Ci sono delle vecchie storie che vengono raccontate di continuo ai tavoli di Sardi’s e durante le lunghe pause nei backstage, come quella del fantasma di Olive Thomas - che “vive” ancora al New Amsterdam sulla 42esima (1) - o quella di Jackson Mortinsen o, come lo chiamano tutti a Broadway, The Unlucky Jack (2).
Certamente Jack è stato sfortunato nella sua carriera, eppure lui nel destino ci ha sempre creduto. D’altra parte solo il destino poteva far sì che si ritrovassero e si incontrassero a Hurtsboro sua padre Jozef e sua madre Anna, arrivati in America, senza conoscersi, dalla stessa città, Bratislava, nei primi anni del Novecento (3). A dire la verità la parte davvero incredibile di questa storia è che quel falegname e quella sarta siano arrivati, facendo lunghi viaggi, in quel piccolo e dimenticato paese in mezzo all’Alabama. Una volta giunti lì era naturale che si incontrassero: erano gli unici slovacchi nella chiesa di padre O’Malley.
Jackson è nato a Hurtsboro il 24 giugno 1913. A Jack piace andare a scuola e adora giocare a baseball, ma più di tutto ama cantare. A Hurtsboro l’unica occasione per farlo è il coro della chiesa battista e così Jack la domenica mattina va a messa nella chiesina cattolica di padre O’Malley e poi va a cantare con i suoi compagni di scuola nella congregazione di padre Davis: è l’unico ragazzo bianco, ma ha una voce potente. E poi gioca bene anche a football, a padre Davis fa comodo un ragazzo così nella sua chiesa. A Jack piace anche ballare, ma quello è impossibile a Hurtsboro. I genitori delle ragazze nere non vogliono che Jack balli con le loro figlie e quelli delle ragazze bianche non vogliono che le loro figlie parlino con “quello che canta con i negri”. La passione per il ballo Jack l’ha presa da sua madre e così lui può ballare solo con lei.
Nel 1935, quando ha ventidue anni, Jack decide di lasciare Hurtsboro: vuole far fortuna, magari cantando, ma soprattutto sa che per lui rimanere lì è un pericolo, quelli del Ku Klux Klan gli fanno capire che non c’è posto per quelli come lui in città (4).
A New York Jack studia ballo, lavora nelle giostre a Coney Island, frequenta i vaudeville, consegna i giornali, si esibisce in qualche serata del dilettante, fa il lavapiatti da Childs’ a Brooklyn, al 503 di Fulton Street (5), corteggia Orthense, una commessa di Macy’s che va sempre a mangiare in quel ristorante, fa un provino dopo l’altro.
Finalmente, il 2 gennaio 1940, la telefonata che sta aspettando da quando è arrivato in città. Il suo agente gli dice che quattro giorni dopo debutterà a Broadway in Very Warm for May (6): un tale ha mollato e la produzione cerca un sostituto per la parte dell’elettricista. Un piccolo ruolo, ma è Broadway, ragazzo mio. Il giorno successivo, alle nove precise deve essere all’Alvin Theatre e chiedere dell’aiuto regista William Torpey. Il vecchio agente preferisce non raccontargli che lui è il sostituto del sostituto. Pare che sia già il quarto che lascia dopo neppure due mesi di repliche.
Jack non sta nella pelle: il 6 gennaio è il compleanno di sua madre. È un segno del destino e lui ci crede nel destino. Si licenzia da Childs’ e quella sera porta Orthense a cena fuori. Vanno a Manhattan, passeggiano lungo la 52esima e si fermano davanti ai manifesti dell’Alvin Theatre. Jack è al settimo cielo: il nuovo musical di Kern e Hammerstein, di nuovo insieme dopo che il compositore è stato per qualche anno a Hollywood. Lo spettacolo ha debuttato a novembre: rimarrà in cartellone almeno un anno, sarà un successo come Show Boat, e dopo lui e Orthense potranno sposarsi.
La mattina dopo Jack è puntualissimo. Una sarta gli sistema alla meglio il vestito di scena, un assistente gli dà il copione e gli spiega quello che deve fare. Jack non nota i musi lunghi della compagnia, che lo accolgono senza troppo entusiasmo.
Finalmente sabato sera Jack Mortinsen debutta a Broadway. A Orthense sembra strano che il teatro sia mezzo vuoto, ma è felice di vedere il suo Jack là sul palco e quando alla fine tutti escono sulla ribalta lei è quella che applaude con più entusiasmo. Calato il sipario William Torpey chiede alla compagnia di fermarsi un momento prima di tornare nei camerini: annuncia che quella è stata l’ultima replica, Max Gordon ha deciso di chiudere lo spettacolo. Da lunedì potranno andare nell’ufficio in Times Square per ricevere l’ultima paga. Jack è l’unico che rimane sorpreso da quella notizia, che tutti evidentemente si stanno aspettando (7).
Per fortuna il suo capo da Childs’ non ha ancora assunto un nuovo lavapiatti. Sono passati solo pochi mesi dal suo sfortunato debutto a Broadway, ma Jack crede che la grande occasione stia per arrivare. Spulcia i numeri di Variety per avere informazioni sulle nuove produzioni, telefona ogni settimana al suo agente per sapere se ci sono audizioni adatte a lui. Finalmente ad agosto crede di aver trovato quella giusta: il ruolo di quello squattrinato cantante di nightclub sembra fatto per lui.
Ed effettivamente il provino per il ruolo del protagonista in Pal Joey va bene. Jerome Whyte ed Edison Rice scelgono lui e altri cinque tra i tanti che si sono presentati all’audizione. Al regista George Abbott, al coreografo Robert Alton e a Richard Rodgers, che ha composto la musica delle canzoni, spetta la decisione finale. Viene fatto un sorteggio per decidere l’ordine con cui si esibiranno. Jack è il sesto. Pensa sia di buon augurio: si ricorderanno di lui quando dovranno prendere la decisione. Jack conosce di vista anche gli altri. Li ha visti ballare tutti, tranne quel suo coetaneo di Pittsburgh, che però dicono sia più un coreografo che un ballerino. Sa che ha preparato i numeri per una rivista di Billy Rose. Jack è nervoso, ma è convinto di poterli convincere con la sua esibizione. Rimane in camerino mentre si esibisce quello prima di lui, che è proprio quello di Pittsburgh. Alla fine del suo numero Jack è soddisfatto, pensa di aver fatto bene. Purtroppo Rodgers e Abbott assistono un po’ distratti all’esibizione di Jack. Hanno già scelto: solo Gene Kelly può essere Joey Evans o, come lo chiamano tutti a Chicago, Pal Joey. Sarà il primo e l’ultimo spettacolo di Broadway di quel ballerino di Pittsburgh: la stella di Gene Kelly è destinata a brillare a Hollywood (8).
Adesso fa il cameriere, la paga è più alta e poi ci sono le mance. Lui e Orthense si sono sposati, anche senza l’ingaggio a Broadway. A settembre, quando un amico gli dice che Sam Harris sta allestendo un nuovo spettacolo e sta cercando un cantante per interpretare la parte di un fotografo gay (9), Jack non ci pensa due volte e chiede al suo agente di poter fare un provino. Non si tratta di un ruolo da protagonista, ma è il musical per cui Ira è tornato a scrivere, tre anni dopo la morte di George. E con la musica di Kurt Weill. A Broadway c’è una grande attesa ed essere nel cast, a fianco di una regina come Gertrude Lawrence, per Jack sarebbe la svolta.
Il provino va bene: Harris gli dice che ci sono ottime possibilità. Ma proprio quella sera il librettista Moss Hart, che è anche il regista di Lady in the Dark, decide di prendersi una pausa dal lavoro e porta sua moglie a La Martinique, il nightclub sulla 57esima. Si esibiscono marito e moglie: lei è Sylvia Fine, suona il piano e compone canzoni, lui si chiama Danny Kaye, canta, fa battute, imita ogni cosa, incanta il pubblico con la sua bravura. Dopo quella sera Moss non ha dubbi: sarà lui a interpretare Russell e proprio sulle sue incredibili capacità Ira Gershwin e Kurt Weill scrivono la canzone Tschaikowsky (and Other Russians): solo Danny riesce a snocciolare i nomi di cinquanta compositori russi in meno di quaranta secondi. Quello spettacolo segna la carriera di quell’attore di Brooklyn, i cui genitori sono arrivati dall’Ucraina (10).
All’inizio del 1941, quando il suo capo decide di andare in pensione propone ai manager di Childs’ che Jack lo sostituisca: conosce il lavoro, si impegna, e gli è appena nato un bambino. Jack continua a leggere Variety, ma ormai non ha più un agente. Si esibisce in qualche serata del dilettante nei locali di Brooklyn. Gli piace andare a teatro con Orthense. Nel 1948 la Child’s gli affida la direzione del proprio ristorante nel Paramount Building, al 1501 di Broadway (11). In fondo Jack nel destino ci ha sempre creduto.
Ed è proprio ai tavoli di quel ristorante Childs’ frequentato da tanti appassionati del teatro che Jack sente raccontare per la prima volta la storia di questo attore sfortunato, il cui primo spettacolo è stato chiuso proprio il giorno del suo debutto e che non è diventato una star per colpa di Gene Kelly e di Danny Kaye. A dire il vero nel corso degli anni la storia di The Unlucky Jack si arricchisce di altri episodi, molti del tutto inventati e alcuni capitati ad altri attori, come quella volta che il balconcino di Giulietta è caduto in testa a Romeo all’Imperial Theatre (12). Jack conosce la vera storia di quell’attore sfortunato, ma non la racconta a nessuno.
Jackson Mortinsen è morto nella sua casa di Brooklyn il 6 gennaio 1984: una data che gli sarebbe piaciuta. In fondo lui ci credeva nel destino. È sepolto al cimitero di Green-Wood, non molto lontano dalla tomba di Frank Morgan, il mago di Oz. E da quella di Leonard Bernstein (13). Andate a salutarlo quando passate da Brooklyn.
Nella foto di apertura, Jackson Mortinsen, nella sola immagine che ci è rimasta di lui, negli anni Quaranta a New York (non sappiamo chi l’abbia ritratto). Stiamo ancora cercando, ma non sembra ci siano foto di scena di Mortinsen.
Note
Nella foto di apertura, Jackson Mortinsen, nella sola immagine che ci è rimasta di lui, negli anni Quaranta a New York (non sappiamo chi l’abbia ritratto). Stiamo ancora cercando, ma non sembra ci siano foto di scena di Mortinsen.
Note
1) Hanson, Nils, Lillian Lorraine. The Life and Times of a Ziegfeld Diva, McFarland Publishing 2011, pagg. 101-102.
2) Mulligan, Jerry, The Unfortunate Case of Jackson Mortinsen, University of Alabama Press 1999.
3) Stolarik, M. Mark, Where is My Home? Slovak Immigration to North America (1870-2010), Peter Lang AG 2012, pag. 205.
4) In merito alle tensioni razziali in questa città dell’Alabama merita di essere ricordato l’Hurtsboro race riot, New Race War Is On, "The Topeka State Journal", 30 dicembre 1920.
5) Brooklyn Telephone Directory, Winter 1939-1940, New York Telephone Company.
6) Out-of-Town Openings, "Billboard", 4 novembre 1939.
7) Brooks Atkinson, Justin, It’s not so hot for November, "New York Times", 6 novembre 1939.
8) Hyland, William, Richard Rodgers, Yale University Press 1998. pp. 126-131.
9) Capsuto, Steven, Alternate Channels: The Uncensored Story of Gay and Lesbian Images on Radio and Television, Ballantine Books 2000, pag. 31.
10) McClung, Bruce, Lady in the Dark, Biography of a Musical, Oxford University Press 2007.
11) Robins, Anthony W., New York Art Deco: A Guide to Gotham’s Jazz Age Architecture, State University of New York Press 2017, pagg. 90-91.
12) Hawkins, Hubert, Shakesperare on Broadway, Penguin Random House 1986, pag. 121
13) Reynolds, Donald, The Architecture of New York City: Histories and Views of Important Structures, Sites, and Symbols, New York: J. Wiley 1994, pagg. 318-319 e CWCG Cemetery Report
2) Mulligan, Jerry, The Unfortunate Case of Jackson Mortinsen, University of Alabama Press 1999.
3) Stolarik, M. Mark, Where is My Home? Slovak Immigration to North America (1870-2010), Peter Lang AG 2012, pag. 205.
4) In merito alle tensioni razziali in questa città dell’Alabama merita di essere ricordato l’Hurtsboro race riot, New Race War Is On, "The Topeka State Journal", 30 dicembre 1920.
5) Brooklyn Telephone Directory, Winter 1939-1940, New York Telephone Company.
6) Out-of-Town Openings, "Billboard", 4 novembre 1939.
7) Brooks Atkinson, Justin, It’s not so hot for November, "New York Times", 6 novembre 1939.
8) Hyland, William, Richard Rodgers, Yale University Press 1998. pp. 126-131.
9) Capsuto, Steven, Alternate Channels: The Uncensored Story of Gay and Lesbian Images on Radio and Television, Ballantine Books 2000, pag. 31.
10) McClung, Bruce, Lady in the Dark, Biography of a Musical, Oxford University Press 2007.
11) Robins, Anthony W., New York Art Deco: A Guide to Gotham’s Jazz Age Architecture, State University of New York Press 2017, pagg. 90-91.
12) Hawkins, Hubert, Shakesperare on Broadway, Penguin Random House 1986, pag. 121
13) Reynolds, Donald, The Architecture of New York City: Histories and Views of Important Structures, Sites, and Symbols, New York: J. Wiley 1994, pagg. 318-319 e CWCG Cemetery Report