / due cavalieri si stavano avvicinando, / il vento cominciò ad ululare.

da "Mistero buffo" di Dario Fo

La nascita del giullare

- Ahh... gent... vegnì chì che gh'è '1 giular! Giular ca son mi... che fa i salt e ca '1 tràmbula e che... h... oh... a u fai rider, ca foi coi alt e fai vedar com'a sont groli e grosi i balon che vai d'intorna a far guere son sfigürat, o trai via el pileo e... pffs... soi sengobrà. Vegnì chì ca è ora e lögu ca'l fa '1 pajasso tütt inturna, mi a v'insegni, vegna... vegna... Ul fa el saltin, ul fa el cantin, ul fa i giüghetti! Va' la lengua 'me la gira! Ah... ah... a l'è un cultell... boja sta' a recurdat... Ma mi no a l'era sempar... quest ca voi contar, come sunt nasüo. Che mi non son nasüo giular, non son vegnù d'un fiat dal zielo, e, op! e son rivà chi: «Bondì, bonasera». No! Mi a son el frai d'on miracol! Un miracol es fait sü d' me! Vuri' credem? U l'è fait! Mi son nasüt vilan. Vilan, cuntaden propi. U s'eri tristo, alegro, no g'avevi tera, no! U s'eri rivado a 'ndà a lavurar, paréi a tüti in de sti vaj, da partütt. E un zorno u jtat vesen 'na untagna, ma de piera. U l'era de nissün, u l'hai saüdo. U dimandat: «No! Nissün veul sta muntagna!» E mi sunt andai fin su... sun 'dait raspà cuj ung e hu vist che gh'era un po' de tera, e hu vist che gh'era un filolin di aqua co l'andeva da giò de basso, e alora hu scuminsà a gratare. Son andai a tacat al fiüm, hu sbrancat inscì ste brasce, hu te portat la tera, u gh'era i me fjulit, la mia mujer. U l'è dolza la mia mujer, bianca c'u l'è, u l'ha dü zine tunde, e l'andar morbido cu l'hai... cu la par 'na giunca ca meuvasse. Oh... l'è bela! A'g voj ben mi, e voj parlarne. La tera u purtà su coi brasci! e l'erba, che fasevet: pfut... e te vegneva sü tütu, E dài ca l'era belo, l'era tera d'ora! U ciapeva la sapa, u te la meteva e... zu... te nasseva un arbero. Meravegia, u l'era sta tera: u l'era un meracol! U andava piopi, u andava tüti i arbori, a roveri, andava da pertütu. I andava a semenar 'n la lüna giüsta, mi cunusseva! E vegniva roba de magnar dulza, bela, bona. Ugh'era zicurìn, u gh'era crodi, u gh'era fazoj, rave, u gh'era tüto! Par mi, par nüm. O era cuntentu! O se balava, e pö el piueva sempar par di dì e ol sol el brüsava e mi andava, vegniva, e i lüne ereno giüsti, ne gh'era gi mai tropo vento o tropa gruma. U l'era bel! bel! U l'era tera nostra! Bela u l'era, stu gradùn. E ogni dì, u ne fazeva üni... la pareva la torre de Babele... bela cun sti gradi, u l'era ol paradis, ol paradis terestre. Ol giüri. E tüti i pasava i cuntaden e i diseva: - Che cü ca ghet... boja, varda! Da na muntagna u l'ha tirà feura!... Me disgrassià ca nun hai pensat! E invidia i g'aveva e un die l'è pasat ul padron. Ul padron de tüta la vale, u la vardà e l'ha dit: - Du' l'è ca l'è nassüda sta torre? De chi l'è sta tera? - Me, - a g'ho dit, - a l'ho faja me con sti mani, u l'era de nissün. - De nissün? L'è na parola ca nu gh'è, nissun, a l'è la mea. - No! nun è la tua! A sunt anda anca in dal nutar, varda, nu gh'era. U dumandà al prevete, u l'era de nissün e mi l'ho faita, toco par toco. - L'è mea, te me l'hai a darme. - Non poit dar, padron... mi no poi andà sota i altri a trabajar. - Mi t'hai paghi! at do denar, dime quanto vo'. - No! No, non voj denar, no, parché, s' te me dài denar, dopo a no podo comprar altra tera col dinar che te me dài e devo andar a lavorar, a trabajar ancora soto i altri. Non vòi me, no vòi! - Damela! - No! Alura lü l'ha fait una rigulada e l'è 'ndai. El dì appresso a l'è vegnü el prevete a dumandar. - L'è del padrun... fa' el bravo, mola, nun te stai a far de caprissi, varda che quelo l'è tremendo, l'è cativu, mola sta tera! In Deo Domini fa' el bun... - No! no! - g'ho di', - no voi, - e g'ho fà anca un brüt muviment cun la man. A l'è vegnü el nodaro, u l'è vegnü anca lü, ul südava, boja, par vegnì sü a truarme: - Fa' el bravo, gh'è la lege, sta' atento che ti nun ti pode, che ti no... - No! No! - e g'ho fai anca a lü... u l'è andà via biastemando. Ul padron non l'ha mia molà, no! U l'ha cominzà andà a cacia, ul faseva pasà tüti i léguri da la parte de la mia tera! El 'ndava a dre con tüti i cavali e i amisi e '1 me schisciava i sciesi. E in un dì sulamente el m'ha brüsat tüt... u l'era estat... u l'era secat. E lü l'ha dait feug a tüta la muntagna e '1 m'ha brüsà tüt, anca i besti brüsà, la ca' brüsada, ma nun sunt andaj via! Hu aspeciat... e l'è vegnü a pieuver de note, e apreso hu scumensà a netar, a polir, a rimpiantar pal, a remeter roba, repurtar la tera, a sestemar le piere, a fà gnir giò l'acqua dapartüt, perché de lì, boja, no me voj movar! E no me son movüdo! Solo che un di a l'è rivado lü, g'aveva a pres tüti i so suldat; ul rideva, nüm erum nei campi cui fiulit, la mia mujera e mi; s'erum a lavurar, a trabajar, lì. U l'è vegnü, l'è descendü da cavalo, ul s'è cavà le braghe, u l'è vegnü tacat a la mia mujer, u l'hai catada, u l'hai sbatüda par tera, e g'ha strasciat i sochi... Mi a vureva meuves, ma i me tegneva i suldat, e '1 g'ha salta' a dos, u l'ha faita, u l'ha faita cume füdess una vaca. Ca mi e i fiulit cui ögi sbarat, che i vardava e mi a me mueva, me sunt liberat, hu catait 'na sapa, hu dit: - Disgrassià! - Férmat, - m'ha dit me' mujer, - nol fa', no i specian oltre, i specian propi quelo, che te valset el to baston, par pö coparte. No te hai capit? I veur coparte e trar via la tera, no i specia altri, lü el debia pür difenderse, no valse meterse a sbragar con loro. Ca ti no t'hait onore, ti set povero, set contadin, vilan, non puoi pensar dignitat, onore, quela è roba par quei che inn sciuri! ai nobli! Che pö vegn a inrabirse se ghe fan la tosa, se ghe fan la dona, la mujer, ma ti no! Lassa far. Valse pi tera che l'onor de ti, de mi, che tüti. Manza son mi, manza per amor de ti. E mi, a splanger. Caragnà in sü st'afari, l'hu vardà tüt, e i fiulit che piagneva... E lori peu i son andà rigulando content feuravia... u l'era un planger tremendo! Num se pudeva vardarse a presso vün cu l'alter, nun se vardava... s'andava per i paes, u te ciapaven a buciade, a sasade, a piere. Vusaven: - Oh... beu...! No g'hai la forza de far feura onor che nu te g'hai, bestia che te set, la tua mujera a l'ha incalcada el padron e ti te se' stait tranquilo par un mücc de tera, desgrasiò! E la mia mujer l'andava inturna: - Pütana, vaca! - u ghe disevan, e i scarpavan. Nanca in giesa la lassaven pasar. Nissün! E i fiulit no i podeva 'ndare intorna, tüti eremo lì e no ghe guardava pü nissün. La mia mujer a l'è scapada! Mi l'hai pù vidüa; mi no so indue l'è 'ndada, e i fiulit nu me vardava: maladi son vignit, ne manco i plangeva, E son morti! E mi son restai sol. Sol cun sta tera! Nun saveva cossa che fare. Una sera hu ciapai un toc de corda, hu bütà su una trave, me la son metüda inturna al colo, hu dit: - Bon, me lassi andà, adess! Fo per lassam andà impicatt, u me senti pugià una manada, a me volti, a gh'è vün co 'na facia smorta, cui ogi grosi che '1 me dis: - Me dàj un po' de bevar? - Ma te par el mument de vegnì a dumandà de bevar a vün che fa l'impicatt? Boja! Ul vardi e '1 g'aveva una facia de pover crist anca lü e vardi e ghe n'era altri doi, anca lor con una facia patida. - Va ben, ve darò da bevar, dopo me impichi. A vo' a teu par bevar, i vardi ben: - Pü che bevar, vialtri avì besogn de magnar! Ma mi l'è tanti dì che nun fai de magnare... U gh'è de farlo, se vurì. Hu ciapat un baslot, hu metüd in sul feug, a g'ho fait scaldare de le fave, e gh'i ho dai, un baslot per ün, e i magnava! I magnava! Mi no g'aveva voia de magnar... «Speci che adess i magna e peu me impichi». E intanto ch'el magnava, quel cui ög plù grandi che'l pareva propi un pover crist ul surideva e ul diseva: - Brüta storia l'è ti che te vöret impicass! Mi so ben ul perché t'ol vòi fare. T'è perdü tüt, la mujera, i fiulit e te g'ha sojament una tera, bon, mi savie ben! Se füsse in ti no lo vorria fare. E '1 magnava! E 'l magnava! E peu a la fin l'ha metüd giò tüt e l'ha dit: - Ti sai chi son me? - No! Ma g'ho avüt un dübi che ti te set Jesus Cristo, - Bon! T'è induinat. Quest l'è Pietro, e'1 Marco l'è quel là, - Piazer. E cussa fait qua? - Ti te m'hait dait de magnar e mi te do de parlare. - De parlare? Cussa l'è sta roba? - Disgrassià, giüsta che t'hai tegnit la tera, giüsta che non te vòi de padron, giüsta che t'hai üt la forsa de no molar, giüsta… At voi ben, aite forte, bon! ma t' manca un qui cos che t'ha d'aver: qua e qua! (fa segno alla fronte e alla bocca). No star lì atchì in sü la tera, vai d'intorna e a quei che te tira piere, ti parla e dighe, faig comprender, e fai de manera che sta vesciga sgiunfiada ca l'è ol to padron, ti sbüsa cun la tua lengua e fa' andar feura l'acqua e ul sier ca vegn feura a sbrodar marscio. Ti devi schisciare sti padrun, e i previti e tüti quei che va inturna, i nodari, i avogador, quei che va d'intorna. No par ben de ti, par la tua tera, ma par quei che è come ti, ca non han tera e che non han gnente e che han de soffregare sojamente, e che non han dignità da vantare. Campar de servelo, e no de pie! - Ma noi comprende? Mi non son capaze. Mi g'ho 'na lengua che non se move de rentra, embiscigo de par tüto e intopigo a ogni parlar... e no g'ho de stil e g'ho el servelo che u l'è fioco, molo! Come fabia a far le robe che te diset, andà intorna a parlar co i altri? - No arpanza, che ol miracol 'gne adess. Ul m'ha catat per la crapa, ul m'ha catat visin e peu '1 m'ha dit: - Jesus Cristo a soi mi che t' vegna a ti a dat parlar. E sta lengua u la beuciarà e 'ndrà a schisciar 'me 'na lama da partüto vescighe a far sbrogare, a da' contra i padroni e li far schisciare parché i altri i capissa, parché i altri imprenda e parché i altri i poda rigolar. Che no è che col ridare ch'ol padron ul s' fa sbragare, che se i ride contra i padron, ol padron, da montagna ca l'è dijen colina e peu niente ca se move, Tegne! A t' do un baso che at farà parlare. E’l m'ha basao sü la. boca, lungo el m'ha basao. E de bot ho sentit la lengua ca sbissava da partüto, e un zervei c'al se mueva, e tüti i jambi che s'andava in dar par lori, e sunt andà in mess a la piassa del paes a vusà: - Gnìììl Zente! Vegnì chì! Giulare'. Ai fao giugar, giostrare col padron, vesciga granda o l'è e mi de lengua i vo' sbüsare! E ve raconto de tüto, come '1 vien, come '1 vaga e come el Deo nu l'è quelo che '1 roba! È '1 rubar che pregne e i legi süi libri che son lor... parlare, parlare. Ehi gente! Ol padron se va a schisciare! Schisciare! O l'è de schisciare!...

- Oh, gente, venite qui che c'è il giullare! Giullare son io, che salta e piroetta e che vi fa ridere, che prende in giro i potenti e vi fa vedere come sono tronfi e gonfi i palloni che vanno in giro a far guerre dove noi siamo gli scannati, e ve li faccio sfigurare, gli tolgo il tappo e... pfis... si sgonfiano. Venite qui che è l'ora e il luogo che io faccia da pagliaccio, che vi insegni. Faccio il saltino, faccio la cantatina, faccio i giochetti! Guarda la lingua come gira! Sembra un coltello, cerca di ricordartelo. Ma io non sono stato sempre... e questo che vi voglio raccontare, come sono nato. Non che io non sono nato giullare, non sono venuto con un soffio dal cielo e, op! sono arrivato qui: «Buongiorno, buonasera». No! Io sono il frutto di un miracolo! Un miracolo che è stato fatto su di me! Volete credermi? È cosi! Io sono nato villano. Villano, contadino proprio. Ero triste, allegro, non avevo terra, no! Ero arrivato a lavorare, come tutti in queste valli, dappertutto. E un giorno sono andato vicino a una montagna, ma di pietra. Non era di nessuno: io l'ho saputo. Ho chiesto: «No! Nessuno vuole questa montagna!» Allora io sono andato fino in cima ho grattato con le unghie e ho visto che c'era un po' di terra, e ho visto che c'era un filino d'acqua che scendeva, e allora ho cominciato a grattare. Sono andato in riva al fiume, ho schiantato queste braccia, ho portato la terra alla montagna, c'erano i miei bambini, mia moglie. È dolce mia moglie, bianca che è, ha due seni tondi, e l'andamento morbido che ha, che sembra una giovenca quando si muove. Oh! è bella! Le voglio bene io e voglio parlarne. La terra ho portato su con le braccia e l'erba cresceva velocemente, faceva: pff... e veniva su di tutto. E dài che era bello, era terra d'oro! Piantavo la zappa e... pff... nasceva un albero. Meraviglia era, quella terra! Era un miracolo! C'erano pioppi, roveri e alberi dappertutto. Li seminavo con la luna giusta, io conoscevo, e cresceva roba da mangiare, dolce, bella, buona. C'era cicorino, cardi, fagioli, rape, c'era di tutto. Per me, per noi! Oh, ero contento! Si ballava, e poi pioveva sempre per dei giorni e il sole scottava e io andavo, venivo, le lune erano giuste e non c'era mai troppo vento o troppa nebbia. Era bello! bello! Era terra nostra. Bello era questo gradinone. Ogni giorno ne facevo uno, sembrava la torre di Babele, bella con queste terrazze. Era il paradiso, il paradiso terrestre! Lo giuro. E tutti i contadini passando dicevano: - Che culo che hai, boia, guarda: da una pietraia l'hai tirata fuori! Me disgraziato che non l'ho pensato! E avevano invidia. Un giorno è passato il padrone di tutta la valle, ha guardato e ha detto: - Da dove è nata questa torre? Di chi è questa terra? - Mia, - gli ho detto, - l'ho fatta io con queste mani, non era di nessuno. - Nessuno? È una parola che non c'è, nessuno, è mia! - No! non è la tua! Sono andato anche dal notaio, non era di nessuno, ho chiesto al prete, era di nessuno e io l'ho fatta, pezzo per pezzo. - È mia, e tu me l'hai a dare. - Non posso dartela, padrone... io non posso andare sotto gli altri a lavorare. - Io te la pago! Ti do denaro, dimmi quanto vuoi. - No! No, non voglio denaro, perché, se mi dai i soldi, poi non posso comprare altra terra coi soldi che mi dai e devo andare ancora a lavorare sotto agli altri. Non voglio io, non voglio! - Dammela! - No! Allora lui ha fatto una risata ed è andato. Il giorno appresso è venuto il prete a domandare. - È del padrone... fai il bravo, molla, non fare i capricci, guarda che quello è tremendo, è cattivo, molla questa terra. In Deo Domino fai il bravo! - No! No! - gli ho detto, - non voglio, - e gli ho fatto anche un brutto gesto con la mano. È venuto il notaio, è arrivato anche lui, sudava, boia, per venire su a trovarmi. - Fai il bravo, c'è la legge, stai attento che non puoi, che tu non... - No! No! - e ho fatto anche a lui un brutto gesto con la mano, è andato via bestemmiando. Il padrone non ha mollato, no! Ha cominciato ad andare a caccia, faceva passare tutte le lepri dalla parte della mia terra! Andava continuamente avanti e indietro con i cavalli e gli amici a schiacciarmi le siepi. E un giorno mi ha bruciato tutto... Era estate... era seccato. Lui ha dato fuoco a tutta la montagna e mi ha bruciato tutto, anche le bestie bruciate, la casa bruciata, ma non sono andato via! Ho aspettato... è cominciato a piovere la notte, e dopo la pioggia ho cominciato a pulire, a ripiantare pali, a sistemare pietre, a riportare terra, a far scendere acqua dappertutto, perché di lì, boia, non mi voglio muovere! E non mi sono mosso! Solo che un giorno è arrivato lui, aveva appresso tutti i suoi soldati e rideva, noi eravamo nei campi coi bambini, mia moglie e io stavamo lavorando. È venuto, è sceso da cavallo, si è tolto i calzoni, è venuto vicino a mia moglie, l'ha presa, l'ha buttata per terra, le ha strappato le gonne... Io volevo muovermi, ma i soldati mi tenevano, e lui le è saltato addosso, l'ha fatta come fosse una vacca. Che io e i bambini con gli occhi sbarrati, che guardavano, e io mi muovevo, con uno strattone mi sono liberato, ho preso una zappa e ho detto: - Disgraziati! - Fermati, - mi ha detto mia moglie, - non lo fare, non aspettano altro, aspettano proprio questo: che tu alzi il tuo bastone, per poi ammazzarti. Non hai capito? Vogliono ammazzarti e portarti via la terra, non aspettano altro, lui deve pur difendersi, non vale mettersi contro di loro, che tu non hai onore, tu sei povero, sei contadino, villano, non puoi pensare a onore e dignità, quella è roba per i signori, i nobili! Che poi si arrabbiano se gli fanno la figlia, se gli fanno la donna, la moglie, ma tu no! Lascia fare. Vale più la terra che l'onore di te, di me, più di tutto. Manza sono io, manza per amore di te. E io a piangere... piangere su questo affare, ho guardato tutto e i bambini che piangevano. E loro, col padrone, di colpo sono andati via ridendo contenti, soddisfatti. Era un piangere tremendo il nostro! Non riuscivamo a guardarci in viso l'un l'altro. S'andava in paese, ti prendevano a sassate, a pietre. Gridavano: - Oh bue! che non hai la forza di difendere il tuo onore perché non ne hai, bestia che sei, tua moglie l'ha montata il padrone e tu sei stato tranquillo per un mucchio di terra, disgraziato! E mia moglie andava in giro: - Puttana, vacca! - le dicevano e scappavano. Neanche in chiesa la lasciavano entrare. Nessuno! I bambini non potevano andare in giro, tutti erano li, e non ci guardava più nessuno. Mia moglie è scappata! Io non l'ho più vista; io non so dove è andata. I bambini non mi guardano: sono venuti ammalati e manco piangevano. Sono morti! Io sono rimasto solo. Solo con questa terra! Non sapevo cosa fare. Una sera ho preso un pezzo di corda l'ho buttato su una trave, me la sono messa intorno al collo, ho detto: - Bene, mi lascio andare, adesso! Faccio per lasciarmi andare, impiccato, quando mi sento battere una mano sulla spalla, mi volto, c'è uno con una faccia pallida, con gli occhi grandi che mi dice; - Mi dai un po' da bere? - Ma ti sembra il momento di venire a chiedere da bere a uno che si sta impiccando? Boia! Lo guardo e vedo che ci aveva una faccia da povero cristo anche lui, poi guardo e vedo che ce n'erano altri due, anche loro con una faccia patita. - Va bene, vi darò da bere e poi mi impicco. Vado a prendere da bere, li guardo bene: - Più che bere voialtri avete bisogno di mangiare! Ma io sono tanti giorni che non faccio da mangiare... C'è da farlo, se volete. Ho preso un tegame e ho messo sul fuoco a scaldare delle fave e gliel'ho date, una ciotola ciascuno, e mangiavano, mangiavano! Io non avevo voglia di mangiare... «Aspetto che mangino e poi mi impicco», E intanto che mangiava, quello con gli occhi più grandi, che sembrava proprio un povero cristo, sorrideva e diceva: - Brutta storia questa che vuoi impiccarti! Io so bene perché lo vuoi fare. Hai perso tutto, la moglie, i bambini e ti è rimasta solo la terra, bene, io so bene! Se fossi in te non lo farei. E mangiava! mangiava! Poi alla fine ha appoggiato tutto e ha detto: - Tu sai chi sono io? - No, ma ho avuto il dubbio che tu sei Gesù Cristo. - Bene! Hai indovinato. Questo è Pietro, e il Marco è quello là. - Piacere. E cosa fate qua? - Tu mi hai dato da mangiare e io ti do da parlare. - Da parlare? Cos'è questa cosa? - Disgraziato! Giusto che hai tenuto la terra, giusto che non vuoi padroni, giusto che hai avuto la forza di non mollare, giusto... Ti voglio bene, sei forte, buono! Ma ti manca qualche cosa che è giusto che tu devi avere: qua e qua (fa segno alla fronte e alla bocca). Non rimanere qui attaccato a questa terra, vai in giro e a quelli che ti tirano le pietre digli, fagli comprendere, e fai in modo che questa vescica gonfia che è il padrone tu la buchi con la lingua, e fai uscire il siero e l'acqua a sbrodolare marcio. Tu devi schiacciare questi padroni e i preti e tutti quelli che gli stanno intorno: i notai, gli avvocati, eccetera. Non per il bene tuo, per la tua terra, ma per quelli come te che non hanno terra, che non hanno niente e che devono soffrire solamente e che non hanno dignità da vantare. Insegna loro a campare di cervello e non di piedi ! - Ma non capisci? Io non sono capace, io ho una lingua che non si muove dentro la bocca, mi intoppo ad ogni parola e non ho dottrina e ho il cervello fiacco e molle. Come faccio a fare le cose che tu dici, e andare in giro a parlare con gli altri? - Non preoccuparti che il miracolo viene adesso. Mi ha preso per la testa, mi ha tirato vicino e poi mi ha detto: - Gesù Cristo sono io, che vengo a te a darti la parola. E questa lingua bucherà e andrà a schiacciare come una lama vesciche dappertutto e a dar contro ai padroni, e schiacciarli, perché gli altri capiscano, perché gli altri apprendano, perché gli altri possano sfotterli. Che non è che col ridere che il padrone si fa sbracare, che se si ride contro i padroni, il padrone da montagna che è diviene collina, e poi più niente. Tieni! Ti do un bacio che ti farà parlare. Mi ha baciato sulla bocca, a lungo mi ha baciato, E di colpo ho sentito la lingua che guizzava dappertutto, e il cervello che si muoveva e tutte le gambe che andavano da sole, e sono andato in mezzo alla piazza del paese a gridare: - Venite gente! Venite qui! C'è qui il giullare! Vi faccio far satira, giostrare col padrone, che vescica grande è e io con la lingua la voglio bucare. E vi racconto di tutto, come viene e come va, e come Dio non è quello che ruba! È il rubare impunito e le leggi sui libri che sono loro... parlare, parlare. Ehi gente! Il padrone si va a schiacciare! Schiacciare! È da schiacciare!..

domenica 2 ottobre 2016

Verba volant (308): genere...

Genere, sost. m.

Sarebbe indubbiamente più di moda che questa definizione fosse dedicata alla parola gender - avrei certamente più lettori - ma visto che in italiano esiste un termine che ha proprio lo stesso significato, mi pare stupido usare l'inglese.
Una tranquilla giornata di vacanza. Zaira ed io siamo seduti sul battello che ci riporta a Cannobio, nei posti a prua per ammirare il panorama del lago. Si siede accanto a noi una mamma, ci saluta: già intuiamo che non è italiana. C'è con lei suo figlio, avrà circa quattro anni, lo tiene sulle ginocchia e visto che il bambino tende ad agitarsi - a quell'età in genere non apprezzi il panorama - la mamma tira fuori dalla borsa un libricino cartonato, che il bambino comincia a sfogliare - evidentemente è qualcosa che conosce e gli piace -  e si tranquillizza: sono proprio stranieri. Butto un occhio alle illustrazioni del libro: è qualcosa del tipo "cosa fare da grande", i "libri dei mestieri", ma non si tratta dei consueti lavori: il pompiere, l'astronauta o il cowboy - peraltro nessuno dei miei compagni delle elementari, nonostante le nostre letture di allora, oggi fa l'astronauta o il cowboy. Il libro racconta di un bambino che studia danza classica e infatti nell'ultimo disegno ci sono un gruppo di piccoletti, maschi e femmine, in calzamaglia, che fanno gli esercizi alla sbarra. Sono alieni.
A questo punto Giovanardi si sarebbe già buttato a mare o meglio avrebbe buttato a mare quella madre sciagurata, Francesco avrebbe tirato fuori l'acqua benedetta per fare uscire da quel corpo il demone gender che evidentemente vi alberga.
Avrei voluto ringraziare quella mamma straniera. Dal momento che non parlo forestiero, ho ricominciato a guardare il panorama. Francamente non ho ancora capito cosa sia esattamente questa cultura gender di cui dovremmo aver paura, sotto cui sta per crollare l'intero sistema dei valori del mondo occidentale. Non so neppure quali sarebbero questi fantomatici valori occidentali: andare a puttane? picchiare la moglie? fare sesso con i bambini?
Quel libricino è gender? Forse verrebbe vietato in molte scuole, forse i preti vorrebbero bruciarlo in piazza, eppure a me non sembrava così pericoloso. Racconta semplicemente di un bambino che impara a ballare, insieme ai suoi coetanei, femmine e maschi.
Il bambino che ha sfogliato quel libro diventerà un ballerino omosessuale per aver visto quelle figure? Nonostante in casa mia ci fossero diversi libri dedicati allo spazio - un topos per noi bambini cresciuti in famiglie comuniste - non sono diventato un astronauta e probabilmente quel bambino non diventerà un ballerino, ma più probabilmente un impiegato dell'anagrafe di Amburgo o di Rotterdam. E forse non diventerà neppure gay, magari si sposerà e avrà quattro o cinque bambini, proprio come vorrebbero Giovanardi e il papa. Ma forse, anche grazie a quel libricino, imparerà a rispettare i suoi coetanei omosessuali e imparerà a rispettare le donne, perché saprà che non ci sono lavori da maschio e da femmina. O forse quel bambino diventerà uno str...zo come Giovanardi, nonostante quel libro.
Perché non è importante come sei nato, maschio o femmina, ma importano le cose che ti insegniamo e il rispetto per le altre persone è qualcosa che ti dobbiamo insegnare. Oggi facciamo di tutto per non insegnarlo, anzi cerchiamo di insegnarti proprio il contrario: che avrai successo quanto più non rispetterai gli altri, a partire dalle donne e da quelli che ti diranno che sono diversi da te. Ti insegneremo a prendere in giro un maschio che vuole fare danza, ti insegneremo tutta una serie di parole offensive per etichettarlo e tu sarai tronfio del tuo essere "normale", secondo le categorie dettate dalla tua religione, dal tuo partito, dalla tua famiglia. Sinceramente spero riuscirai a resistere allo schifo in cui vorremmo farti vivere e che conserverai quel libricino colorato, che tanti oggi vorrebbero impedirti di leggere.