Ho scritto una prima "considerazione" sulle vicende bolognesi lunedì della settimana scorsa, qualche ora prima che il sindaco Flavio Delbono annunciasse le sue dimissioni in Consiglio comunale (per chi fosse interessato è la nr. 64). Visto l'evolversi della situazione, mi pare utile riprendere l'argomento: mi scuso con i non bolognesi che leggono il mio blog, ma credo che quello che capita in questi giorni a Bologna, in particolare nel Partito Democratico, possa essere di un qualche interesse non solo locale.
Una premessa è d'obbligo. Io dal giugno del '99 al dicembre del 2005 sono stato un funzionario della federazione bolognese dei Democratici di Sinistra: è stata un'esperienza per me molto importante e, senza esagerare, indimenticabile, che mi ha dato grandi soddisfazioni (e mi ha lasciato alcuni rimpianti e qualche amarezza), che mi ha fatto conoscere molte persone splendide (e qualcuno che avrei preferito evitare), insomma un periodo abbastanza lungo della mia vita che, calcolati i più e i meno, si è concluso con un segno decisamente positivo. Il ruolo che ho avuto, per quanto non molto rilevante dal punto di vista politico, fa sì che anch'io abbia una qualche responsabilità per quello che è successo in questi anni e che cercherò di spiegare, almeno per come adesso la vedo.
Alla data di oggi non si sa quando si voterà e questa decisione cambierà indubbiamente gli scenari, le scelte dei candidati e la logica degli schieramenti, ma questo per il momento non mi sembra la questione più importante, per quanto la più interessante dal punto di vista politico e giornalistico. Mi interessa capire come si è arrivati a questo punto.
Credo che più di un dirigente abbia avuto - e l'abbia ancora - la tentazione di scaricare ogni responsabilità su Delbono, sulla sua "passione" per l'altro sesso e sulle sue "leggerezze": francamente sarebbe troppo comodo. Il tema non è tanto cercare di capire chi non poteva non sapere, come ha dichiarato il segretario della federazione, in maniera un po' sibillina, nel corso dell'ultima direzione - e lui, comunque dov'era in questi anni? - ma capire le ragioni profonde di una crisi, che ci ha portato negli anni a perdere iscritti ed elettori, sperperando un grande patrimonio ideale e la capacità di incidere in maniera forte sulla vita della città.
Occorre andare un po' indietro nel tempo. Alla fine degli anni Novanta si aprì un confronto molto deciso all'interno del partito che portò alla decisione di non ricandidare il sindaco uscente Walter Vitali. Si consumò uno scontro molto aspro - anche personale - che parve non dettato da motivi politici, ma unicamente dal bisogno di contarsi, in vista della definizione del potere in città, dopo un periodo di oggettiva stasi e di fronte alle nuove prospettive che si aprivano con la fine del Pci e, a livello nazionale, l'avvento di una nuova stagione politica. La storia è nota: fu candidata Silvia Bartolini, che avrebbe potuto essere un buon sindaco, ma fu la persona giusta nel momento sbagliato, e vinse Giorgio Guazzaloca. I principali "duellanti" finirono fuori dai giochi: Vitali fu chiamato a un incarico romano e poi eletto in Senato, dove peraltro ha lavorato bene, e Alessandro Ramazza, all'epoca segretario della federazione, si mise a fare un altro mestiere, che fa ancora con successo. Le tossine di quel conflitto sono rimaste, chi ha combattuto quello scontro è rimasto, in posizioni più o meno defilate, e pochissimo è cambiato nel partito, anche perché una persona capace e seria come Mauro Zani, che pure era stato chiamato a"commissariare" il partito dopo il '99, non ebbe "la forza e il cuore di ripulire la baracca con il lanciafiamme" (cito dal suo blog).
Parve che la candidatura di Sergio Cofferati potesse scompaginare tutti i giochi: egli non aveva ovviamente partecipato a quello scontro, si portava dietro un grande prestigio personale, sembrava poter fare ripartire la città. Ci fu un grande entusiasmo nella campagna elettorale, che rapidamente svanì, per responsabilità soprattutto dello stesso Cofferati, che non agì come avrebbe dovuto e potuto. E siamo arrivati alla candidatura di Delbono, che oggettivamente, alla vigilia del congresso del Pd, è stata il segnale più chiaro dell'alleanza, non scontata in una primissima fase, tra l'area diessina facente capo a Bersani e a D'Alema con quella di Prodi. Intanto si costruiva un partito nuovo con una identità sempre più incerta e un gruppo dirigente sempre più debole, dove logiche di schieramento e ambizioni personali tendono a prevalere su qualunque altra considerazione.
Non so esattamente quando, eppure a un certo punto abbiamo buttato via il bambino con l'acqua sporca. Nella città in cui il Pci è stato il partito di maggioranza, dove si sono sperimentate con successo scelte politiche e amministrative riformiste e - anche se era una "bestemmia" in tempi lontani - socialdemocratiche, il Pd si è affidato a un sindaco che nulla aveva a che fare con questa tradizione e quando questo ha fallito, ha pensato che la soluzione fosse affidarsi a una persona, stimabilissima, che a quella storia socialista certo non è appartenuto. Anche a Bologna evidentemente qualcuno ha deciso che il riformismo socialista è morto. Io continuo a non crederlo.
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