lunedì 17 ottobre 2022

Verba volant (819): matrimonio...

Matrimonio
, sost. m.

Brian sale veloce le scale della clinica, tenendo in mano il piccolo mazzo di gerbere rosa che ha acquistato pochi minuti prima dalla fioraia all’angolo di Cavendish Square. A Yootha le gerbere sono sempre piaciute. È contento: fino a quella domenica mattina non le hai mai trovate.
L’uomo incrocia lo sguardo dell’infermiera che sta per finire il suo turno. Come al solito, lei gli sorride, ma c’è un velo di tristezza nei suoi occhi. Brian capisce che deve essere stata una notte difficile. Deve esserci stata un’altra crisi. Entra in camera di Yootha: lei dorme ancora, immagina per effetto dei farmaci. Brian scosta le tende, vuole far entrare il sole di quella mattina di fine agosto. Con gesti lenti toglie dal vaso il mazzo di margherite che ha portato il giorno prima, poi cambia l’acqua e sistema con cura le gerbere. Così quando si sveglierà le vedrà subito. Si siede e le accarezza piano la fronte. Ormai è quasi una settimana che passa così le sue giornate, aspettando, insieme a lei.
Ieri pomeriggio sembrava stare un po’ meglio. E hanno ricordato, ancora una volta, di quando si sono conosciuti, quasi vent’anni fa.

Lei era arrivata prima di lui al Theatre Workshop. Era nel cast di Fings Ain’t Wot They Used T’be, sia quando la commedia di Lionel Bart è stata messa in scena al teatro della compagnia, lo Stratford East, a Newham, sia quando è stata portata al West End, al Garrick. Brian aveva visto quello spettacolo proprio nel teatro di Charing Cross. C’era andato con Richard: tutti e due, dopo aver servito a Northwood, sognavano di recitare. Brian aveva notato subito quella giovane attrice, così elegante e con quei lineamenti così particolari. I suoi occhi erano unici. Sono ancora unici. Poi c’era tornato, anche perché la prima volta, lui che era nato e cresciuto nell’isola di Wight, non aveva capito tutte le battute in cockney. E poi voleva rivederla.
Quello spettacolo, diretto da Joan Littlewood, era stato proprio un successo. Debuttare al Garrick: Yootha si era presa una bella rivincita su quelli che dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta. A partire dai suoi genitori. Suo padre cantava - e quello strano nome, che lei da ragazzina detestava, era quello di una ballerina della Nuova Zelanda che era stata in tournée con lui - mentre sua madre suonava il piano. Yootha non sapeva fare né una cosa né l’altra e quindi i suoi pensavano che non sarebbe mai potuta entrare nel mondo dello spettacolo. Ma lei è sempre stata ostinata. Brian aveva ascoltato quella storia mille volte: di quando era entrata alla Rada nel ’44, in classe con Roger Moore, e di quando il regista di Pride and Prejudice le aveva detto che “non aveva nulla da offrire a quella professione”. Ma Joan aveva capito che quella ragazza aveva talento e, cresciuta a Wandsworth, non aveva certo problemi a parlare in cockney.
Poi anche Brian era riuscito a entrare al Theatre Workshop. Avevano recitato insieme per la prima volta in Sparrows Can’t Sing, sia a teatro che nel film, sempre diretti da Joan. Erano diventati subito amici. A Yootha piaceva Brian, la faceva ridere durante le prove. E a Brian piaceva stare con lei, anche se un po’ lo intimoriva. Allora era ancora sposata con Glynn. Ma Brian non avrebbe avuto comunque il coraggio di chiederle di uscire.
Che anni quelli del Workshop. Joan era un vulcano di idee. E pensare che all’inizio lei non voleva proprio fare Oh, What a Lovely War! Detestava la guerra e le uniformi. Ma poi aveva capito che quello era il modo giusto per condannare l’ipocrisia delle classi dirigenti che mandano al macello i popoli solo per salvaguardare i propri interessi. Un musical contro la guerra: uno spettacolo che sarebbe piaciuto a Brecht. Joan aveva accettato, ma non aveva voluto uniformi in scena. Gli attori dovevano indossare vestiti e maschere da Pierrot. Brian interpretava tre ruoli, tutti loro interpretavano molti ruoli, e Joan aveva chiesto a tutti di improvvisare, ciascuno di loro creava i propri personaggi. Allo Stratford East era stato un successo, ma il Lord Ciambellano non voleva dare il benestare per portare lo spettacolo al West End. Se non fosse intervenuta la principessa Margaret, non sarebbero mai arrivati al Wyndham e poi a Broadway: centoventicinque repliche al Broadhurst.
Mentre guarda Yootha che dorme ancora, Brian ricorda bene l’emozione di quando era arrivato a New York. Peccato non aver condiviso quella gioia con lei. Yootha aveva lasciato la compagnia da qualche mese. Lavorava molto in televisione, e un po’ anche al cinema. Nel ’62 aveva debuttato in Brothers in Law, la serie che aveva segnato il successo di Richard Briers, il vecchio amico di Brian, fin dai tempi di Northwood. Yootha poteva fare di tutto: a volte era la “cattiva”, come nelle sue apparizioni in The Saint e The Avengers o nel film della Hammer Fanatic. Eccelleva nelle parti drammatiche - il suo ruolo in The Pumpkin Easter era piccolo, ma memorabile - ma era la commedia il genere in cui dava il meglio: i suoi tratti così definiti erano diventati familiari per il pubblico della BBC. Con Brian non si erano mai persi di vista. Anche lui negli anni Sessanta aveva fatto tanta televisione: in quelle serie erano tanti quelli che venivano dal Theater Workshop. Anche il suo viso stava diventando popolare.
Poi è arrivato Man About the House. Brian Cook e Johnnie Mortimer avevano pensato fin dall’inizio a Brian e Yootha per interpretare i padroni di casa di Chrissy, Jo e Robin. E loro si erano rivelati subito perfetti. E da grandi professionisti, abituati a creare i loro personaggi in scena, avevano contribuito in maniera determinate al successo della sitcom.
Un successo inaspettato: sei serie, dall’agosto del 1973 all’aprile del ’76 e un film. E poi lo spin-off dedicato proprio ai loro due personaggi: cinque serie, dal settembre 1976 al dicembre ’79. Negli Stati Uniti l’ABC aveva prodotto un remake di Man About the House, intitolato Three’s Company. Brian ha visto qualche puntata: pensa che non sia divertente come il loro. E quell’americana non è certo come Yootha. E grazie a quei due personaggi sono anche tornati a recitare insieme a teatro, hanno portato in tournée uno spettacolo basato sulla serie televisiva. Sono diventati una coppia, almeno per il grande pubblico: è ormai impossibile pensare all’uno senza l’altra. Brian da un lato è spaventato, sa che per un attore è un rischio rimanere così intrappolato in un personaggio, ma è anche felice, perché possono continuare a lavorare insieme. Gli sceneggiatori stanno già preparando la sesta serie e nelle prossime feste natalizie uscirà anche il loro film.
Se solo Yootha non stesse così male. Brian è il solo a sapere che da dieci anni è alcolizzata: quasi mezza bottiglia al giorno di brandy. Prima il divorzio, poi alcune relazioni fallite, la paura di rimanere da sola. E poi quell’incredibile successo. All’inizio della carriera e poi per tutti gli anni Sessanta Yootha pensava che ogni scrittura fosse l’ultima, che ogni ciak fosse l’ultimo. Poi era diventata Mildred e tutti sembravano essersi dimenticati che lei era Yootha. Era contenta di essere andata poche settimane prima ospite del programma televisivo di Max Bygraves. Certo aveva scambiato alcune battute con lui come fosse Mildred, perché era questo che il pubblico voleva, ma aveva anche cantato una vecchia canzone degli anni Trenta, For All We Know We May Never Meet Again.

Brian nota che la fronte si sta imperlando di sudore. La tocca: è gelata. Yootha sembra svegliarsi: guarda le gerbere. Richiude gli occhi e stringe la mano di Brian, sussurrando: "Thanks, George".

mercoledì 12 ottobre 2022

Verba volant (818): anomalia...

Anomalia
, sost. f.

Per noi reduci del Novecento, il giorno, ormai imminente, in cui si insidierà il governo guidato da Giorgia Meloni avrà un indubbio significato simbolico: potremo ricordare quella data come la fine della “prima Repubblica”. Ovviamente, come sempre avviene in questi casi, si tratta di una scelta arbitraria. Allo stesso modo l’Impero romano d’occidente è finito ben prima del 4 settembre 476, il giorno della morte del povero Romolo Augustolo. La “prima Repubblica” è cominciata a morire all’inizio degli anni Novanta, più o meno trent’anni fa: indubbiamente è stata una lunga e dolorosa agonia.
Meloni è giovane, molto giovane. Ma non abbastanza: ha fatto in tempo a militare nel Msi, seppur nella sua fase terminale, ossia in un partito che affonda le proprie radici nella storia della nostra Repubblica. Ma il Movimento Sociale non è mai stato un partito come gli altri, perché era la formazione politica di quelli che avevano perso la Guerra di Liberazione, era il partito fascista in un paese costituzionalmente antifascista. Naturalmente il Movimento Sociale aveva un proprio ruolo ben definito nella vita parlamentare e politica del paese, era un interlocutore istituzionale, anche se per lo più si preferiva tacere questi contatti, ma non poteva entrare al governo, proprio perché rappresentava un’anomalia: i missini erano fuori dal cosiddetto “arco costituzionale”, come si definivano i partiti, tutti gli altri partiti, protagonisti di quella stagione politica.
Nell’agonia della “prima Repubblica”, persone che hanno militato nel Msi sono già entrate nel governo, ma indubbiamente il fatto che il - o meglio la - Presidente del Consiglio sia una di loro indica che quel tempo è ormai concluso. Per sempre. Ed è a suo modo ironico che a dover dare l’incarico a una ragazza che ha cominciato a fare politica contro la riforma Jervolino e nel “fortino” di Colle Oppio, sia un vecchio notabile democristiano, quel galantuomo di Mattarella, che rappresenta, anche antropologicamente, quel mondo ormai perduto.
Al di là di questo dato, che per noi che c’eravamo ha un’indubbia rilevanza politica - e, a suo modo, sentimentale - non voglio dare a questo fatto altri significati. Ed evitiamo spericolati paragoni con quello che è avvenuto in questo Paese nell’ottobre di cent’anni fa. Il fascismo è stato una tragedia mondiale, con precise ragioni storiche e uno sviluppo complesso. Il fascismo è in buona sostanza una cosa seria, su cui dovremo continuare a studiare. Tra qualche anno il nome di Giorgia Meloni sarà dimenticato, come quelli dei tanti presunti leader che si sono succeduti in questi anni e che sembravano destinati a un luminoso avvenire. Questa stagione politica, in cui abbiamo deciso di fare a meno dei partiti, macina minuscoli leader a una velocità sempre maggiore e li distrugge con sempre più crudele voracità. Tra cinque anni - se non prima - il vento cambierà ancora e toccherà a un altro sedere a Palazzo Chigi.
Francamente in questa tornata elettorale il dato per me più preoccupante non è stato il risultato di Fratelli d’Italia, che ha almeno ancora la parvenza di un partito, ma il successo in Sicilia di un personaggio come Cateno De Luca, che ha ottenuto un quarto dei voti validi alle regionali e ha eletto alle politiche un deputato e un senatore. De Luca, soprannominato “Scateno”, è un personaggio fuori dalle righe e senza freni, l’uomo “del popolo”, che alimenta i peggiori istinti della “ggente”. E dopo l’inverno di “lacrime e sangue”, che ormai ci attende, con le fonti di energia razionate, con la crescita della disoccupazione e della povertà, personaggi come De Luca - e se possibile peggiori di lui - avranno sempre maggior fortuna. E forse arriveremo a un punto che dovremo perfino rimpiangere il “moderatismo” di Meloni e Salvini. O pensare a Berlusconi come a un garante delle istituzioni.
State sereni: il fascismo non tornerà. Perché il fascismo non serve. Cent’anni fa c’è stata la Marcia su Roma, perché c’erano stati nelle industrie scioperi durissimi, perché i contadini chiedevano la terra, perché stava crescendo una forte coscienza di classe, perché una rivoluzione era possibile, perché si poteva ancora sperare di “fare come in Russia”. Adesso che la sinistra sostiene che il capitalismo selvaggio sia la forma naturale dell’economia e che uomini come Draghi siano i salvatori della patria, adesso che l’opposizione sociale è morta, perché i padroni dovrebbero armare i fascisti? Il lavoro sporco lo abbiamo già fatto noi negli anni Novanta. Il governo Meloni sarà l’ennesimo governo piegato ai dettami delle istituzioni monetarie internazionali e degli interessi del capitalismo. Solo un po’ più volgare. Gli italiani vogliono che a Palazzo Chigi ci sia qualcuno che assomigli un po’ di più a loro, sono stanchi di vedere uno come Draghi che non rutta a tavola, non tocca il sedere alle segretarie, non si intasca qualche mazzetta, non sbaglia un congiuntivo. Sperano che Giorgia sia più maleducata degli ultimi premier che si sono succeduti a Palazzo Chigi. Se si impegna, credo possa farcela.