sabato 25 marzo 2023

Verba volant (830): sfortuna...

Sfortuna
, sost. f.

Ci sono delle vecchie storie che vengono raccontate di continuo ai tavoli di Sardi’s e durante le lunghe pause nei backstage, come quella del fantasma di Olive Thomas - che “vive” ancora al New Amsterdam sulla 42esima (1) - o quella di Jackson Mortinsen o, come lo chiamano tutti a Broadway, The Unlucky Jack (2).

Certamente Jack è stato sfortunato nella sua carriera, eppure lui nel destino ci ha sempre creduto. D’altra parte solo il destino poteva far sì che si ritrovassero e si incontrassero a Hurtsboro sua padre Jozef e sua madre Anna, arrivati in America, senza conoscersi, dalla stessa città, Bratislava, nei primi anni del Novecento (3). A dire la verità la parte davvero incredibile di questa storia è che quel falegname e quella sarta siano arrivati, facendo lunghi viaggi, in quel piccolo e dimenticato paese in mezzo all’Alabama. Una volta giunti lì era naturale che si incontrassero: erano gli unici slovacchi nella chiesa di padre O’Malley.
Jackson è nato a Hurtsboro il 24 giugno 1913. A Jack piace andare a scuola e adora giocare a baseball, ma più di tutto ama cantare. A Hurtsboro l’unica occasione per farlo è il coro della chiesa battista e così Jack la domenica mattina va a messa nella chiesina cattolica di padre O’Malley e poi va a cantare con i suoi compagni di scuola nella congregazione di padre Davis: è l’unico ragazzo bianco, ma ha una voce potente. E poi gioca bene anche a football, a padre Davis fa comodo un ragazzo così nella sua chiesa. A Jack piace anche ballare, ma quello è impossibile a Hurtsboro. I genitori delle ragazze nere non vogliono che Jack balli con le loro figlie e quelli delle ragazze bianche non vogliono che le loro figlie parlino con “quello che canta con i negri”. La passione per il ballo Jack l’ha presa da sua madre e così lui può ballare solo con lei.
Nel 1935, quando ha ventidue anni, Jack decide di lasciare Hurtsboro: vuole far fortuna, magari cantando, ma soprattutto sa che per lui rimanere lì è un pericolo, quelli del Ku Klux Klan gli fanno capire che non c’è posto per quelli come lui in città (4).

A New York Jack studia ballo, lavora nelle giostre a Coney Island, frequenta i vaudeville, consegna i giornali, si esibisce in qualche serata del dilettante, fa il lavapiatti da Childs’ a Brooklyn, al 503 di Fulton Street (5), corteggia Orthense, una commessa di Macy’s che va sempre a mangiare in quel ristorante, fa un provino dopo l’altro.
Finalmente, il 2 gennaio 1940, la telefonata che sta aspettando da quando è arrivato in città. Il suo agente gli dice che quattro giorni dopo debutterà a Broadway in Very Warm for May (6): un tale ha mollato e la produzione cerca un sostituto per la parte dell’elettricista. Un piccolo ruolo, ma è Broadway, ragazzo mio. Il giorno successivo, alle nove precise deve essere all’Alvin Theatre e chiedere dell’aiuto regista William Torpey. Il vecchio agente preferisce non raccontargli che lui è il sostituto del sostituto. Pare che sia già il quarto che lascia dopo neppure due mesi di repliche.
Jack non sta nella pelle: il 6 gennaio è il compleanno di sua madre. È un segno del destino e lui ci crede nel destino. Si licenzia da Childs’ e quella sera porta Orthense a cena fuori. Vanno a Manhattan, passeggiano lungo la 52esima e si fermano davanti ai manifesti dell’Alvin Theatre. Jack è al settimo cielo: il nuovo musical di Kern e Hammerstein, di nuovo insieme dopo che il compositore è stato per qualche anno a Hollywood. Lo spettacolo ha debuttato a novembre: rimarrà in cartellone almeno un anno, sarà un successo come Show Boat, e dopo lui e Orthense potranno sposarsi.
La mattina dopo Jack è puntualissimo. Una sarta gli sistema alla meglio il vestito di scena, un assistente gli dà il copione e gli spiega quello che deve fare. Jack non nota i musi lunghi della compagnia, che lo accolgono senza troppo entusiasmo.
Finalmente sabato sera Jack Mortinsen debutta a Broadway. A Orthense sembra strano che il teatro sia mezzo vuoto, ma è felice di vedere il suo Jack là sul palco e quando alla fine tutti escono sulla ribalta lei è quella che applaude con più entusiasmo. Calato il sipario William Torpey chiede alla compagnia di fermarsi un momento prima di tornare nei camerini: annuncia che quella è stata l’ultima replica, Max Gordon ha deciso di chiudere lo spettacolo. Da lunedì potranno andare nell’ufficio in Times Square per ricevere l’ultima paga. Jack è l’unico che rimane sorpreso da quella notizia, che tutti evidentemente si stanno aspettando (7).

Per fortuna il suo capo da Childs’ non ha ancora assunto un nuovo lavapiatti. Sono passati solo pochi mesi dal suo sfortunato debutto a Broadway, ma Jack crede che la grande occasione stia per arrivare. Spulcia i numeri di Variety per avere informazioni sulle nuove produzioni, telefona ogni settimana al suo agente per sapere se ci sono audizioni adatte a lui. Finalmente ad agosto crede di aver trovato quella giusta: il ruolo di quello squattrinato cantante di nightclub sembra fatto per lui.
Ed effettivamente il provino per il ruolo del protagonista in Pal Joey va bene. Jerome Whyte ed Edison Rice scelgono lui e altri cinque tra i tanti che si sono presentati all’audizione. Al regista George Abbott, al coreografo Robert Alton e a Richard Rodgers, che ha composto la musica delle canzoni, spetta la decisione finale. Viene fatto un sorteggio per decidere l’ordine con cui si esibiranno. Jack è il sesto. Pensa sia di buon augurio: si ricorderanno di lui quando dovranno prendere la decisione. Jack conosce di vista anche gli altri. Li ha visti ballare tutti, tranne quel suo coetaneo di Pittsburgh, che però dicono sia più un coreografo che un ballerino. Sa che ha preparato i numeri per una rivista di Billy Rose. Jack è nervoso, ma è convinto di poterli convincere con la sua esibizione. Rimane in camerino mentre si esibisce quello prima di lui, che è proprio quello di Pittsburgh. Alla fine del suo numero Jack è soddisfatto, pensa di aver fatto bene. Purtroppo Rodgers e Abbott assistono un po’ distratti all’esibizione di Jack. Hanno già scelto: solo Gene Kelly può essere Joey Evans o, come lo chiamano tutti a Chicago, Pal Joey. Sarà il primo e l’ultimo spettacolo di Broadway di quel ballerino di Pittsburgh: la stella di Gene Kelly è destinata a brillare a Hollywood (8).

Adesso fa il cameriere, la paga è più alta e poi ci sono le mance. Lui e Orthense si sono sposati, anche senza l’ingaggio a Broadway. A settembre, quando un amico gli dice che Sam Harris sta allestendo un nuovo spettacolo e sta cercando un cantante per interpretare la parte di un fotografo gay (9), Jack non ci pensa due volte e chiede al suo agente di poter fare un provino. Non si tratta di un ruolo da protagonista, ma è il musical per cui Ira è tornato a scrivere, tre anni dopo la morte di George. E con la musica di Kurt Weill. A Broadway c’è una grande attesa ed essere nel cast, a fianco di una regina come Gertrude Lawrence, per Jack sarebbe la svolta.
Il provino va bene: Harris gli dice che ci sono ottime possibilità. Ma proprio quella sera il librettista Moss Hart, che è anche il regista di Lady in the Dark, decide di prendersi una pausa dal lavoro e porta sua moglie a La Martinique, il nightclub sulla 57esima. Si esibiscono marito e moglie: lei è Sylvia Fine, suona il piano e compone canzoni, lui si chiama Danny Kaye, canta, fa battute, imita ogni cosa, incanta il pubblico con la sua bravura. Dopo quella sera Moss non ha dubbi: sarà lui a interpretare Russell e proprio sulle sue incredibili capacità Ira Gershwin e Kurt Weill scrivono la canzone Tschaikowsky (and Other Russians): solo Danny riesce a snocciolare i nomi di cinquanta compositori russi in meno di quaranta secondi. Quello spettacolo segna la carriera di quell’attore di Brooklyn, i cui genitori sono arrivati dall’Ucraina (10).

All’inizio del 1941, quando il suo capo decide di andare in pensione propone ai manager di Childs’ che Jack lo sostituisca: conosce il lavoro, si impegna, e gli è appena nato un bambino. Jack continua a leggere Variety, ma ormai non ha più un agente. Si esibisce in qualche serata del dilettante nei locali di Brooklyn. Gli piace andare a teatro con Orthense. Nel 1948 la Child’s gli affida la direzione del proprio ristorante nel Paramount Building, al 1501 di Broadway (11). In fondo Jack nel destino ci ha sempre creduto.
Ed è proprio ai tavoli di quel ristorante Childs’ frequentato da tanti appassionati del teatro che Jack sente raccontare per la prima volta la storia di questo attore sfortunato, il cui primo spettacolo è stato chiuso proprio il giorno del suo debutto e che non è diventato una star per colpa di Gene Kelly e di Danny Kaye. A dire il vero nel corso degli anni la storia di The Unlucky Jack si arricchisce di altri episodi, molti del tutto inventati e alcuni capitati ad altri attori, come quella volta che il balconcino di Giulietta è caduto in testa a Romeo all’Imperial Theatre (12). Jack conosce la vera storia di quell’attore sfortunato, ma non la racconta a nessuno.

Jackson Mortinsen è morto nella sua casa di Brooklyn il 6 gennaio 1984: una data che gli sarebbe piaciuta. In fondo lui ci credeva nel destino. È sepolto al cimitero di Green-Wood, non molto lontano dalla tomba di Frank Morgan, il mago di Oz. E da quella di Leonard Bernstein (13). Andate a salutarlo quando passate da Brooklyn.

Nella foto di apertura, Jackson Mortinsen, nella sola immagine che ci è rimasta di lui, negli anni Quaranta a New York (non sappiamo chi l’abbia ritratto). Stiamo ancora cercando, ma non sembra ci siano foto di scena di Mortinsen.

Note

1) Hanson, Nils, Lillian Lorraine. The Life and Times of a Ziegfeld Diva, McFarland Publishing 2011, pagg. 101-102.
2) Mulligan, Jerry, The Unfortunate Case of Jackson Mortinsen, University of Alabama Press 1999.
3) Stolarik, M. Mark, Where is My Home? Slovak Immigration to North America (1870-2010), Peter Lang AG 2012, pag. 205.
4) In merito alle tensioni razziali in questa città dell’Alabama merita di essere ricordato l’Hurtsboro race riot, New Race War Is On, "The Topeka State Journal", 30 dicembre 1920.
5) Brooklyn Telephone Directory, Winter 1939-1940, New York Telephone Company.
6) Out-of-Town Openings, "Billboard", 4 novembre 1939.
7) Brooks Atkinson, Justin, It’s not so hot for November, "New York Times", 6 novembre 1939.
8) Hyland, William, Richard Rodgers, Yale University Press 1998. pp. 126-131.
9) Capsuto, Steven, Alternate Channels: The Uncensored Story of Gay and Lesbian Images on Radio and Television, Ballantine Books 2000, pag. 31.
10) McClung, Bruce, Lady in the Dark, Biography of a Musical, Oxford University Press 2007.
11) Robins, Anthony W., New York Art Deco: A Guide to Gotham’s Jazz Age Architecture, State University of New York Press 2017, pagg. 90-91.
12) Hawkins, Hubert, Shakesperare on Broadway, Penguin Random House 1986, pag. 121
13) Reynolds, Donald, The Architecture of New York City: Histories and Views of Important Structures, Sites, and Symbols, New York: J. Wiley 1994, pagg. 318-319 e CWCG Cemetery Report

martedì 21 marzo 2023

Verba volant (829): scherma...

Scherma
, sost. f.

Negli anni Trenta a Hollywood nessuno è bravo a tirare di scherma come Basil Rathbone - d’altra parte ai tempi della prima guerra mondiale è stato per due anni consecutivi il campione dell’esercito inglese - ma sul grande schermo perde sempre, perché Basil negli anni Trenta a Hollywood è il villain per antonomasia. E il “cattivo” deve sempre perdere.

Basil nasce a Johannesburg nel 1892. Sua madre è una violinista e il padre un ingegnere minerario. I Rathbone devono lasciare la Repubblica Sudafricana quando Basil ha solo tre anni, perché il padre è accusato di aver preso parte a un tentativo di rovesciare il governo del presidente Kruger. Il ragazzo ha ottimi voti al liceo ed eccelle negli sport, il padre spera di farne un uomo d’affari e tira un sospiro di sollievo quando viene assunto dalla Liverpool and London Globe Insurance Company, perché Basil dimostra una “pericolosa” passione per il teatro, alimentata dal cugino, l’attore e impresario Frank Benson. Grazie a lui Basil debutta nel 1911 come Ortensio ne La bisbetica domata nella seconda compagnia che porta quella commedia in giro per la provincia. L’anno dopo, sempre con la seconda compagnia Benson, va a Broadway: si tratta di piccole parti, ma quel giovane si fa notare, tanto che nel 1915 il cugino lo chiama a recitare nella prima compagnia, insieme a lui: è Lisandro nel Sogno di una notte di mezza estate.
Scoppia la guerra contro la Germania e l’Impero Austro-ungarico e Basil si arruola. Nel suo reggimento c’è anche Claude Rains, un altro giovane che vuole fare strada nel West End. Basil si distingue sul campo di battaglia, serve sul fronte occidentale, dimostrando una particolare abilità nel lavoro di intelligence. Convince i suoi superiori a mandarlo a esplorare le posizioni durante il giorno, invece che la notte come si faceva di solito. Si “traveste” da albero: realizza una speciale tuta mimetica e si copre la testa con delle foglie appena raccolte. Sono missioni pericolose, ma il capitano Rathbone dimostra un grande coraggio. E ottiene la Military Cross.
Congedato, Basil decide che le assicurazioni non fanno per lui: il richiamo del teatro è troppo forte. Nel 1919 con la New Shakespeare Company partecipa al Summer Festival di Stratford-upon-Avon: interpreta Romeo, Florizel in Il racconto d’inverno, Cassio, Ferdinando ne La tempesta. L’anno successivo è finalmente il protagonista del nuovo dramma di George du Maurier, Peter Ibbetson, che ha debuttato a Broadway nel 1917 con John Barrymore. È un successo che fa finalmente decollare la carriera dell’attore. Nell’ottobre del 1923 torna a New York, ma questa volta come protagonista di The Swan con Eva Le Gallienne, una delle attrici più famose e chiacchierate di Broadway. Per tutti gli anni Venti fa la spola tra Londra e gli Stati Uniti.
Il 29 settembre 1926 debutta all’Empire Theatre di Broadway con il dramma di Édouard Bourdet The Captive con Helen Menken. È la prima volta che si affronta in maniera così esplicita sul palcoscenico il tema dell’omosessualità femminile. Il pubblico, specialmente femminile - si calcola che l’ottanta per cento sia composto da donne - assicura un successo allo spettacolo. La chiesa cattolica si schiera contro lo spettacolo, spalleggiata da William Randolph Hearst che scatena i suoi giornali. Disturba in particolare che Iréne sia lesbica senza soffocare la propria femminilità, senza adeguarsi agli stereotipi che quei “moralisti” hanno in testa. Il vicesindaco Joseph V. McKee, approfittando del fatto che il sindaco Jimmy Walker è in vacanza, ordina alla polizia di chiudere lo spettacolo. Il 9 febbraio 1927, durante il secondo atto, i poliziotti irrompono sul palco e tutti gli attori sono arrestati. Rathbone si indigna per questa cosa, pensa che a teatro si possa affrontare ogni tema. In Italia La prigioniera verrà messa in scena nel 1944 con Gino Cervi e Evi Maltagliati (Titania nel Sogno al Giardino dei Boboli): la chiesa cattolica fa pressione sul sottosegretario Andreotti per imporre il divieto, ma non riesce a bloccare lo spettacolo. Intanto Basil continua a lavorare, specialmente negli Stati Uniti, recita con Ethel Barrymore e in diverse occasioni con la grande Katharine Cornell, con cui mette in scena un’acclamata edizione di Romeo e Giulietta.

Naturalmente Hollywood si accorge di questo attore dallo sguardo altero e che sa usare la spada con incredibile talento. Negli anni Venti interpreta alcuni film muti, ma certamente lui non ha problemi a passare al sonoro.
Finalmente nel 1930 è il protagonista di The Bishop Murder Case. La Metro punta su di lui per il personaggio del detective elegante e snob Philo Vance, mentre negli stessi anni la Paramount ha affidato quel ruolo a William Powell. È un successo, anche se il nome di Basil Rathbone rimarrà legato a quello di un altro celeberrimo investigatore. Negli anni Settanta l’Italia avrà con Giorgio Albertazzi un grande Philo Vance, forse il migliore.
Né i tre film che Powell gira per la Paramount, né quello che gira successivamente per la Warner, né quello di Rathbone riescono a rendere sul grande schermo le complesse trame dei romanzi di S.S. Van Dine. Ottengono buoni risultati al botteghino perché sfruttano il successo commerciale dei libri, ma nulla più. Solo The Canary Murder Case si ritaglia un posto nella storia del cinema, perché la Paramount vuole nella parte di Margaret, la “Canarina” appunto, la donna uccisa attorno a cui ruotano molti uomini, la diva Louise Brooks, una donna che dà scandalo. Il film è girato inizialmente come muto, ma lo studio si accorge che è necessario trasformarlo in un talkie. Ma Louise è partita per Berlino, per interpretare Lulu nel nuovo film di Georg Wilhelm Pabst e si rifiuta di tornare a Hollywood per doppiare il film e girare alcune nuove scene. Sarà Margaret Livingston a dare la voce a Louise, che rimane una diva del muto, dei Roaring Twenties, destinata - come la “Canarina” - a “morire” artisticamente nel fiore della sua bellezza.
Invece, andando avanti negli anni Trenta la carriera cinematografica di Basil Rathbone si afferma. E diventa “cattivo”. È Mr. Murdstone in David Copperfield e Karenin in Anna Karenina con la bellissima Greta Garbo. E finalmente può tornare a tirare di spada contro il “buono” Errol Flynn in Captain Blood e The Adventures of Robin Hood, cercando invano di sposare Olivia de Havilland, che però ha occhi - e che occhi - solo per il suo rivale. Basil insegna all’amico Errol come migliorare la sua tecnica nella scherma, anche perché sa che in entrambi i film deve essere sconfitto. Nel 1940 insegna anche a Tyrone Power che interpreta l’eroe in The Mark of Zorro, mentre lui è il capitano Esteban Pasquale. E la bella è Linda Darnell.
Nel 1939 è anche il cattivissimo Riccardo III in Tower of London, un altro film che gli permette di maneggiare la spada.
Solo in due duelli può vincere. In Romeo and Juliet del 1936, diretto da George Cukor, con Leslie Howard e Norma Shearer nei ruoli del titolo, è Tebaldo che sconfigge John Barrymore che interpreta Mercuzio. Per questo film Basil ottiene la sua prima nomination all’Oscar. E in The Mark of Zorro sconfigge Eugene Pallette. Eugene, basso, grassottello e con un fisico non proprio atletico, è comunque un buon schermidore - anche per questo ottiene due anni prima la parte di Frate Tuck - ma non può certo competere con Basil.
È nel 1939 che la carriera di Basil Rathbone ha una svolta quando interpreta il ruolo del protagonista nel colossal di David O. Selznick Gone with the Wind, accanto a Vivien Leigh, dove ritrova Olivia de Havilland e Leslie Howard. Sì, lo so che la parte di Rhett Butler è andata a Clark Gable, ma Margaret Mitchell pensa proprio a Basil per quel ruolo. E se fosse andata così il cast del grande film sugli Stati del Sud sarebbe stato tutto inglese. Comunque la Twenty Century Fox quell’anno - un anno d’oro per il cinema americano (da Ombre rosse al Mago di Oz, da Ninotchka a Mr Smith va a Washington) - produce The Hound of the Baskervilles, ingaggiando Basil Rathbone e Nigel Bruce rispettivamente per i ruoli di Sherlock Holmes e del Dr. Watson. A dire la verità il primo nome sulla locandina - e quello che ha il cachet più alto - è quello di Richard Greene, che interpreta Harry Baskerville. Richard non farà particolarmente successo a Hollywood, torna in Inghilterra e qui negli anni Cinquanta gira una fortunata serie per ragazzi dedicata a Robin Hood. Quel film è un successo inaspettato, in pochi mesi viene girato The Adventures of Sherlock Holmes e i nomi di Rathbone e Bruce sono in alto sopra il titolo. Dal 1942 al 1947 usciranno altri dodici film dedicati al detective di Baker Street - prodotti dall’Universal - e dal ’39 al ’46 i due attori riprendono i loro personaggi in una popolarissima serie radiofonica. Ormai Basil Rathbone non è più il cattivo dei film di cappa e spada, è Sherlock Holmes, con il cappello da deerstalker e il mantello Inverness.

Il personaggio rimane incollato a Basil che, faticando negli anni successivi a trovare buoni ingaggi cinematografici, per lavorare - e, dicono i maligni, mantenere il costoso stile di vita della seconda moglie - non esita a indossare i panni del detective per una puntata del popolarissimo show di Milton Berle e per gli spot degli insetticidi Getz. Tenta di portare Sherlock anche a Broadway, ma lo spettacolo è un fiasco. Basil vorrebbe Nigel accanto a sé, ma l’amico sta male. La sua morte l’8 ottobre 1953, proprio durante le prove, deprime Rathbone e lo spettacolo viene chiuso solo dopo tre repliche.
Non è facile per Basil Rathbone continuare a lavorare dopo Sherlock Holmes. Ritorna volentieri a teatro dove ottiene grandi soddisfazioni. Nel 1948 riceve un Tony per la produzione originale di The Heiress. Ma l’anno successivo per l’adattamento cinematografico viene scelto Ralph Richardson, con Olivia de Havilland nella parte della figlia. Lavora molto in televisione, incide dischi di storie dell’orrore, come The Night Before Christmas, e molti racconti di Edgar Allan Poe - insieme a Vincent Price - e accetta di partecipare a thriller commerciali di scarsa qualità e basso budget. Con Boris Karloff, Vincent Price e Peter Lorre diventa uno dei Big Four dei film horror dell’American International Pictures. Insieme nel 1963 girano The Comedy of Terrors, film che ricordiamo soltanto per il cast.
Finalmente nel 1955 Basil Rathbone ritorna a tirare di scherma. Il film è la commedia musicale The Court Jester, scritta e diretta da Melvin Frank e Norman Panama per il genio comico di Danny Kaye. L’attore, che interpreta Hubert Hawkins, un menestrello che si finge il giullare alla corte dell’usurpatore del regno di Inghilterra, dimostra tutto il suo talento nelle scene comiche e nei numeri musicali e verso la fine della storia ingaggia un lungo duello con Basil che interpreta il malvagio Lord Ravenhurst, con una buona dose d’ironia ricordando i successi degli anni Trenta. Grazie a un incantesimo della strega Griselda, la nutrice della principessa Gwendolyn, una bravissima Angela Lansbury. Hubert, che non ha mai impugnato una spada diventa un abilissimo schermidore, capace di tagliare in due una serie di candele senza spegnerle o di bere mentre duella, peccato che la magia non sia troppo potente e basti uno schiocco di dita per far tornare Hubert il menestrello fifone che deve parare i colpi del perfido Ravenhurst. Anche questa volta Basil deve insegnare al collega come affondare i colpi, perché ancora una volta è lui quello che deve perdere.
Basil Rathbone muore per un infarto il 21 luglio 1967.
Nel 1986 la Disney realizza un film a cartoni animati intitolato The Great Mouse Detective. Si tratta delle avventure di due topolini che vivono nella cantina di una casa vittoriana al 221/B di Baker Street: Basil che, sognando di fare l’investigatore come l’uomo che sta al piano di sopra, si getta in ogni sorta di avventure e il mite Topson che, nonostante i suoi timori, lo asseconda e lo accompagna. Gli sceneggiatori non possono chiamare che Basil il topo intraprendente che, grazie al suo acume e al suo coraggio, sconfigge il perfido Rattigan - che ha la splendida e inquietante voce di Vincent Price. Gli autori del film per dare la voce al personaggio di Sherlock Holmes utilizzano proprio la voce dell’attore scomparso diciannove anni prima, campionata da una lettura del 1966 di The Red-Headed League. Perché Sherlock Holmes può essere solo Basil Rathbone, lo spadaccino destinato a perdere sempre.

venerdì 10 marzo 2023

Verba volant (828): foresta...

Foresta
, sost. f.

Rufus Edward Mackahan capisce molto presto di non avere la faccia dell’eroe. E neppure quella del cattivo. Ma questo ragazzone nato a Washington DC nel 1892 impara a conoscere bene l’industria del cinema - in fondo sono quasi coetanei - e sa che sul grande schermo l’eroe ha sempre bisogno, oltre che di un nemico e di una ragazza da salvare, di un amico fidato, che naturalmente sia meno forte e meno bello di lui. Così decide che quello sarà il suo ruolo. In questo modo Alan Hale - come comincia a farsi chiamare quando debutta in The Cowboy and the Lady, uno dei tanti film perduti di quell’età pioneristica - rinunciando a un promettente avvenire da cantante d’opera, si ritaglia un proprio spazio nella storia del cinema, in una carriera che dal 1911 al 1950 lo vede impegnato in ben duecentotrentacinque film, mai da protagonista. E per nove film anche dietro la macchina da presa.
C’è un personaggio in particolare che caratterizza la vita artistica di Alan, quello di Little John, il fedele compagno di avventure di Robin Hood. Alan interpreta questo ruolo nel 1922, poi nel 1938 e infine nel 1950, nell’ultimo film che riesce a girare, poco prima di morire. E ventitré anni dopo, nel dare la propria voce al personaggio del film di animazione della Disney, Phil Harris rende omaggio all’attore scomparso, ricalcandone l’accento. Perché ormai nell’immaginario di alcune generazioni di spettatori americani Little John è Alan Hale.

Il film muto del 1922 che noi conosciamo con il titolo Robin Hood è il primo lungometraggio dedicato all’eroe di Sherwood. Prima di questo film ce ne sono stati già cinque, ma tutti cortometraggi. Ormai il cinema è cresciuto, il pubblico vuole storie con trame più articolate e soprattutto vuole vedere sul grande schermo i propri beniamini: è nato lo star system. E infatti il titolo con cui è registrato ed è pubblicizzato il film è Douglas Fairbanks in Robin Hood. Il divo del muto vuole assolutamente fare questo film - è un sogno che culla da anni - e ne cura tutti gli aspetti. Fairbanks è nella squadra degli sceneggiatori, lo produce e lo distribuisce attraverso la United Artists, che ha creato qualche anno prima con Charlie Chaplin, David Wark Griffith e sua moglie Mary Pickford. Fairbanks è uno degli attori più potenti dell’industria del cinema e ha l’ultima parola su ogni decisione. Sceglie come regista l’esperto Allan Dwan - che accetta come compenso il cinque per cento sugli incassi, una novità per Hollywood - e incarica Victor Schertzinger di scrivere la colonna sonora: Victor nel 1935 otterrà l’Oscar per la colonna sonora di One Night of Love, nella prima edizione in cui viene introdotta questa categoria.
Douglas vuole che il suo film su Robin Hood sia memorabile. Da produttore comincia a preoccuparsi quando iniziano ad arrivare i conti delle scenografie disegnate dall’architetto Lloyd Wright, il figlio di Frank, e dallo scenografo Wilfred Buckland - storico collaboratore di DeMille e il primo di questa professione a ottenere il proprio nome nei titoli di testa - e realizzate da una squadra di oltre cinquecento carpentieri e falegnami. Nel Pickford-Fairbanks Studio vengono costruiti un enorme castello e l’intero villaggio di Sherwood, mentre per gli esterni vengono scelte quattro diverse location. La lavorazione del film richiede quasi un anno e i costi superano il milione di dollari: per gli anni Venti una cifra enorme, che comunque viene ampiamente ripagata dal successo al botteghino.
Nel cast figurano l’attrice di origine australiane Enid Bennett, il canadese Sam de Grasse nel ruolo del Principe Giovanni e Wallace Beery in quello di Riccardo Cuor di Leone. Per il ruolo di Little John viene scelto il trentenne Alan Hale, che si è fatto conoscere in diversi film della Biograph, in The Four Horsemen of the Apocalypse, il grande successo di Valentino, e come Torvald in A Doll’s House, con la diva Alla Nazimova come Nora.
La sua interpretazione in questo successo gli offre una discreta notorietà. Per Fairbanks, che negli anni Venti fa sognare il pubblico americano interpretando Robin Hood, D’Artagnan, Zorro e che i giornali chiamano “The King of Hollywood”, il passaggio al sonoro segna la fine della carriera. Altri attori prenderanno quel titolo. Invece Alan resiste, ha una bella voce e un’importante presenza sulla scena. Magari non sarà protagonista, ma lui continua a lavorare.

A metà degli anni Trenta la Warner Brothers decide che finalmente il sonoro deve avere il “suo” Robin Hood. Il film è in programma dalla fine del 1934 con James Cagney nel ruolo del protagonista, ma l’attore proprio quell’anno rompe il contratto con lo studio e così la Warner decide di aspettare, anche perché nella scuderia dello studio ci sono due giovani attori che potrebbero essere perfetti. L’australiano Errol Flynn è arrivato da poco a Hollywood dal Regno Unito: è bello e ha l’aria spavalda da seduttore, sa destreggiarsi con la spada e cavalca molto bene, può diventare il nuovo Fairbanks. Ha anche lo stesso brutto carattere. L’inglese Olivia de Havilland, dopo la buona prova in A Midsummer Night’s Dream di William Dieterle e Max Reinhardt, con quegli splendidi occhi scuri, è la nuova stella su cui la Warner decide di puntare: può essere la nuova Mary Pickford, insieme ingenua e determinata (si può cliccare su de Havilland per una deviazione su quel Sogno di celluloide).
Proprio nel 1935 esce il primo film in cui i due attori sono insieme e protagonisti, Captain Blood, diretti da Michael Curtiz. Il film, un classico del genere cappa e spada, in cui Flynn interpreta il ruolo di un medico diventato pirata, è un successo che supera le aspettative della Warner, il pubblico adora Errol e Olivia e ama vederli insieme. Sono perfetti per i ruoli di Robin e di Marian - tra l’altro Olivia sa cavalcare altrettanto bene come Errol - e si può aspettare anche un paio d’anni, quando saranno entrambi liberi da altri impegni. Così per The Adventures of Robin Hood si ricostituisce la squadra del film precedente: Curtiz dirige Errol Flynn e Olivia de Havilland, con Basil Rathborne, come nell’altro film, a fare il “cattivo” Guy di Gisborne. A completare il cast un altro eccellente attore inglese, Claude Rains, nel ruolo del Principe Giovanni.
A metà del 1937, quando tutti gli attori sono pronti, a tre mesi dall’inizio delle riprese, i produttori capiscono che a questo punto il loro Robin Hood deve essere non solo il primo a parlare, ma anche il primo in Technicolor. La Warner decide di spendere, di fare un grande film. La pellicola costa due milioni di dollari: lo studio non ha mai speso tanto per un film. Naturalmente su qualcosa si cerca di risparmiare. Nel film di Fairbanks il primo scontro tra Robin e Guy di Gisbourne e la prima scintilla del suo amore per Marian avviene durante un torneo. Si vorrebbe ripetere quella scena, anche se sarebbe molto costosa. Curtiz suggerisce che andrà bene anche un banchetto: basterà il Technicolor a rendere il primo momento in cui i tre personaggi sono insieme una scena indimenticabile. E il regista di origini ungheresi mette tutto il suo mestiere per realizzare un grande film. Anche grazie a The Adventures of Robin Hood diventa uno dei registi più famosi e pagati di Hollywood, ottenendo un meritato Oscar per la regia di Casablanca nel 1944.
Per le riprese in esterna vengono scelti alcuni dei luoghi in cui sono state girate le scene di Douglas Fairbanks in Robin Hood. Quel film è così famoso che il bosco di Bidwell Park è ormai conosciuto come Sherwood Forest.
La musica è stato uno dei motivi di successo del film di Fairbanks e la Warner vuole che sia lo stesso anche per quel nuovo film che stanno producendo. In quelle settimane il compositore Erich Wolfgang Korngold è in Austria a dirigere un’opera e la Warner gli chiede in maniera molto insistente di comporre le musiche per il nuovo film, come ha fatto per Captain Blood. Erich pensa che quella storia non sia nelle sue corde, ma i produttori sono sempre più pressanti. A questo punto il musicista accetta l’incarico, senza un contratto, si prende una settimana di tempo e se quello che farà non sarà soddisfacente si sentirà libero di rinunciare al progetto. Ma Korngold sa anche che l’Anschluss è alle porte e per lui, che è di origine ebraiche, continuare a vivere nel suo paese sarà molto pericoloso. Per completare la partitura si trasferisce negli Stati Uniti e non ritornerà in Europa fino alla fine della guerra. Comunque sia nata, la colonna sonora di The Adventures of Robin Hood è bellissima, un poema sinfonico, che richiama Puccini e Mahler. Korngold ottiene giustamente l’Oscar per questa colonna sonora, che viene eseguita anche in forma di concerto. John Williams cita proprio questo lavoro di Korngold come fonte d’ispirazione per le musiche di Star Wars.
Per i ruoli dei Merry Men la Warner chiama alcuni dei migliori caratteristi che ha sotto contratto. Will Scarlet è l’inglese Patrick Knowles, bello e scanzonato, spesso impegnato negli anni successivi nel ruolo del secondo protagonista maschile. Per il ruolo di Frate Tuck c’è Eugene Pallette, specializzato nel ruolo del milionario grassottello. Quando c’è da scegliere l’interprete di Little John non ci sono dubbi: deve essere Alan Hale.
Dopo il fortunato film di Fairbanks, Alan ha recitato in tanti film, molti non particolarmente memorabili e alcuni entrati nella storia del cinema: It Happened One Night di Frank Capra, Fog Over Frisco con una splendida Bette Davis, Stella Dallas con Barbara Stanwyck. Prima del film su Robin Hood, Errol Flynn e Alan Hale hanno già lavorato insieme in The Prince and the Pauper - anche in questo cast c’è Claude Rains - e insieme gireranno in tutto quattordici film. In The Adventures of Don Juan interpretano rispettivamente Don Giovanni e Leporello. In quattro di questi film - Dodge City, The Private Lives of Elizabeth and Essex, Santa Fe Trail e Thank Your Lucky Stars - c’è anche Olivia. Sono nove i film in cui ritorna la coppia Flynn-de Havilland per la gioia dei rotocalchi e dei produttori.
Alan lavora molto, gira molti film e registra anche alcuni brevetti. Inventa una sedia scorrevole per permettere agli spettatori di scivolare indietro senza alzarsi quando i ritardatari arrivano al cinema e a teatro. Nel 1950 la Columbia decide di produrre un nuovo film dedicato agli eroi di Sherwood, per sfruttare la popolarità dell’astro emergente John Derek. La storia è ambientata alcuni anni dopo rispetto al film di Curtiz: Riccardo è morto durante la crociata e Giovanni è diventato re. Contro il suo progetto di aumentare le tasse per finanziare la creazione di un esercito mercenario, il figlio di Robin Hood mette insieme i vecchi compagni del padre che, nonostante gli anni passati, riescono a sventare i piani del re, che alla fine del film sarà costretto a concedere la Magna Charta. Rogues of Sherwood Forest, diretto dal veterano Gordon Douglas, è un film che rischiamo di dimenticare se non per l’interpretazione di Alan Hale, che riprende per la terza volta - e dopo ventotto anni - il ruolo di Little John.

È il suo ultimo film: nel 1950, a causa di un disturbo al fegato, Alan Hale muore. Lascia la moglie, Gretchen Hatrmann, una celebre attrice dell’età del muto. Si sono conosciuti sul set e si sono sposati nel 1914. Gretchen dopo sessantasette film, decide, come tante altre, di lasciare il cinema nel momento in cui si diffonde il sonoro. E lascia anche tre figli, tra cui Alan Hale Jr, che segue le orme del padre. Il figlio di Little John diventa famoso grazie alla televisione: è Jonas Grumby, detto Skipper nelle novantanove puntate della serie Gilligan’s Island. Anche lui è un caratterista che lavora tanto al cinema: tra i molti ruoli è Porthos in The Fifth Musketeer del 1979. Quarant’anni prima suo padre ha interpretato lo stesso ruolo in The Man in the Iron Mask.
Ci sono film che entrano nella storia e ci sono film che diventano leggende. Alan Hale ha avuto la fortuna - una fortuna ampiamente meritata grazie al suo lavoro - di essere nel cast di uno di questi ultimi. Perché The Adventures of Robin Hood è il film che consegna nell’immaginario di tante generazioni, compresa la nostra, Robin, Marian, Little John e tutti gli allegri compari di Sherwood.
Le scene e i costumi di questo film vengono citati, imitati, falsificati, tutte le volte che si torna a raccontare la storia. In Rabbit Hood Bugs Bunny incontra il personaggio che ha gli inconfondibili tratti di Errol Flynn, mentre in Robin Hood Duffy è proprio Daffy Duck a diventare l’eroe di Sherwood, con Porky Pig nella parte di Frate Tuck. E anche Pippo diventa Robin in Goofin’ Hood & His Melancholy Men. Mel Brooks saccheggia a piena mani dal film di Curtiz, come ha fatto qualche anno prima Danny Kaye.
Chiudete gli occhi e pensate a Robin Hood. Non vi verranno in mente i costumi certo più storicamente corretti di Kevin Costner o Russell Crowe, ma l’improbabile calzamaglia verde di Errol Flynn.

continua… sì, la storia non finisce qui... nell’attesa, potete leggere ancora di de Havilland as Melania...

Verba volant (827): arco...

Arco
, sost. m.

Anche se ci siamo innamorati di Lady Marian o abbiamo sognato di tirare di spada come l’eroe che ruba ai ricchi per donare ai poveri - roba da vecchi comunisti - se dobbiamo raccontare in una sola scena il film The Adventures of Robin Hood (che abbiamo già raccontato qui) non possiamo che ricordare il colpo “spacca la freccia”. Il principe Giovanni, istigato dal perfido Guy di Gisbourne, ha organizzato un torneo per stabilire chi sia il più abile arciere del regno. È una trappola: sanno che Robin Hood parteciperà, soprattutto per rivedere Marian, che premierà il vincitore con una freccia d’oro. Si susseguono i colpi, un centro dopo l’altro. Si distingue questo arciere misterioso, che naturalmente è Robin - come non riconoscere gli inconfondibili baffetti di Errol Flynn. Il capitano Philip de Arras - interpretato da James Baker, comparsa in tanti film degli anni Trenta, per esempio è un soldato in The Plainsman, ossia La conquista del West, il classico di DeMille - con il suo colpo fa un centro perfetto. Robin sorride beffardo, tende l’arco e scocca il colpo. Incredibilmente la freccia di Robin taglia esattamente a metà per la lunghezza la freccia di Philip e si fissa al centro del bersaglio. L’arciere misterioso ha vinto, ma viene arrestato dagli sgherri dello sceriffo di Nottingham: solo Robin Hood può fare un colpo simile.
Ovviamente non è Errol Flynn a scoccare quel colpo, lui si limita a tendere l’arco, è Howard Hill a lanciare tutte le frecce che durante il film colpiscono i soldati del principe Giovanni o i bersagli durante la gara. I soldati indossano sotto le uniformi delle piastre metalliche ricoperte da legno di balsa che dà l’illusione che le frecce penetrino nella carne. Nonostante queste indispensabili precauzioni i colpi fanno comunque male, anche se, grazie all’abilità di Howard non ci sono feriti nella lavorazione del film.

Howard è nato in Alabama nel 1899. Cresce in una fattoria di cotone, gli piacciono le armi e dimostra fin da bambino una grande abilità nell’usare l’arco. I boschi intorno alla sua casa sono la sua prima palestra. Al liceo eccelle nello sport, baseball, basket, football, golf e naturalmente tiro con l’arco. Nel settembre del 1918 si arruola, ma la prima guerra mondiale finisce due mesi dopo e così non parte per l’Europa. Pensa di diventare un professionista nel baseball, poi nel golf, ma alla fine capisce che la sua fortuna è l’arco. Si sposa con Elizabeth e si trasferisce in Florida. Negli anni Venti diventa, come scrivono i giornali, “il più grande arciere del mondo”. Vince centonovantasei gare consecutive. Nel 1928 ottiene il record per il tiro più lontano: scaglia una freccia a 358 metri. È l’età del jazz e Howard diventa una star, quando è il primo uomo bianco a uccidere con una freccia un elefante pesante più di quattro tonnellate durante un safari in Africa. A questo punto l’industria del cinema scopre Howard, che porta la sua famiglia a Hollywood. E l’arciere diventa stuntman e consulente di tiro per l’arco per le grandi case di produzione. In The Singing Buckaroo è l’indiano Maneeto, amico del protagonista interpretato da Fred Scott, il “cow-boy cantante” e poi arriva la grande occasione del film della Warner dedicato all’eroe di Sherwood. Nei titoli è accreditato come interprete di Elwyn il Gallese, il capo delle guardie di sir Guy, ma soprattutto è quello che scaglia le frecce, senza mai sbagliare un colpo. E che insegna a Errol Flynn e a tutti gli altri come si tiene in mano un arco.
Ma nemmeno a Howard riesce l’incredibile colpo “spacca la freccia”. Prova molte volte a realizzare quel tiro e in diverse occasioni riesce con la seconda freccia a colpire l’estremità della prima, ma spaccarla a metà, come si vede nel film, è davvero impossibile. Così entrano in gioco i tecnici della Warner che costruiscono una speciale freccia con la punta più larga e soprattutto che arriva nel posto stabilito grazie a un filo invisibile per “tagliare” la freccia già conficcata sul bersaglio. Così Howard riesce nell’impresa: ci vuole comunque una grande abilità e una mano fermissima. Negli anni successivi molti tenteranno, ma naturalmente nessuno ci riuscirà.

Dopo il film di Curtiz, la fama di Howard Hill cresce. Fa il consulente e tira le frecce in Bufalo Bill con Joel McCrea e la bellissima Maureen O’Hara, torna a lavorare con l’amico Errol in San Antonio, un classico del western, e quando la Columbia nel 1946 produce The Bandit of Sherwood Forest - con Russell Hicks nel ruolo del vecchio Robin Hood, Cornel Wilde in quello di suo figlio che fa innamorare Anita Louise (la bellissima Titania nel classico della Warner del 1935) - Howard torna a combattere contro gli uomini dello sceriffo. La Columbia vorrebbe intitolare il film Il figlio di Robin Hood, come il romanzo da cui è tratto, ma intanto la MGM ha acquistato i diritti sul nome “Robin Hood” e quindi bisogna cambiare titolo. Qualcuno pensa anche a Howard per il ruolo del protagonista, ma ormai è troppo vecchio. Il film non entra nella storia del cinema, ma è un ottimo successo al botteghino. Across the Wide Missouri con Clark Gable è un altro dei classici western per cui fa il consulente.
Il 17 febbraio 1955 Howard è l’ospite di You Bet Your Life, il popolare quiz condotto da Groucho Marx, trasmesso sulla NBC. Dal 1950 al 1961 saranno oltre cinquecento le puntate dello show che diventa un appuntamento del pubblico televisivo americano. Howard si diverte a raccontare a Groucho le sue esperienze di caccia all’elefante e le sue prodezze sui set cinematografici. Non riesce però a vincere il premio finale di millecinquecento dollari: sbaglia una risposta sulla battaglia di Hastings, un combattimento in cui gli arcieri hanno avuto un ruolo fondamentale.