domenica 28 febbraio 2010

"Basta!" di Raffaello Baldini


E pu basta, a m so stòff,
l'è tòtt i dè cumpàgn, u n s nu n pò piò.
A m vì fè crèss i bafi!
Mo acsè...
Mo acsè, dal vòlti, quant a tòurn a chèsa,
la saìra, préima d'infilé la cèva,
a sòun, drin, drin,
u n'arspònd mai niseun.

"Presto o tardi" di Eugenio Montale


Ho creduto da bimbo che non l'uomo
si muove ma il fondale, il paesaggio.
Fu quando io, fermo, vidi srotolarsi
il lago di Lugano nel vaudeville
di un Dall'Argine che probabilmente
in omaggio a se stesso, nomen omen,
non lasció mai la proda. Poi mi accorsi
del mio puerile inganno e ora so
che volante o pedestre, stasi o moto
in nulla differiscono. C’è chi ama
bere la vita a gocce o a garganella;
ma la bottiglia è quella, non si può
riempirla quando è vuota.

giovedì 25 febbraio 2010

Considerazioni libere (79): a proposito di crisi e di lavoro...

Lo spunto per questa mia nuova "considerazione" è una notizia che riguarda l'imminente congresso della Cgil di Bologna. Al contrario di quello che è accaduto nel resto d'Italia, dove la seconda mozione - quella sostenuta dalla Fiom contro quella della maggioranza guidata da Gugliemo Epifani - è arrivata al 17%, qui a Bologna ha ottenuto il 39%, che diventa il 54% se si calcolano soltanto gli attivi e quindi si tolgono dal numero totale degli iscritti i pensionati dello Spi.
Non conosco le dinamiche sindacali né a livello nazionale né a livello locale - e non è di questo che voglio occuparmi qui - ma francamente questo risultato non mi stupisce molto. A Bologna stiamo soffrendo moltissimo la crisi economica; scusate se parlo della mia città - mi rendo conto che ci sono altre realtà dove le condizioni sono ancora peggiori - ma voglio raccontare di una situazione che conosco bene e che vivo.
Credo sia utile richiamare alcuni dati. Le ore di cassa integrazione ordinaria concesse nel 2009 hanno superato di molto la soglia dei dieci milioni rispetto a 1.400.000 del 2008: un aumento del 923%; nel solo settore metalmeccanico l'aumento è stato del 2.148%. Inoltre bisogna aggiungere le 2.700.000 ore di cassa integrazione straordinaria, anticamera del licenziamento. Quando si attraversa una zona industriale di uno dei Comuni intorno alla città è ormai impossibile non vedere le bandiere dei sindacati e gli striscioni che indicano le aziende in crisi e dove i lavoratori stanno lottando per mantenere il posto di lavoro. I disoccupati erano 10.314 nel 2008 e sono diventati 19.122 nel 2009: un aumento dell'85%. Sono aumentati del 22% gli iscritti ai Centri per l'impiego, con una percentuale maggiore negli uomini tra i 25 e i 44 anni. Nel 2008 gli avviati al lavoro sono stati 210mila, nel 2009 sono scesi a 170mila, di cui solo il 15% a tempo indeterminato. Le cifre rischiano di essere fredde, eppure raccontano il dramma di tantissime famiglie.
Personalmente ho vissuto questo ultimo anno, insieme a mia moglie, in una situazione di incertezza, tra disoccupazione e precarietà - incertezza che peraltro non è finita - e mi sono reso conto del gran numero di persone, anche adulti, che cercano lavoro e sono disposti ad accettare retribuzioni e condizioni di lavoro decisamente sotto la media. Ci sono le famiglie dei genitori e dei nonni che sorreggono tante situazioni, ci sono la Caritas e le associazioni di volontariato, ci sono alcuni servizi offerti dalle amministrazioni locali, ma questa rete si sta sempre più smagliando. E' una situazione reale, che si tocca con mano tutti i giorni.
Di fronte a tutto questo, di fronte anche a una radicalizzazione della lotta sociale - come mostra il successo della seconda mozione al congresso della Cgil - la sinistra a Bologna è assolutamente afona. Non è soltanto il caso Delbono ad avere tolto la parola al Partito Democratico: già prima che scoppiasse lo scandalo, il Pd non era l'interlocutore del mondo del lavoro, né di chi il lavoro lo ha e magari rischia di perderlo né di chi il lavoro non lo ha e lo sta cercando. A onor del vero bisogna dire che neppure a sinistra del Pd si muove molto. Sembra un paradosso: proprio quando ci sarebbe bisogno di più sinistra, perché un diritto fondamentale come quello del lavoro viene negato, non c'è un interlocutore politico di sinistra che assuma questo tema come centrale. Mi pare che questa sia l'ennesima campagna elettorale dove parliamo d'altro.

mercoledì 24 febbraio 2010

da "Saggi" di Michel de Montaigne

E' possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa miserabile e meschina creatura, che non è neppure padrona di se stessa ed è esposta all'ingiuria di tutte le cose, si dica padrona e signora dell'universo, di cui non è in suo potere conoscere la minima parte, tanto meno comandarla? E quel privilegio che si attribuisce, di essere cioè il solo in questa gran fabbrica ad avere la facoltà di riconoscerne la bellezza delle parti, il solo a poter render grazie all'architetto e a tener conto del bilancio del mondo, chi gli ha conferito questo privilegio? [...] La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. La più calamitosa e fragile di tutte le creature è l'uomo, e al tempo stesso la più orgogliosa. Essa si vede e si sente collocata qui, in mezzo al fango e allo sterco del mondo, attaccata e inchiodata alla peggiore, alla più morta e putrida parte dell'universo, all'ultimo piano della casa e al più lontano dalla volta celeste, insieme agli animali della peggiore delle tre condizioni (ossia l'aerea, l'acquatica e la terrestre); e con l'immaginazione va ponendosi al di sopra del cerchio della luna, e mettendosi il cielo sotto i piedi. E' per la vanità di questa stessa immaginazione che egli si eguaglia a Dio, che si attribuisce le prerogative divine, che trasceglie e separa se stesso dalla folla delle altre creature, fa le parti agli animali suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro quella porzione di facoltà e di forze che gli piace. Come può egli conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto tra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la mia gatta, chi sa che essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei? [...] Di fatto, perché un papero non potrebbe dire così: "Tutte le parti dell'universo mi riguardano; la terra mi serve a camminare, il sole a darmi luce, le stelle a ispirarmi i loro influssi; ho tale il vantaggio dai venti, il tal altro dalle acque; non c'è cosa che questa volta celeste guardi con altrettanto favore quanto me; sono il beniamino della natura; non è forse l'uomo che mi nutre, mi alloggia, mi serve? E' per me che egli fa seminare e macinare; se mi mangia, così fa l'uomo anche col suo compagno, e così faccio io con i vermi che uccidono e mangiano lui".

Considerazioni libere (78): ancora a proposito delle conseguenze della guerra...

Nella "considerazione" nr. 76 ho raccontato cosa è successo ai profughi di Marjah, nel sud dell'Afghanistan.
Vi invito ancora una volta a leggere alcune testimonanianze dal sito Peace reporter: sono le storie di sette bambini, che hanno avuto la sfortuna di trovarsi in quella città durante l'attacco e ora hanno la fortuna di essere curati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah.
Sono sette vittime della guerra:
  • Fazel, 10 anni, colpito alle ginocchia mentre giocava in giardino;
  • Gulalay, 12 anni, colpita a un fianco da una pallottola mentre curava i suoi animali;
  • Alì, 13 anni, colpito a una scapola mentre aiutava il nonno a rifugiarsi in casa;
  • Khudainazar, 11 anni, colpito all'inguine da una pallottola mentre riempiva taniche d'acqua;
  • Akter, 9 anni, centrato alla testa da un proiettile mentre guardava la guerra dalla finestra;
  • Roqia, 12 anni, colpita a una gamba mentre prendeva l'acqua in cortile;
  • Said, 7 anni, colpito da una pallottola in pieno petto, semplicemente perché era lì.
Non c'è molto da aggiungere...

martedì 23 febbraio 2010

da "Cervelli in una vasca da bagno" di Hilary Putnam

Immaginate che un essere umano (potete immaginare di essere voi) sia stato sottoposto ad un’operazione da parte di uno scienziato malvagio. Il cervello di quella persona (il vostro cervello) è stato rimosso dal corpo e messo in un’ampolla piena di sostanze chimiche che lo tengono in vita. Le terminazioni nervose sono state connesse ad un computer superscientifico che fa sì che la persona a cui appartiene il cervello abbia l’illusione che tutto sia perfettamente normale. Sembra che ci siano persone, oggetti, il cielo ecc., ma in realtà l’esperienza della persona (la vostra esperienza) è in tutto e per tutto il risultato degli impulsi elettronici che viaggiano dal computer alle terminazioni nervose. Il computer è così abile che se la persona cerca di alzare il braccio la risposta del computer farà sì che "veda" e "senta" il braccio che si alza. Inoltre, variando il programma lo scienziato malvagio può far sì che la vittima "esperisca" (ovvero allucini) qualsiasi situazione o ambiente lo scienziato voglia. Può anche offuscare il ricordo dell’operazione al cervello, in modo che la vittima abbia l’impressione di essere sempre stata in quell’ambiente.
[...] Potremmo anche immaginare che tutti gli esseri umani ... siano cervelli in un’ampolla. Naturalmente lo scienziato malvagio dovrebbe trovarsi al di fuori. Dovrebbe? Magari non esiste nessuno scienziato malvagio; magari l’universo ... consiste solo di macchinari automatici che badano a un’ampolla piena di cervelli. Supponiamo che il macchinario automatico sia programmato per dare a tutti noi un’allucinazione collettiva ... Quando sembra a me di star parlando a voi, sembra a voi di star ascoltando le mie parole. Naturalmente le mie parole non giungono per davvero alle vostre orecchie, dato che non avete (vere) orecchie, né io ho una vera bocca e una vera lingua. Invece, quando produco le mie parole quel che succede è che gli impulsi efferenti viaggiano dal mio cervello al computer, che fa sì che io "senta" la mia stessa voce che dice quelle parole e "senta" la lingua muoversi, ecc., e anche che voi "udiate" le mie parole, mi "vediate" parlare, ecc. In questo caso, in un certo senso io e voi siamo davvero in comunicazione. Io non mi inganno sulla vostra esistenza reale, ma solo sull’esistenza del vostro corpo e del mondo esterno, cervelli esclusi.

"Arrivederci fratello mare" di Nazim Hikmet


Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.

Considerazioni libere (77): a proposito di cittadini e cittadinanza...

Nel nr. 833 di Internazionale la scrittrice e giornalista israeliana Amira Hass racconta una piccola storia, che credo meriti di essere conosciuta.
Elias è nato quarant'anni fa nella città vecchia di Gerusalemme; è di origine armena, i suoi nonni e i suoi genitori si trasferirono in Palestina negli anni Venti del secolo scorso, dopo essere scampati al genocidio dello loro gente in Turchia (un'altra storia questa che meriterebbe di essere raccontata). Dopo l'annessione di fatto di Gerusalemme est da parte di Israele, in seguito alla guerra del '67, Elias ha rifiutato di chiedere la cittadinanza del paese occupante ed è diventato "residente permanente", ma formalmente straniero, nella città in cui è nato. Dal '95, dopo molti anni di "tolleranza", il governo israeliano ha deciso di non riconoscere più lo status di "residente permanente". Elias, come molti altri, si è trasferito negli Stati Uniti, ma dopo l'11 settembre ha preferito ritornare nella sua città, con un visto turistico. Nel gennaio di quest'anno, è stato fermato a un posto di blocco a Ramallah - cosa non infrequente, immagino, in quelle zone di guerra continua - ed è stato arrestato in quanto straniero rimasto illegalmente nella città in cui è nato.
La storia finisce qui e naturalmente si spera che Elias possa essere liberato, grazie anche all'intervento di israeliani come Amira Hass, che hanno sollevato il caso.
Io credo però che serva a riflettere sulla complessità di quella vicenda e sull'inutilità di avere posizioni troppo nette, acriticamente filoisraeliane o filopalestinesi. Elias non è né ebreo né palestinese, ma è senza dubbio un cittadino di Gerusalemme, perché in quella città è nato, è andato a scuola, ha lavorato, ha tutti i suoi ricordi, lì sono sepolti i suoi familiari. Eppure è considerato straniero, perché lo ius sanguini ancora prevale sullo ius soli. E' così anche in Italia e temo che, visto il clima politico e culturale in cui ci troviamo, sarà così ancora a lungo.

sabato 20 febbraio 2010

Considerazioni libere (76): a proposito delle conseguenze di una battaglia...

Lo scorso 12 febbraio l'esercito della Nato e quello afghano hanno lanciato un'offensiva contro i talebani della città di Marjah e di alcuni altri villaggi del distretto di Nadali, nella parte meridionale del paese.
Il sito Peace reporter racconta cosa sta succedendo in questi giorni ai circa 13mila civili sfollati da Marjah.
Circa 1.600 famiglie, ovvero oltre 10mila persone - tra cui donne, bambini e anziani - si sono diretti a est verso il capoluogo Lashkargh. Né l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati né il governo afghano si stanno occupandi di loro; il primo spiega che molti di questi si stanno organizzando da soli, affittando delle stanze in città o facendosi ospitare da parenti e amici, e quindi non esiste una situazione così drammatica da rendere necessario un intervento; il secondo ammette che "non vogliamo che questa diventi un'emergenza prolungata, in cui la gente poi rimane qui per sempre". Chi non è riuscito a organizzarsi da solo è finito nel vecchio campo profughi di Mokhtar, a nord di Lashkargh, una baraccopoli senza alcun servizio, dove vivono già oltre 20mila sfollati, fuggiti dai loro villaggi o dopo la prima offensiva occidentale del 2001 o nelle periodiche offensive - praticamente una ogni primavera - che ogni volta vengono annunciate come risolutive.
Gli sfollati che hanno deciso di andare a sud, verso Nawa (circa 100 famiglie) o verso ovest, in direzione della provincia di Nimruz (circa 300 famiglie) sono in una condizione ancora peggiore: dopo aver attraversato centinaia di chilometri di deserto sono accampati senza nessun tipo di aiuto.
Chi ha voluto - e soprattutto ha dovuto - rimanere a Marjah sta naturalmente ancora peggio: sono già ventisei i civili uccisi negli scontri dalle truppe alleate, forse usati come scudo umano dai talebani o semplicemente capitati in mezzo alle pallottole e alle bombe.
Con questa "considerazione" non voglio riaprire il dibattito sui motivi che hanno portato i paesi occidentali a intervenire e a rimanere in Afghanistan (ne ho parlato nella "considerazione" nr. 1, cinque mesi fa) - a questo punto forse sarebbe anche peggio ritirarsi. Comunque mi sembra necessario ricordare sempre che nelle guerre - anche in quelle "giuste", se ce sono - ci sono conseguenze drammatiche per le donne, per i bambini, per i più deboli. Non possiamo dimenticare.

"Stanchezza" di Fernando Pessoa

Quello che c'è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose -
queste e cio' che manca in esse eternamente -
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C'è senza dubbio chi ama l'infinito,
c'è senza dubbio chi desidera l'impossibile,
c'è senza dubbio chi non vuole niente -
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere...
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita...
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza...

Considerazioni libere (75): a proposito del controllo dell'acqua...

Voglio continuare a parlare di acqua (le precedenti "considerazioni" sul tema sono la nr. 70 e la nr. 72). Dell'acqua infatti non si parla quasi mai, eppure intorno a questa risorsa, sempre più preziosa, si giocano complicate partite di geopolitica.
Il governo della Turchia ha annunciato che nelle prossime settimane inizieranno i lavori per la costruzione della diga di Ilisu; un'opera dai grandi numeri: alta 138 metri e larga 1.820, creerà un lago artificiale di 313 chilometri quadrati e alimenterà una centrale elettrica da 1.200 megawatt di potenza. Questa diga si trova nell'Anatolia sud-orientale, nel Kurdistan turco e fa parte di un progetto ben più complesso che prevede a regime la costruzione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche lungo gli alti corsi del Tigri e dell'Eufrate.
Questo sistema di dighe rischia seriamente di ipotecare i flussi d'acqua verso la Siria e soprattutto verso l'Iraq e quindi di accendere nuove cause di conflitto in un territorio dal precario equilibrio, dove la gestione delle scarse risorse idriche ed energetiche rappresenta un elemento fondamentale.
C'è un altro aspetto molto grave: la realizzazione del bacino costringerà dai 60mila agli 80mila curdi che vivono in quel territorio a lasciare case, terre, attività economiche; e occorre ricordare che i curdi in Turchia vivono già in una condizione di minori diritti rispetto alla maggioranza della popolazione del paese. Le acque seppelliranno diverse città, 290 siti di valori archeologico e soprattutto la città-museo di Hasankeyf, città in cui hanno vissuto nei secoli assiri, romani, bizantini, ottomani e dove ci sono testimonianze di tutti questi passaggi, una delle tappe della "via della seta" verso la Cina: un patrimonio inestimabile che sarà distrutto.
La comunità internazionale ha tentato di protestare e di fermare il progetto; Germania, Austria e Svizzera, che in una prima fase erano coinvolte nella realizzazione delle diga, si sono ritirate nel luglio dell'anno scorso. Il primo ministro Erdogan ha annunciato che le risorse sono state comunque messe a disposizione da due banche turche e quindi i lavori possono riprendere. In fondo la Turchia è un alleato troppo importante e i curdi sono troppo deboli: e così le proteste e gli appelli finiscono per cadere nel vuoto. Da parte del nostro governo c'è in particolare una speciale attenzione verso la Turchia, dettata anche dai notevolissimi interessi economici dell'Eni. E quindi di questo - come di tanto altro - si preferisce non parlare.

"Immagini di repertorio" di Roberto Roversi

La cometa di Halley
portò la sabbia del cielo fra le mie
mani così ho ascoltato per la prima volta il tempo
che mi diceva aspetta
ancora tutto non è compiuto
ho attraversato per brevi momenti un deserto
quieti erano all’ombra i tre cammelli che si riposavano
poi tutto accadde o potè accadere
in quella successione di ore.
E’ stato luminoso il lampo del faro
fino a che la corrente l’ha aiutato
- l’occhio dell’uomo superstite di un’antica razza
riteneva quel muro una reggia
non certo un luogo di relegazione -
sul cuore del mare calò la sera intera e
un marinaio tornava a contare le stelle da sud a nord.
Erano tempi antichi.
Oggi la sonda avanzerà. Le ombre eventuali. Le asperità…
Il nucleo la coda l’inizio della coda
a mezzo milione di chilometri
con trentasei paesi collegati
cento miliardi di comete intorno al sole.
Per il momento non polveri. Le polveri in movimento
sono molto fini.
La terra il sistema solare in formazione.
Una nube collassa verso il centro
dove sta il sole
il rosso s’accende, si accendeva
la nube che era
fra le stelle
viene aspirata dai pianeti.
Ecco la terra
i crateri formati dai meteoriti
che col tempo sono cancellati
dalle tempeste vive.
FASE FINALE
aspettiamo il susseguirsi degli eventi
ancora non si hanno notizie
se si sono incontrate onde
particolari e violente
Ultimo minuto (la regìa mi sente?)
possiamo mandare il traduttore
sulla via internazionale?
Questo è il giorno in cui Hitler, rispondeva la voce,
è partito per le ferie
d’estate.
Non ho fame diceva
il bambino fermo al semaforo.
Com’era lontano il mondo vecchio
e noi già seduti sopra la luna.
L’età del ciclostile è finita.
Compagna di battaglie
che giorni e giorni e tempeste di albe
abbiamo vissuto
quante rondini abbiamo contate in volo
prima che cadesse l’inverno.
Quante ombre possiamo ricordare.
Era come salire le scale
da piano a piano
le scale portavano al tetto
lì uccelli immobili
masticavano il cielo.
LE NUBI DEL TRAMONTO CADEVANO A PEZZI.

venerdì 19 febbraio 2010

da "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci (II)

30 gennaio 1933

Carissima Iulca,
ho ricevuto una tua lettera abbastanza lunga. Che Giuliano abbia proposto di mandarmi il suo primo dentino di latte perduto mi ha fatto molto piacere: mi pare che questo tratto mostri in modo concreto come egli senta un reale legame tra me e lui. Forse avresti fatto bene a mandarmi davvero il dentino, in modo che questa impressione si fosse ancor più rinvigorita nel suo animo. Le notizie che mi mandi sui bambini mi interessano enormemente. Non so se le mie osservazioni sono sempre adeguate; forse no, perché, nonostante tutto, il mio giudizio non può essere unilaterale. Tania mi ha trascritto una tua lettera a lei. Mi pare che tu, scrivendo a me, eviti di dirmi molte cose, forse per il timore di contristarmi, date le mie condizioni di carcerato. Credo che tu debba persuaderti che puoi avere con me tutta la franchezza possibile e non nascondermi nulla; perché non dovrebbe esserci tra noi il massimo di confidenza su tutto? Credi che non sia peggio il non sapere, il dubitare che si nasconde qualche cosa e quindi il non essere mai sicuro che il mio atteggiamento sia giusto?
Cara Iulca, devi proprio scrivermi di te e delle tue condizioni di salute con tutta la precisione possibile, senza esitare per il timore di abbattermi. Ciò che mi abbatterebbe solo potrebbe essere il sapere che tu non lotti per migliorare, per riacquistare le forze, e a ciò non credo. Sebbene l'avvenire sia ancora oscuro, non perciò bisogna rilassarsi. Io ho attrezzato molti brutti momenti, mi sono sentito tante volte fisicamente debole e quasi stremato, però non ho mai ceduto alla debolezza fisica e per quanto è possibile dire in queste cose, non credo che cederò neanche d'ora in vanti. Eppure posso aiutarmi ben poco. Quanto più mi accorgo di dover attraversare brutti momenti, di essere debole, di veder aggravarsi le difficoltà, tanto più mi irrigidisco nella tensione di tutte le mie forze volitive. Qualche volta riepilogo questi anni passati, penso al passato e mi pare che se sei anni fa mi fossi prospettato di dover attraversare ciò che ho attraversato, non l'avrei creduto possibile, avrei giudicato di dovermi spezzare ad ogni momento. Proprio sei anni fa, sono passato, indovina? da Ravisindoli, in Abruzzo, che tu qualche volta hai ricordato per esserci stata in villeggiatura, d'estate. Ci sono passato chiuso in un vagone di metallo che era stato tutta la notte sotto la neve e io non avevo né soprabito, né maglia di lana e non potevo neanche muovermi perché bisognava stare seduti per la mancanza di spazio. Tremavo tutto come per la febbre, battevo i denti, e mi pareva di non essere in grado di finire il viaggio perché il cuore sarebbe gelato. Eppure sono trascorsi sei anni da allora e sono riuscito a cacciarmi di dosso quel freddo da ghiacciaia e se qualche volta mi tornano quei brividi (che un po' mi sono rimasti nelle ossa) mi metto a ridere ricordando quel che allora pensavo e mi paiono fanciullaggini. Insomma, la tua lettera a Tania mi è sembrata troppo malinconica e tetra. Penso che anche tu sei molto più forte di quanto tu stessa non pensi e che devi perciò ancora irrigidirti e tenderti tutta per superare la crisi che hai attraversato, in modo decisivo.
Cara, vorrei aiutarti, ma spesso penso che nel passato, per non sapere esattamente come tu stavi, posso invece aver contribuito a farti ancora disperare. Scrivimi spesso; fa forza su te stessa e scrivimi più spesso. Fa scrivere anche Delio e Giuliano. Su Delio ho letto una lettera di Genia e Tania, che in verità, mi è piaciuta poco. Dopo aver letto questa lettera, ciò che tu scrivi a proposito della maestra di Delio, e dei suoi errori di valutazione, non mi pare molto convincente. Mi pare che Delio viva in una atmosfera ideologica un po' morbida e bizantina, che non lo aiuta a essere energico, ma piuttosto lo snerva e debilita. Voglio ancora scrivere a Delio qualche storia di animali viventi, ma ho paura di ripetere cose già scritte, perché adesso dimentico le cose molto facilmente.
Ti abbraccio forte forte, cara.

Antonio

mercoledì 17 febbraio 2010

Considerazioni libere (74): a proposito di intercettazioni e altro...

Se questo fosse un paese diverso da quello che purtroppo è diventato, ciò che sta succedendo in questi giorni segnerebbe una frattura profonda, una di quelle cesure che definiscono i capitoli in un libro di storia, in questo caso della storia recente della nostra Repubblica.
Infatti le conversazioni intercettate che leggiamo sui giornali, gli scambi di favori, regali, prostitute, gli enormi interessi economici gestiti da pochi funzionari senza scrupoli e dai loro amici imprenditori, segnano la fine dell'idea più forte apparsa in questi anni nella vita politica della cosiddetta "seconda repubblica", cominciata con lo scoppio di tangentopoli e la conseguente "discesa in campo" di Silvio Berlusconi. Ovvero l'idea che alla politica inconcludente, parolaia, consociativa - e naturalmente corrotta - tipica dell'Italia democristiana si stava sostituendo una politica concreta, delle cose fatte; la storia personale di Berlusconi, i suoi successi imprenditoriali e sportivi garantivano questo cambio di passo.
La scoperta del verminaio che è cresciuto nei piani più alti della Protezione civile - peraltro animata sul territorio da un volontariato lodevole e da tecnici molto preparati - rappresenta la fine di quel modello virtuoso, dal momento che in questi anni è diventata lo strumento operativo non solo per rispondere alle emergenze, ma soprattutto per realizzare i progetti importanti, con quella tempestività e quell'operatività che la burocrazia romana impone a ogni movimento. Come un amministratore delegato decide e fa eseguire dai suoi collaboratori quello che ha deciso, così il Presidente del consiglio deve poter decidere e avere le persone per realizzare le sue decisioni. Certamente sono stati raggiunti alcuni risultati, molte cose sono state fatte, anche se l'enfasi delle campagne mediatiche ne ha molto amplificato la portata.
Eppure si è scoperto che la parte peggiore del nostro paese ha preso il sopravvento, fino ad annullare anche la bontà di questi risultati. Un gruppo ristretto di persone - significativamente uomini - si è impadronita del gioco e ne ha fatto uno strumento di potere personale, con un corollario di piccinerie che però danno il quadro della generale decadenza: mentre si occupavano della gestione di appalti di milioni di euro, trovavano il tempo per trovare una particina per il figlio in una fiction televisiva, per fare un giro in idrovolante o cenare nei ristoranti più alla moda. Anche questi potenti hanno sacrificato un po' del loro potere alla logica dell'apparire.
Come ho scritto nella mia precedente "considerazione" - che vi invito a leggere perché è strettamente legata a questa - molto probabilmente questo scandalo sarà "assorbito" senza troppi traumi dall'opinione pubblica. Bertolaso rimarrà al suo posto, essendo certamente più cauto nei suoi "svaghi", Berlusconi continuerà a sostenere che sono importanti le cose effettivamente realizzate e i cittadini prima o poi dimenticheranno anche queste brutte pagine. La frattura comunque è avvenuta, credo ne saranno più consapevoli di noi le persone che tra qualche decennio proveranno a raccontare e a interpretare la storia italiana.
Da persona di sinistra, mi spiace infine dover constatare che proprio dalla nostra parte non è venuta una risposta convincente e credibile. Da Marrazzo a Delbono, alcuni nostri amministratori hanno approfittato del loro potere, naturalmente senza la spregiudicatezza di altri, con l'ingenuità e la meschinità di chi vuol fare la bella vita, ma solo un po', tanto per provare come ci si sente. Né è venuta una denuncia forte dalle forze dell'opposizione.
Ma questo oramai è; spero sempre di essere io a essere diventato inguaribilmente pessimista.

martedì 16 febbraio 2010

da "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci (I)

15 giugno 1931

Carissima mamma,
ho ricevuto la lettera che mi hai scritto con la mano di Teresina. Mi pare che devi spesso scrivermi così; io ho sentito nella lettera tutto il tuo spirito e il tuo modo di ragionare; era proprio una tua lettera e non una lettera di Teresina. Sai cosa mi è tornato alla memoria? Proprio mi è riapparso chiaramente il ricordo quando ero in prima o in seconda elementare e tu mi correggevi i compiti: ricordo perfettamente che non riuscivo mai a ricordare che "uccello" si scrive con due c e questo errore tu me lo hai corretto almeno dieci volte. Dunque se ci hai aiutato a imparare a scrivere (e prima ci avevi insegnato molte poesie a memoria; io ricordo ancora Rataplan e l'altra "Lungo i clivi della Loria - che quel nastro argentato - corre via per cento miglia - un bel suolo avventurato") è giusto che uno di noi ti serva da mano per scrivere quando non sei abbastanza forte. Scommetto che il ricordo di Rataplan e della canzone della Loira ti fanno sorridere. Eppure ricordo quanto ammirassi (dovevo avere quattro o cinque anni) la tua abilità nell'imitare sul tavolo l rullo del tamburo, quando declamavi Rataplan. Del resto tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le quistioni dell'anima e dell'immortalità del'anima e del paradiso e dell'inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all'altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei già da allora, nel'unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d'accordo con me più di quanto non pare. Dì a Teresina che aspetto l'altra lettera che mi ha promesso.
Ti abbraccio teneramente con tutti a casa.

Antonio

lunedì 15 febbraio 2010

Considerazioni libere (73): a proposito del rispetto delle regole...

Un paio di settimane fa un concorrente del Grande Fratello ha bestemmiato in diretta e, a norma di regolamento - come è avvenuto in altre circostanze analoghe - è stato escluso dal gioco. Non voglio entrare nel merito della questione, non mi interessa in questo momento. Semplicemente voglio constatare che esiste una regola - viene escluso dal gioco chi bestemmia - e che è stata applicata: una cosa del tutto normale. Eppure, pur non partecipando più al gioco, quella stessa persona - in nome dell'audience - continua a essere invitata in programmi televisivi, proprio in ragione del fatto che ha infranto quella regola. Anzi, rispetto agli altri concorrenti, rischia di essere il più famoso, proprio grazie a quella bestemmia.
Questa piccola vicenda mi sembra la perfetta metafora di quello che avviene normalmente nel nostro paese. Chi infrange una regola, e anche chi commette un reato, diventa immediatamente un personaggio e come tale acquista una notorietà "positiva". Ci sono persone, ad esempio Fabrizio Corona, che devono la loro notorietà esclusivamente al fatto di essere stati indagati e condannati, eppure possono tranquillamente essere scelti come testimonial di una campagna pubblicitaria o gli ospiti speciali dell'inaugurazione di un negozio o di un locale.
Esiste - e temo sia ormai prevalente - nel nostro paese una amoralità diffusa, per cui sembra prevalere la regola "tutti colpevoli, nessun colpevole".
Ormai per un uomo di un qualche potere - un politico o un manager o un intellettuale - essere scoperto con una prostituta non è più un elemento di vergogna, capace di stroncare una carriera, per quanto brillante. E la prostituta a volte diventa anch'essa un personaggio, contesa dai programmi televisivi. In una società profondamente maschilista come la nostra, è ancora scandaloso essere scoperti con un transessuale, ma probabilmente anche questo tabu è destinato a cadere. Per questo Berlusconi continua a rimanere al suo posto e Marrazzo si è dovuto dimettere. Delbono ha dovuto lasciare la poltrona di sindaco non per la sua "disinvoltura sentimentale" - chiamamola così, in maniera un poco ipocrita - ma per l'uso delle risorse pubbliche: fino a che la notizia è stata quella che aveva nominato come segretaria la sua fidanzata non ci sono stati problemi, tanto è vero che è stato eletto con una buona percentuale dai suoi concittadini.
Ilvo Diamanti, in un articolo pubblicato su "la Repubblica" di domenica 14 febbraio, che vi invito a leggere, spiega in maniera impietosa come ormai in Italia ci stiamo abituando a ogni tipo di scandalo e non riusciamo più a scandalizzarci.
Quando Silvio Berlusconi dice: "Se una persona opera bene al 100% e c'è un 1% discutibile, questo va messo da parte, mi sembra una cosa di buon senso che non è difficile da capire", al di là dell'acrobazia matematica - per cui questa persona arriva la 101% - esprime davvero quello che pensa la grande maggioranza degli italiani. Quelli che si lamentano perché i politici sono tutti ladri - e magari hanno pure letto "La casta" - ma non avrebbero nessuna remora a chiedere una raccomandazione per il proprio figlio al potente di turno: "tanto fanno tutti così". Quelli che si lamentano quando leggono che un imprenditore gudagna meno dei suoi operai, ma che non esitano a evadere il fisco, non appena ne abbiano la possibilità: "tanto fanno tutti così". Quelli che si lamentano della malasanità, ma poi allungano qualcosa a qualcuno per passare davanti in una lista d'attesa o avere un posto migliore in un ospedale: "tanto fanno tutti così".
E' vero che nessuno di noi è perfetto e quindi siamo giustamente indulgenti con i peccati altrui, eppure basterebbe che imparassimo a rispettare le regole, tutte le regole, anche quelle che ci danneggiano: rischieremo di essere un po' meno famosi e di non essere invitati in nessun reality, ma forse scopriremo che ne è valsa la pena.

domenica 14 febbraio 2010

da "L'idioma analitico di John Wilkins" di Jorge Luis Borges


Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un'enciclopedia cinese che s'intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all'Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s'agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.

sabato 13 febbraio 2010

Considerazioni libere (72): a proposito di acqua...

L'acqua è un bene prezioso, tanto più in quei territori dove è scarsa. Il lago Ciad, che bagna quattro paesi africani - Ciad, Camerun, Niger e Nigeria - era il settimo al mondo per superficie, poteva arrivare, nella stagione delle piogge, fino a 25mila chilometri quadrati di supeficie e forniva di che vivere a circa 30 milioni di persone.
Questa inestimabile risorsa naturale è seriamente minacciata. Da circa quarant'anni il lago subisce un drastico processo di inaridimento dovuto alla variabilità climatica, alla desertificazione e soprattutto allo sfruttamento intensivo dell'acqua dei suoi affluenti: il fatto di trovarsi al confine di quattro stati ne fa un oggetto di contesa tra i vari governi, che invece di studiare il modo per evitare che si riduca a uno stagno nei prossimi vent'anni, cercano di accaparrarsi oggi il massimo di acqua possibile. Attualmente il lago Ciad è ridotto a poco più di 1.300 chilometri quadrati, con le conseguenze che si possono immaginare sulle donne e gli uomini che vivono intorno e grazie a esso.
Questa è un'altra delle tante storie dell'Africa, di cui non si parla. Nei giorni scorsi ho raccontato la vicenda delle dighe sull'Omo (nella "considerazione" nr. 70), anche questa una storia che ruota intorno all'acqua e all'enorme ricchezza che essa rappresenta. Anche qui c'è un lago, il Turkana, che rischia di ridursi sensibilmente, quando sarà completata la costruzione della diga Gilgel Gibe III. Anche qui c'è la sofferenza di donne e uomini che si vedono letteralmente "rubare" l'acqua dalla rapacità dei loro governi e delle aziende dei paesi ricchi - in questo particolare progetto purtroppo l'Italia ha un ruolo di protagonista.

venerdì 12 febbraio 2010

da "La banalità del male" di Hanna Arendt

Naturalmente i giudici sapevano che sarebbe stato quanto mai confortante poter credere che Eichmann era un mostro anche se in tal caso il processo sarebbe crollato o per lo meno avrebbe perduto tutto il suo interesse. Non si può infatti rivolgersi a tutto il mondo e convocare giornalisti dai quattro angoli della terra soltanto per mostrare Barbablú in gabbia. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici bensí erano e sono tuttora terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici questa normalità è piú spaventosa di tutte le atrocità messe insieme poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale realmente hostis generis humani commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. A Gerusalemme lo si vide piú chiaramente che a Norimberga perché là i grandi criminali di guerra avevano sí sostenuto di avere obbedito a “ordini superiori” ma al tempo stesso si erano anche vantati di avere ogni tanto disobbedito e perciò era stato piú facile non credere alle loro proteste d’innocenza. Ma sebbene la malafede degli imputati fosse manifesta l’unica prova concreta del fatto che i nazisti non avevano la coscienza a posto era che negli ultimi mesi di guerra essi si erano dati da fare per distruggere ogni traccia dei crimini soprattutto di quelli commessi dalle organizzazioni a cui apparteneva anche Eichmann. E questa prova non era poi molto solida. Dimostrava soltanto che i nazisti sapevano che la legge dello sterminio data la sua novità non era ancora accettata dalle altre nazioni; ovvero per usare il loro stesso linguaggio sapevano di aver perduto la battaglia per “liberare” l’umanità dal “dominio degli esseri inferiori” in particolare da quello degli anziani di Sion. In parole povere dimostrava che essi riconoscevano di essere stati sconfitti. Se avessero vinto qualcuno di loro si sarebbe sentito colpevole?

giovedì 11 febbraio 2010

da "Amleto" (atto III, scena I) di William Shakespeare

Amleto
Essere… o non essere. E’ il problema.
Se sia meglio per l’anima soffrire
oltraggi di fortuna, sassi e dardi,
o prender l’armi contro questi guai
e opporvisi e distruggerli. Morire,
dormire… nulla più. E dirsi così
con un sonno che noi mettiamo fine
al crepacuore ed alle mille ingiurie
naturali, retaggio della carne!
Questa è la consunzione da invocare
devotamente. Morire, dormire;
dormire, sognar forse… Forse; e qui
è l’incaglio: che sogni sopravvengano
dopo che ci si strappa dal tumulto
della vita mortale, ecco il riguardo
che ci arresta e che induce la sciagura
a durar tanto anch’essa. E chi vorrebbe
sopportare i malanni e le frustate
dei tempi, l’oppressione dei tiranni,
le contumelie dell’orgoglio, e pungoli
d’amor sprezzato e rèmore di leggi,
arroganza dall’alto e derisione
degl’ingegni sul merito paziente,
chi lo potrebbe mai se uno può darsi
quietanza col filo di un pugnale?
Chi vorrebbe sudare e bestemmiare
spossato, sotto il peso della vita,
se non fosse l’angoscia del paese
dopo la morte, da cui mai nessuno
è tornato, a confonderci il volere
ed a farci indurire ai mali ignoti?
La coscienza, così, fa tutti vili,
così il colore della decisione
al riflesso del dubbio si corrompe
e le imprese più alte e che più contano
si disviano, perdono anche il nome
dell’azione.

traduzione di Eugenio Montale

Considerazioni libere (71): a proposito di parità di genere...

Sui nostri mezzi di informazione (a parte "l'Unità" dove ho letto la notizia) è passato sostanzialmente sotto silenzio - ma era facilmente prevedibile - il rapporto intitolato "People first", redatto da Social Watch, un network che conta organizzazioni in oltre sessanta paesi del mondo, dedicato alla parità di genere. L'Italia non fa una bella figura: secondo l'Indice sulla parità di genere (Gei nell‘acronimo inglese), su una classifica di 157 paesi il nostro scende dal 70° al 72° posto rispetto al 2008. Peraltro non è la prima volta che l'Italia in studi di questo genere, condotti con metodi differenti e incrociando dati diversi, occupa la parte bassa della classifica.
Basta sfogliare distrattamente le pagine di un giornale per capire quale sia la condizione delle donne nel nostro paese. Se prendo il "Corriere della sera" di oggi, in prima pagina sono citate o fotografate due donne: Angela Merkel e Anna Wintour, due donne che hanno un potere vero nei loro campi e sono, naturalmente, straniere. Per quanto riguarda l'Italia le "donne" - citate così, testualmente - sono richiamate nel sottotitolo dell'articolo principale, come mezzo di scambio e favori tra "appalti" e "soldi": è abbastanza chiaro che in Italia comandano saldamente gli uomini.
Torniamo alle questioni del mondo. Dal rapporto di quest'anno emergono due tendenze. La prima è sicuramente negativa: cresce la distanza tra i paesi primi in classifica e quelli, come l'Italia, che stanno decisamente peggio; in sostanza nei paesi dove la parità tra uomini e donne è maggiore si registra una tendenza più netta verso il miglioramento, negli stati con livelli di discriminazione più elevati la tendenza va nel senso opposto. Si potrebbe trarre la conclusione che una società in cui le donne hanno un potere reale è migliore e tende a migliorare; vi invito a leggere - o a rileggere - la "considerazione" nr. 14 in cui dicevo, sulla scorta di una serie di indagini economiche, che nei paesi in via di sviluppo maggiori aiuti alle donne garantiscono una crescita maggiore di tutta la società. La seconda tendenza individuata dal rapporto è il miglioramento registrato dal Gei in alcuni paesi poveri, come il Ruanda: Social Watch ne ricava che un alto livello di reddito non è necessariamente sinonimo di maggiore uguaglianza e che anche nei paesi poveri si possono raggiungere buoni livelli di parità. La prima affermazione è sicuramente vera. Riguardo alla seconda credo che possa esserci anche un rovescio della medaglia: in alcuni paesi la situazione è così difficile da livellare, molto in basso, ogni tipo di differenza.
Gli indicatori utilizzati per stilare il rapporto sono il livello di istruzione, la partecipazione all'attività economica e la concessione di pieni poteri alle donne. Fortunatamente ci sono stati progressi nella sfera dell'istruzione - in genere nei paesi in via di sviluppo, quando ne hanno la possibilità, le ragazze hanno un rendimento scolastico migliore di quello dei loro coetanei maschi - ma purtroppo nell'accesso agli spazi decisionali e al potere, le donne continuano ad avere molte meno possibilità degli uomini, anche quando hanno un più elevato livello di istruzione. Il rapporto registra inoltre che i progressi nella partecipazione all'attività economica registrati nel 2008 sono stati completamente azzerati nel 2009, in particolare nella regione dell'Africa subsahariana.
Nel 2009 ha pesato molto la crisi economica globale. Le donne sono le più esposte alla recessione: hanno un minore controllo della proprietà, sono più numerose nei lavori precari e a cottimo, percepiscono salari più bassi e godono di minori livelli di tutela. Secondo l'Onu il tasso globale di disoccupazione femminile potrebbe arrivare al 7,4%, contro il 7% di quella maschile.
Nello stesso rapporto si analizza l’Indice della capacità di base (Bci in inglese) che studia lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun paese. Anche qui i risultati preoccupano: nel 2009 quasi la metà dei paesi analizzati (il 42,1% per la precisione) ha un valore del Bci basso, molto basso o critico. Gran parte delle donne e degli uomini che vivono in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. C'è sempre più bisogno che le donne diventino protagoniste dello sviluppo.

mercoledì 10 febbraio 2010

da "La tempesta" (atto V, epilogo) di William Shakespeare

Prospero
I miei incantesimi sono finiti;
sol mi restano ora le mie forze,
piuttosto scarse, per la verità.
Ora sta a voi decidere, signori,
s'io debba rimanere sempre qui,
racchiuso in questo luogo solitario,
o partire per Napoli con loro.
Ma spero che non sia vostra vaghezza
ch'io resti relegato su quest'isola
- e per vostro incantesimo, in tal caso -
avendo riottenuto il mio ducato
e perdonato a tutti i traditori;
che vogliate al contrario
magicamente con le vostre mani
sciogliermi e liberarmi da ogni laccio,
e gonfiare col vostro fiato amico
le mie vele, altrimenti è il fallimento
di tutto il mio progetto
ch'era quello di farvi divertire.
Non ho più spiritelli al mio comando
né magico potere d'incantesimi;
e la mia fine sarà disperata
se non venga da voi
una tal penetrante intercessione
in mio favore presso la pietà,
da assolvermi da tutte le mie colpe.
E se a voi piace d'esser perdonati
dei peccati, dall'indulgenza vostra
fate ch'io venga assolto anch'io dei miei.

"Uomini in carne e ossa" di Antonio Gramsci

articolo da "Ordine nuovo" dell'8 maggio 1921
Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne e ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana.
Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano ridotti e non erano più sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese. Erano completamente isolati dalla nazione, immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per un mese.
Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c'è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare a una massa di uomini che è aggredita dalle più dure necessità dell'esistenza, che ha la responsabilità dell'esistenza di una popolazione di 40.000 persone, non si può domandare più di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere più oltre o di reagire.
Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese.
Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato; si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno frame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne.
Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili a una visione più reale, a una pratica più congrua e più adeguata allo svolgersi degli avvenimenti.
Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui; oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente. La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi.
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti.

domenica 7 febbraio 2010

Considerazioni libere (70): a proposito di aiuti allo sviluppo...

Lo scorso 13 gennaio il ministro degli esteri Frattini era in visita ufficiale in Etiopia. La notizia è stata di fatto cancellata dalla tragedia di Haiti. Cito direttamente dal sito del ministero.
Il Ministro Frattini ha inaugurato la diga Gilgel Gibe II, realizzata dall’italiana Salini grazie ad un credito d’aiuto di 220 milioni di euro: "L'Italia - ha detto il Ministro - ha contribuito a realizzare un'opera che dà l'accesso all'elettricità a molti milioni di cittadini dell'Etiopia. E' un fatto che cambierà la loro vita’’. Presenti alla cerimonia, il premier Meles Zenawi e le massime autorità etiopiche. Oltre al finanziamento italiano (59%) della diga, c'è un credito della Banca europea degli Investimenti di 50 milioni di euro (13%) per le forniture elettromeccaniche.
Gilgel Gibe II è un tunnel di 26 chilometri costruito per sfruttare la differenza di altitudine tra il bacino artificiale Gilgel Gibe I e il fiume Gibe. Sarebbe meglio dire, era: infatti il 25 gennaio, a sole due settimane dall'inaugurazione, c'è stato un crollo che ha fermato l'impianto. Di questo naturalmente non sapremmo nulla, se non fosse per l'articolo di Stella Spinelli sul sito Peace Reporter e di un servizio del Tg3.
Vi chiedo qualche minuto per leggere queste note, che si trovano nel sito di Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm), che danno un quadro dell'intera vicenda.

Gilgel Gibe III

Una valle ancestrale sta per sparire

Il 19 luglio 2006 la Salini Costruttori s.p.a e l’EEPCo (Ethiopian Electric Power Corporation) firmano un contratto per la costruzione della diga Gilgel Gibe III, sul fiume Omo, il più grande progetto idroelettrico mai realizzato in Etiopia, con un salto di 240 metri e una potenza di 1.870 MW, per un costo complessivo di 1,4 miliardi di euro.

Prima di affrontare gli aspetti tecnici e istituzionali del progetto, è necessario soffermarsi sull’importanza del bacino dell’Omo. Si tratta di uno dei fiumi meglio conservati dell’Africa orientale, che scorre per quasi 600 km in una regione nota per la sua straordinaria biodiversità.
L’Omo nasce dalla confluenza dei fiumi Gibe e Gojeb, formando un lungo canyon per poi attraversare l’omonimo Parco nazionale e sfociare nel lago Turkana, al confine con il Kenya. Lungo le sue sponde risiedono più di 15 diverse comunità tribali, la cui sicurezza alimentare dipende strettamente dalle risorse naturali e dal delicato equilibrio dell’ecosistema locale.
Il fiume offre inoltre un habitat unico per un’incredibile varietà faunistica e nel 1980 la bassa valle dell’Omo è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità per i numerosi ritrovamenti di scheletri appartenenti al genere australopithecus e homo, insieme ad utensili di quarzite risalenti a diversi milioni di anni fa. La diga sbarrerà completamente il corso del fiume provocando la completa inondazione del canyon e la creazione di un bacino lungo più di 150 chilometri, alterando profondamente l’ecosistema a valle della diga per centinaia di chilometri.

L'energia prodotta dalla megadiga Gilgel Gibe III è destinata all'esportazione. L'intero potenziale generato, pari a 1.870 MW, sarà interamente veicolato in Kenya. Infatti in Etiopia, nonostante ci siano cinque impianti idroelettrici in costruzione, solo il 12% della popolazione ha un reale accesso all'energia elettrica.
Nove gruppi indigeni per un totale di 200mila persone vivono a valle della diga e la loro sussitenza dipende dall'agricoltura tradizionale basata sulle piene naturali del fiume, che la diga inevitabilmente interromperà, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Per riempire il bacino di 150 km ci vorranno anni e ciò provocherà un abbassamento rilevante del livello del lago Turkana, in Kenya, dalle conseguenze sociali ed economiche poco prevedibili.

I lavori vengono avviati immediatamente dopo la firma del contratto, in totale assenza del permesso ambientale. A novembre del 2007, ovvero quando la Crbm si è recata in Etiopia per una missione sul campo, il progetto registrava uno stato di avanzamento del 13%, ovvero i tunnel per la deviazione delle acque erano quasi completati e una minidiga era già stata eretta per consentire la costruzione della struttura definitiva. Nello stesso periodo l’Environmental Protection Authority non solo non aveva rilasciato il relativo permesso, ma non aveva nemmeno ricevuto la valutazione di impatto ambientale (Via). L’unica Via del progetto attualmente disponibile è stata redatta dal Cesi, uno studio milanese e resa pubblica dalla Società assicuratrice del credito all’esportazione (Sace) a ottobre del 2007, in seguito alla richiesta di una garanzia finanziaria della Salini alla stessa Sace.

Persino la Sace, sebbene nota per aver coperto progetti discutibili, a gennaio 2008 ha respinto una prima volta la richiesta di garanzia della Salini e declina per la seconda volta il sostegno alla saga Gilgel Gibe (già in precedenza non aveva concesso la copertura per la diga di Gibe II di cui tratteremo a breve). Le spese per i lavori sin qui effettuati sono stati sostenuti direttamente dall’EEPCo, ovvero dal governo etiope.

Due precedenti poco illustri, Gilgel Gibe I e II

Gilgel Gibe I

Il progetto della diga di Gilgel Gibe (oggi nota come Gilgel Gibe I) risale al 1985, ma è stato realizzato tra il 1999 e il 2003. La diga è situata sull’omonimo fiume, affluente del Gibe - Gilgel in amarico significa piccolo - il quale, scorrendo verso sud, dà vita insieme al Gojeb al fiume Omo. Si tratta di una diga di 40 metri, che ha creato un bacino artificiale di 63 km quadri, in grado di generare attraverso tre turbine fino a 184 MW. L’impianto, dal costo complessivo di 280 milioni di euro, è entrato in funzione nel febbraio del 2004 ed è stato realizzato attraverso i prestiti della Banca Mondiale (200 milioni di dollari), della Banca Europea per gli Investimenti (41 milioni di euro) e il sostegno della cooperazione austriaca. La costruzione della diga ha causato lo spostamento forzato di circa 10mila persone che risiedevano nella zona dell’attuale bacino, e che hanno subito un peggioramento sostanziale delle loro condizioni di vita. La missione sul campo ha visitato gli insediamenti e ha potuto verificare che le misure di mitigazione dell’impatto ambientale e le compensazioni previste per le popolazioni colpite non sono state rispettate.

Le comunità coinvolte hanno subito un graduale impoverimento. Inoltre gli è stato impedito di visitare preventivamente le nuove aree di destinazione, sono state insediate in una zona semipaludosa con una scarsa fertilità e a molte famiglie è stata data una porzione di terra agricola inferiore a quella che avevano precedentemente a disposizione. Come se non bastasse l’aumento della densità di popolazione ha creato un conflitto con le comunità già residenti per la gestione dei pascoli. Numerose famiglie hanno perso fino all’80% del bestiame a causa della scarsità di pascolo. Alle comunità non è stato fornito nessun servizio di base. Nonostante le abitazioni siano sovrastate dai cavi dell’alta tensione, esse sono sprovviste di elettricità e di acqua corrente. Le scuole non sono state costruite come previsto, bensì semplicemente ristrutturate, arrivando a ospitare 1.100 studenti, alcuni dei quali costretti a più di due ore di cammino.
Inoltre il bacino ha inondato la strada asfaltata che collegava la città di Jimma alla capitale, isolando i villaggi dalla città e costringendo i mezzi di trasporto ad aggirare il bacino su un percorso sterrato di quasi 40 km.

La creazione del bacino ha incrementato l’incidenza della malaria e di altre malattie trasmissibili attraverso vettori esterni. Anche l’Hiv ha subito un brusco aumento dovuto alla presenza di migliaia di lavoratori provenienti da tutto il paese e al diffondersi della prosituzione. La popolazione non è stata sottoposta ai controlli sanitari periodici così come previsto nelle misure di mitigazione. A causa dell’assenza di studi di base con i quali confrontare i dati correnti, non è possibile a oggi conoscere l’incidenza esatta di tali malattie, ma dalle informazioni in possesso dei centri sanitari si stima che la crescita possa raggiungere il 30%.
Da un punto di vista ambientale la diga non rilascia il flusso minimo previsto per garantire la sopravvivenza dell’ecosistema del fiume. Durante la stagione secca non viene effettuato alcun rilascio, mettendo a repentaglio l’intero ecosistema fluviale. Durante la stagione delle piogge, invece, il bacino viene riempito ai limiti per sfruttarne al massimo la potenza, per poi eseguire rilasci di emergenza a protezione dell’infrastruttura.
Nell’estate del 2006 nei distretti di Dashenech e Nyangatom, lungo il fiume Omo, un’alluvione ha provocato la morte di 364 persone, la distruzione di 15 villaggi e 15mila profughi. A tutt’oggi non è chiaro che ruolo abbia avuto la diga nel disastro. L’inondazione potrebbe essere imputabile, oltre che alle forti piogge, ad una gestione irresponsabile dell’impianto.

Gilgel Gibe II

Il 1° maggio 2004, pochi mesi dopo l’inaugurazione della diga di Gilgel Gibe, l’EEPCo e la Salini Costruttori firmano un nuovo contratto per la costruzione dell’impianto idroelettrico Gilgel Gibe II. Si tratta di un tunnel di 26 km che, per la generazione di energia elettrica, sfrutta la differenza di altitudine tra il bacino creato dalla diga di Gilgel Gibe I e il fiume Gibe. Costo previsto dell’impianto: 400 milioni di euro. L’accordo viene firmato a trattativa diretta, in assenza di gara d’appalto internazionale, come invece prevedono le procedure del ministero delle Finanze e dello Sviluppo Economico. L’eccezione viene giustificata dal governo etiope con: “la profonda conoscenza del progetto della Salini e la dimostrata capacità di attirare donatori internazionali”.

I lavori di costruzione dell’impianto iniziano subito, in assenza di uno studio di fattibilità, di adeguate indagini geologiche e del permesso ambientale dell’Environmental Protection Authority, necessario, in Etiopia, per l’avvio dei lavori di qualsiasi opera infrastrutturale. Il permesso arriverà solo successivamente e in maniera funzionale all’ottenimento di un prestito di 50 milioni di euro dalla Banca Europea per gli Investimenti. Al progetto partecipa anche la cooperazione italiana. Il progetto viene commissionato attraverso una tipologia di contratto “chiavi in mano” con il quale l’impresa esecutrice si assume pienamente il rischio tecnico del progetto. La consegna è fissata per dicembre 2007. Nel corso del 2007 sopraggiunge un importante problema tecnico, una perforatrice resta bloccata nel tunnel e a tutt’oggi il problema non appare ancora risolto. La consegna slitta a data da destinarsi, si ipotizza giugno del 2009. In realtà l'inaugurazione dell'opera si tiene nel gennaio del 2010, alla presenza del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini.
La tipologia di contratto vorrebbe che la Salini pagasse un’ammenda per il ritardo sulla consegna, invece l’assenza degli studi geologici era stata concordata e prevista in fase contrattuale e menzionata come un’eccezione al principio di assunzione del rischio tecnico.

Il coinvolgimento della cooperazione italiana

L’8 ottobre 2004 il Comitato direzionale della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) del ministero Affari Esteri approva un credito d’aiuto di 220 milioni di euro a favore dell’Etiopia, finalizzato alla realizzazione del progetto idroelettrico di Gilgel Gibe II e accompagnato da un dono di 505.000 euro per l’invio di un esperto italiano incaricato di monitorare il progetto. Il Comitato ha in mano due documenti sui quali basare la decisione. Il parere negativo del Nucleo tecnico di valutazione della Dgcs stessa, che rileva fra l’altro: l’anomalia dell’affidamento del contratto a trattativa diretta, non conforme alle procedure vigenti della Dgcs né alla normativa italiana, né tanto meno alle procedure applicate in materia dalle organizzazioni internazionali e dall’Unione europea; l’assenza di uno studio di fattibilità; l’assenza dei costi delle misure di mitigazione di impatto ambientale; un tasso di concessionalità del 42,29% non in linea con la situazione di criticità debitoria del Paese. Il parere negativo del ministero dell’Economia e delle Finanze che esprime viva preoccupazione per la fattibilità economica dell’operazione, tenuto conto della delicata situazione debitoria dell’Etiopia.

La Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo approva, in un clima di forte pressione nei confronti dei funzionari responsabili, il più grande credito d’aiuto mai erogato nella storia del fondo rotativo, sebbene si sia in presenza di valutazioni fortemente negative dei ministeri e degli organi competenti. Successivamente all’approvazione del progetto, il Nucleo tecnico di valutazione della Dgcs viene in buona parte modificato. Il tutto avviene a contratto già firmato tra la Salini Costruttori s.p.a e l’EEPCo, contravvenendo a tutti gli standard nazionali e internazionali sulla trasparenza e la concorrenza.

E’ da notare che nell’ambito dell’iniziativa Hipc l’Italia, al momento dell’approvazione del nuovo prestito, era in procinto di cancellare all’Etiopia 332,35 milioni di euro di debito bilaterale. La cancellazione sarà ratificata a gennaio 2005, tre mesi dopo aver reindebitato il paese per una cifra di poco inferiore. A luglio del 2007 il ministro degli Esteri Massimo D’Alema riceve una comunicazione dal ministro degli Esteri etiope, Seyoum Mesfin con la richiesta, per ora inevasa, di un contributo italiano pari a 250 milioni di euro per il finanziamento della diga Gilgel Gibe III. La richiesta ufficiale delle autorità etiopi è accompagnata da una costante e capillare azione di lobby della Salini sui funzionari ed i diplomatici del ministero degli esteri. Dopo il cambio di governo a metà 2008 si rimane in attesa di eventi.
La Procura di Roma ha indagato sul prestito italiano da marzo 2006 a gennaio 2007, archiviando il caso.

Il ruolo della Banca Europea per gli Investimenti

La Banca Europea per gli Investimenti (Bei), occorre sempre ricordarlo, è l’unica istituzione finanziaria internazionale a non aver ancora adottato strandard e protocolli che regolino in maniera vincolante le sue operazioni fuori dall’UE. Il 17 febbraio 2005 la Bei ha approvato un finanziamento di 50 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto Gilgel Gibe II. La Bei era a conoscenza dell’anomalia della trattativa diretta, nonostante ciò ha dato il beneplacito al prestito specificando che: “dietro insistenza della banca il contractor (la Salini) ha indetto una gara d’appalto, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea per i sub-appalti relativi alla fornitura e la posa in opera degli impianti idro ed elettromeccanici”. La Banca assicurava in questo modo il rispetto delle sue lacunose linee guida interne, ma appariva disinteressata all’osservanza e alla promozione degli standard internazionali su trasparenza e concorrenza, che hanno portato la Banca Mondiale a tenersi fuori dall’operazione.

Inoltre per le operazioni fuori dall’Unione europea, la Bei non è obbligata ad applicare normative, direttive e standard in vigore nell’UE, considerati solamente un riferimento, ma sostiene di adeguarsi alla legislazione locale. Per Gilgel Gibe II i lavori di costruzione sono iniziati senza il permesso ambientale, che è stato fornito alla banca solo al momento della richiesta di prestito. Approvando il finanziamento, la Bei ha avallato una doppia violazione della legislazione locale, in materia ambientale e di assegnazione di appalti pubblici.

Alla fine del 2007, l’EEPCo ha avanzato un nuova richiesta alla Banca Europea per gli Investimenti per un ingente finanziamento. Secondo un dirigente della Banca Africana di Sviluppo incontrato durante la missione sul campo della Crbm, la Bei e la Banca Africana potrebbero prestare all’EEEPCo fino a 450 milioni di dollari per il progetto di Gilgel Gibe III. Il finanziamento richiesto alla Bei potrebbe aggirarsi intorno ai 180 milioni di euro.

Francamente non mi pare ci sia molto più da aggiungere a questa dettagliata cronaca: le donne e gli uomini che vivono in quella regione non avranno alcun beneficio da queste opere imponenti, anzi rischiano di subire ulteriori danni. Queste dighe sono sicuramente un grande affare per l'impresa italiana e temo lo siano anche per i funzionari dei governi etiope e italiano.
E' nostro dovere parlare di questa vicenda.

"Amo tutto ciò che è stato" di Fernando Pessoa


per Zaira...

Amo tutto ciò che è stato,
tutto quello che non è più,
il dolore che ormai non mi duole,
l’antica e erronea fede,
l’ieri che ha lasciato dolore,
quello che ha lasciato allegria
solo perché è stato, è volato
e oggi è già un altro giorno.

sabato 6 febbraio 2010

Considerazioni libere (69): a proposito di ingiustizie...

Fatico sempre più ad appassionarmi alle vicende politiche italiane e in generale occidentali, ossia a quelle dei paesi ricchi del nostro pianeta. Ammetto che tendo ad arrabbiarmi ogni volta che vedo in televisione Berlusconi - e, per ragioni diverse, anche Bersani - eppure mi rendo conto che tutte queste vicende sono davvero piccola cronaca rispetto alla storia delle donne e degli uomini. Una storia fatta di sofferenze che facciamo perfino fatica a immaginare.
In Burkina Faso ogni anno duemila donne muoiono per complicazioni legate alla gravidanza e al parto.
Alle donne di quel paese, come in gran parte dell'Africa, viene negato l'elementare diritto alla salute. Alcune donne muoiono perché vivono troppo lontane dalle strutture mediche che sarebbero in grado di salvarle o perché ci arrivano troppo tardi. Molte muoiono perché non hanno i soldi per pagarsi l'assistenza sanitaria e le medicine; altre perché mancano il sangue o i farmaci, le attrezzature o il personale medico qualificato.Ma soprattutto muoiono perché sono discriminate, non hanno accesso all'istruzione e al lavoro come gli uomini. Nelle campagne le donne, in particolari le più giovani, non hanno voce in capitolo nelle decisioni relative alla famiglia, vengono fatte sposare quando sono ancora bambine. Le donne sono oggetto di violenza sia all'interno delle famiglie che in casi di conflitti. In Burkina Faso, nonostante sia vietato per legge, le mutilazioni genitali femminili sono ampiamente praticate.
Nella nostra parte del mondo la tubercolosi è una malattia debellata. Eppure ogni giorno nel mondo muoiono cinquemila persone a causa di questa malattia, che può essere sconfitta con gli antibiotici. In Sudan in particolare, a causa del conflitto nel Darfur, muoiono più di cinquemila persone ogni anno.
Cinquemila in Burkina Faso, cinquemila in Sudan: due gocce in un mare, ma se ci fermiamo un momento a pensare è una cifra enorme che da sola giustificherebbe un'azione politica rivoluzionaria, eppure è soltanto la punta di un iceberg.

da "Quaderni del carcere" (XVIII) di Antonio Gramsci

Passaggio dal sapere al comprendere al sentire e viceversa dal sentire al comprendere al sapere. L’elemento popolare “sente” ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa” ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia piú sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione cioè senza sentire le passioni elementari del popolo comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica e collegandole dialetticamente alle leggi della storia a una superiore concezione del mondo scientificamente e coerentemente elaborata il “sapere”; non si fa politica-storia senza questa passione cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione. In assenza di tale nesso i rapporti dell’intellettuale col popolo-nazione sono o si riducono a rapporto di ordine puramente burocratico formale; gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio (cosí detto centralismo organico).
Se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione tra dirigenti e diretti - tra governanti e governati - è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente ma in modo vivente) solo allora il rapporto è di rappresentanza e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti tra diretti e dirigenti cioè si realizza la vita di insieme che solo è la forza sociale; si crea il “blocco storico”.

venerdì 5 febbraio 2010

"Alla vita" di Nazim Hikmet

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

da "Dizionario storico-critico" di Pierre Bayle

Si suol dire che non esiste peste peggiore per uno stato che la molteplicità delle religioni, la quale provoca discordie tra vicini, tra padri e figli, tra mariti e mogli, tra principi e sudditi. Rispondo che un tal discorso, ben lungi dall'essere un argomento contro di me, è anzi una prova assai forte in favore della tolleranza; infatti se la molteplicità delle religioni nuoce a uno stato, è unicamente perché l'una non vuole tollerare l'altra, ma assorbirla avvalendosi delle persecuzioni. Hinc prima mali labes; è questa l'origine del male. Se ciascuno praticasse la tolleranza che io vengo predicando, ci sarebbe la stessa concordia in uno stato diviso fra dieci religioni che in una città nella quale le diverse consorterie di artigiani si tollerano e si sopportano a vicenda. Tutto ciò che potrebbe nascerne anzi sarebbe una onesta emulazione a chi piú si segnalasse per pietà, per buoni costumi, per scienza; ciascuna si farebbe un punto di onore di dimostrare che è la piú vicina a Dio, dando prova di un maggiore attaccamento alla pratica delle opere pie e dell'amore per la patria, a patto che il sovrano le protegga tutte ugualmente, tenendole in equilibrio con la sua equità. Ora è evidente che una cosí bella emulazione sarebbe causa di un'infinità di beni e, per conseguenza, la tolleranza appare fra tutte le cose del mondo la piú adatta a riportarci all'età dell'oro, a creare un concerto e un'armonia di piú voci e strumenti di diversi toni e note, almeno altrettanto gradevole quanto l'uniformità di una voce sola. Che cosa dunque impedisce questo bel concerto di voci e toni cosí diversi gli uni dagli altri? Si è che una delle due religioni pretende di esercitare una crudele tirannia sugli spiriti e forzare gli altri a sacrificare ad essa le loro coscienze; si è che i re fomentano questa ingiusta parzialità, abbandonando il braccio secolare alla furia tumultuosa di monaci ed ecclesiastici; in una parola tutti i mali derivano non già dalla tolleranza ma dalla intolleranza.
[...] Per quanto concerne quell'enorme miscuglio di sètte, indegno della religione, che si pretende abbia origine dalla tolleranza, affermo che si tratta del male minore e meno vergognoso per il cristianesimo, in confronto ai massacri, ai patiboli, ai saccheggi e a tutte le crudeli esecuzioni capitali con i quali la Chiesa romana ha cercato, senza riuscirvi, di conservare l'unità. Ognuno che sappia rientrare in se stesso e consultare la propria ragione sarà piú urtato leggendo nella storia del cristianesimo questa lunga serie di delitti e di violenze di quanto potrebbe esserlo vedendo la religione divisa in mille sètte; quando si rendesse conto che è umanamente inevitabile che gli uomini concepiscano in secoli e paesi diversi le dottrine della religione in modo diverso e interpretino variamente ciò che è suscettibile di interpretazioni varie. Tutto ciò deve dunque urtarci meno che non il vedere un uomo torturarne un altro per fargli ammettere opinioni che non condivide, fino a condannarlo al rogo in caso di rifiuto. Quando si riconosce che non siamo padroni delle nostre idee e che una legge eterna ci proibisce di tradire la nostra coscienza, non si può che fremere di orrore per coloro che straziano il corpo di un uomo perché costui professa certe idee invece di certe altre o perché vuole seguire i lumi della sua coscienza; è cosí che i nostri operatori di conversioni per cancellare uno scandalo del cristianesimo ne creano uno assai piú grande.
[...] Cosí la vera religione non può intraprendere secondo giustizia contro le false quelle stesse azioni che essa troverebbe ingiuste se perpetrate da queste ultime nei suoi confronti; di modo che quando anche fosse vero (il che non è) che la Chiesa romana sia la religione vera essa non potrebbe, se non violando la giustizia, toglierci i nostri bambini né quelli degli ebrei o dei turchi dal momento che non può disconoscere che se noi portassimo via i bambini dei cattolici per istruirli nella nostra religione commetteremmo un'ingiustizia palese. Il dire infatti, come molti fanno, che la violenza perpetrata ai danni dei nostri bambini si volge a loro profitto perché li salva dall'inferno non significa nulla; perché gli Inglesi, i Turchi, gli Ebrei che rapissero i bambini cattolici potrebbero difendersi con lo stesso argomento non essendo essi meno persuasi che ci si danna al di fuori della loro religione di quanto non lo siano i membri della Chiesa romana.

mercoledì 3 febbraio 2010

Considerazioni libere (68): a proposito delle vicende bolognesi...

Ho scritto una prima "considerazione" sulle vicende bolognesi lunedì della settimana scorsa, qualche ora prima che il sindaco Flavio Delbono annunciasse le sue dimissioni in Consiglio comunale (per chi fosse interessato è la nr. 64). Visto l'evolversi della situazione, mi pare utile riprendere l'argomento: mi scuso con i non bolognesi che leggono il mio blog, ma credo che quello che capita in questi giorni a Bologna, in particolare nel Partito Democratico, possa essere di un qualche interesse non solo locale.
Una premessa è d'obbligo. Io dal giugno del '99 al dicembre del 2005 sono stato un funzionario della federazione bolognese dei Democratici di Sinistra: è stata un'esperienza per me molto importante e, senza esagerare, indimenticabile, che mi ha dato grandi soddisfazioni (e mi ha lasciato alcuni rimpianti e qualche amarezza), che mi ha fatto conoscere molte persone splendide (e qualcuno che avrei preferito evitare), insomma un periodo abbastanza lungo della mia vita che, calcolati i più e i meno, si è concluso con un segno decisamente positivo. Il ruolo che ho avuto, per quanto non molto rilevante dal punto di vista politico, fa sì che anch'io abbia una qualche responsabilità per quello che è successo in questi anni e che cercherò di spiegare, almeno per come adesso la vedo.
Alla data di oggi non si sa quando si voterà e questa decisione cambierà indubbiamente gli scenari, le scelte dei candidati e la logica degli schieramenti, ma questo per il momento non mi sembra la questione più importante, per quanto la più interessante dal punto di vista politico e giornalistico. Mi interessa capire come si è arrivati a questo punto.
Credo che più di un dirigente abbia avuto - e l'abbia ancora - la tentazione di scaricare ogni responsabilità su Delbono, sulla sua "passione" per l'altro sesso e sulle sue "leggerezze": francamente sarebbe troppo comodo. Il tema non è tanto cercare di capire chi non poteva non sapere, come ha dichiarato il segretario della federazione, in maniera un po' sibillina, nel corso dell'ultima direzione - e lui, comunque dov'era in questi anni? - ma capire le ragioni profonde di una crisi, che ci ha portato negli anni a perdere iscritti ed elettori, sperperando un grande patrimonio ideale e la capacità di incidere in maniera forte sulla vita della città.
Occorre andare un po' indietro nel tempo. Alla fine degli anni Novanta si aprì un confronto molto deciso all'interno del partito che portò alla decisione di non ricandidare il sindaco uscente Walter Vitali. Si consumò uno scontro molto aspro - anche personale - che parve non dettato da motivi politici, ma unicamente dal bisogno di contarsi, in vista della definizione del potere in città, dopo un periodo di oggettiva stasi e di fronte alle nuove prospettive che si aprivano con la fine del Pci e, a livello nazionale, l'avvento di una nuova stagione politica. La storia è nota: fu candidata Silvia Bartolini, che avrebbe potuto essere un buon sindaco, ma fu la persona giusta nel momento sbagliato, e vinse Giorgio Guazzaloca. I principali "duellanti" finirono fuori dai giochi: Vitali fu chiamato a un incarico romano e poi eletto in Senato, dove peraltro ha lavorato bene, e Alessandro Ramazza, all'epoca segretario della federazione, si mise a fare un altro mestiere, che fa ancora con successo. Le tossine di quel conflitto sono rimaste, chi ha combattuto quello scontro è rimasto, in posizioni più o meno defilate, e pochissimo è cambiato nel partito, anche perché una persona capace e seria come Mauro Zani, che pure era stato chiamato a"commissariare" il partito dopo il '99, non ebbe "la forza e il cuore di ripulire la baracca con il lanciafiamme" (cito dal suo blog).
Parve che la candidatura di Sergio Cofferati potesse scompaginare tutti i giochi: egli non aveva ovviamente partecipato a quello scontro, si portava dietro un grande prestigio personale, sembrava poter fare ripartire la città. Ci fu un grande entusiasmo nella campagna elettorale, che rapidamente svanì, per responsabilità soprattutto dello stesso Cofferati, che non agì come avrebbe dovuto e potuto. E siamo arrivati alla candidatura di Delbono, che oggettivamente, alla vigilia del congresso del Pd, è stata il segnale più chiaro dell'alleanza, non scontata in una primissima fase, tra l'area diessina facente capo a Bersani e a D'Alema con quella di Prodi. Intanto si costruiva un partito nuovo con una identità sempre più incerta e un gruppo dirigente sempre più debole, dove logiche di schieramento e ambizioni personali tendono a prevalere su qualunque altra considerazione.
Non so esattamente quando, eppure a un certo punto abbiamo buttato via il bambino con l'acqua sporca. Nella città in cui il Pci è stato il partito di maggioranza, dove si sono sperimentate con successo scelte politiche e amministrative riformiste e - anche se era una "bestemmia" in tempi lontani - socialdemocratiche, il Pd si è affidato a un sindaco che nulla aveva a che fare con questa tradizione e quando questo ha fallito, ha pensato che la soluzione fosse affidarsi a una persona, stimabilissima, che a quella storia socialista certo non è appartenuto. Anche a Bologna evidentemente qualcuno ha deciso che il riformismo socialista è morto. Io continuo a non crederlo.

"Alla mia nazione" di Pier Paolo Pasolini

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

la foto l'ha pensata e fatta Zaira...