Forse qualcuno, prima o poi, farà un film sulla vita del giovane Joseph Henry Rosenberg. Nasce in un villaggio dell’Ungheria nel 1881 da una famiglia di origini ebraiche. Quando ha sei anni i suoi genitori emigrano negli Stati Uniti e si stabiliscono a Cleveland. Joseph è uno studente brillante e nel 1903 si laurea in ingegneria a Yale. Il giovane ingegnere si trasferisce in Messico dove lavora per un’azienda che sta costruendo una ferrovia. Quando questa fallisce Joseph si trasferisce in Arizona e lavora nel settore del legname. Sente che in Nevada stanno cercando degli ingegneri per le miniere d’oro. Prende un cavallo e viaggia da solo attraverso il West, per due settimane, fino a Goldfield in Nevada: una tribù indiana gli fa guadare in maniera piuttosto avventurosa il fiume Colorado. Ma non è destino che faccia l’ingegnere. Nel 1910 viene assunto dalla Arizona Central Bank: serve un tecnico per capire se la banca può permettersi di prestare soldi a quegli avventurieri. Sedici anni dopo si trasferisce a Los Angeles per lavorare nel settore prestiti della Los Angeles Merchants Bank e quando questa viene assorbita dalla Bank of America, Joseph ne diventa vicepresidente.
Negli anni Trenta le banche pensano sia un rischio troppo alto fare prestiti a quei matti che fanno il cinematografo. Rosenberg non è d’accordo e convince gli azionisti a investire in questo nuovo settore e così questo ingegnere nato nella vecchia Europa, al tempo di Francesco Giuseppe, diventa uno degli uomini più potenti di Hollywood: tocca a lui, e solo a lui, approvare i prestiti necessari ai produttori per realizzare un film.
Nel 1936 Walt Disney ha già speso 1,25 milioni di dollari per realizzare Biancaneve e i sette nani. A Hollywood tutti pensano che fallirà, chiamano quel progetto “Disney’s Folly”. Suo fratello Roy è preoccupato: il sogno di Walt di realizzare il primo film a cartoni animati della storia rischia di far fallire il loro studio. E anche sua moglie Lillian non sa cosa pensare quando Walt le chiede di mettere un’ipoteca sulla loro casa per ottenere ancora un po’ di soldi. Hanno bisogno di 250mila dollari per finire il lavoro e solo Rosenberg glieli può dare. Viene organizzata una proiezione con quello che è pronto. L’austero banchiere ebreo, che non è sposato e non ha figli, che sembra vivere solo per gli affari, rimane impassibile per tutto il film. Disney è tesissimo. Alla fine Rosenberg si alza e, senza un sorriso, dice: “Walt, questa cosa farà un sacco di soldi”. Il prestito è approvato: è così che Joseph Rosenberge ha salvato Biancaneve.
All’inizio degli anni Trenta Walt Disney - nato a Chicago nel 1901 - è già famoso: ha creato Mickey Mouse e i suoi cartoni, intitolati Silly Symphony, sono distribuiti nei cinema di tutto il mondo. Ma Walt ha l’ambizione di fare qualcosa di più, dei veri e propri lungometraggi a cartoni animati, con trame complesse e personaggi sviluppati. Nel 1933 Mary Pickford gli propone il progetto di adattare per lo schermo Alice’s Adventures in Wonderland. Walt ha cominciato a Kansas City proprio con Alice, con dei brevi cartoni animati in cui una bambina in carne e ossa che interpreta il personaggio creato da Lewis Carroll interagisce con personaggi animati. La quarantenne attrice canadese, con i suoi riccioli biondi, sogna di essere Alice: potrebbe essere un progetto vantaggioso per entrambi. Ma proprio quell’anno la Paramount esce nelle sale con Alice in Wonderland, in cui sono impegnati tutti i suoi migliori attori, tra cui i giovani Cary Grant e Gary Cooper.
Walt pensa a una versione a cartoni animati di Rip van Winkle, il classico di Washington Irving: potrebbe essere un live action con il popolarissimo Will Rogers nel ruolo del protagonista. Ma anche in questo caso la Paramount ha già acquisito i diritti. Walt pensa che potrebbe funzionare una versione a cartoni animati dell’operetta di Victor Herber Babes in Toyland, ma arriva prima Hal Roach che nel 1934 realizza un film con Stan Laurel e Oliver Hardy, e la giovane Charlotte Henry, che l’anno prima è stata Alice nel film della Paramount.
A questo punto Walt decide che il suo primo film a cartoni animati, tutto a cartoni animati, sarà dedicato a Biancaneve. Aveva quindici anni e vendeva i giornali per strada quando è uscito il film con Marguerite Clark, lo ha visto in un cinema di Kansas City. Nel giugno del 1934 annuncia in un’intervista al New York Times che, vent’anni dopo quel mitico film, farà il suo Biancaneve, un film destinato a entrare nella storia.
Nell’agosto del 1934 Walt affida allo sceneggiatore Richard Creedon - nato anche lui a Chicago, ma cinque anni prima di Disney - l’incarico di preparare una prima bozza di soggetto su cui lavorare, suggerendogli di valorizzare, molto di più che nella fiaba dei Grimm e nella sceneggiatura di Winthrop Ames, i personaggi dei sette nani, che dovranno avere ognuno una propria individualità. Ed anche dei nomi. Su quel soggetto di ventun pagine, intitolato semplicemente Snowwhite Suggestions, Disney convoca in ottobre tre riunioni a cui partecipano, oltre a lui, Creedon, il paroliere Larry Morey - nato a Los Angeles nel 1905 - il disegnatore Albert Hurter - nato in Svizzera nel 1883 è il più vecchio del gruppo - l’animatore Ted Sears - nato nel 1900 nel Massachusetts - lo sceneggiatore e attore Pinto Colvig - nato in Oregon nel 1892.
Per quel film Larry scriverà i testi di One Song, With a Smile and a Song, Whistle While Your Work, Heigh-Ho, Someday My Prince Will Come, canzoni destinate a entrare nella storia. E il film otterrà una sola nomination all’Oscar proprio grazie alla colonna sonora (per la cronaca ha vinto in questa categoria Cento uomini e una ragazza, un film dimenticato). Albert dovrà dare il proprio benestare a ogni creazione dei disegnatori. Ted coordinerà il lavoro degli animatori. Pinto, oltre a inventare molte gag, sarà la voce di Brontolo e Pisolo.
Nel corso dei mesi successivi Disney mette a lavorare al film tutti i suoi migliori collaboratori. Sono sette i registi accreditati, coordinati da David Hand - nato in Oregon nel 1900 - otto nella squadra di sceneggiatori e oltre quaranta tra disegnatori e animatori. Ma l’ultima parola su ogni decisione spetta a Walt, che può, a buon diritto, essere considerato l’autore del film.
Finalmente il 21 dicembre 1937 viene organizzata una grande anteprima al Carthay Circle Theatre di Los Angeles. In platea ci sono quelli che hanno sghignazzato alle spalle del folle sogno di Walt e un gran numero di celebrità. Ci sono Shirley Temple e Judy Garland, Ginger Rogers e Charlie Chaplin, Mary Pickford e Marlene Dietrich, John Barrymore e Carole Lombard, Clark Gable e Douglas Fairbanks Jr., e molti altri. Al termine del film si alzano tutti in piedi tributando un lunghissimo applauso. Il 27 dicembre sulla copertina di Time c’è Walt Disney che, alla scrivania, gioca con i suoi sette piccoli protagonisti.
Dopo altre due anteprime, una al Radio City Music Hall di New York e l’altra a Miami, il film viene distribuito nelle sale il 4 febbraio dell’anno successivo. È un successo incredibile: il film incassa 4,2 milioni solo negli Stati Uniti e in Canada durante la prima uscita, più del doppio di quello che è costato. Joseph Rosenberg ha avuto ragione.
Ed è immediatamente un successo anche in Europa. Esce il 12 marzo di quell’anno nel Regno Unito e il 4 maggio in Francia. Il 2 giugno esce in Cina. L’8 dicembre 1938 è anche nei cinema italiani, dopo l’anteprima il 24 agosto alla 6ª Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove vince il Grande trofeo d’arte della Biennale. Tra i paesi europei, manca solo la Germania nazista; solo nel 1950 il film sarà distribuito nella Germania Ovest. Mentre per la distribuzione in Unione Sovietica bisognerà aspettare il 1955, quando comincia, per volere di Khrushchev, la destalinizzazione.
I primi abbozzi del personaggio non soddisfano Walt: quei disegni ricordano troppo i personaggi dei fumetti. In una delle proposte Biancaneve somiglia addirittura a Betty Boop. E questo al conservatore Disney non va assolutamente bene: la licenziosa Betty non è certo un modello per le famiglie americane.
Walt affida la supervisione di Biancaneve a Hamilton Luske - nato a Chicago nel 1903 - con la precisa indicazione di creare un personaggio dai tratti umani, più realistico di qualsiasi altro mai uscito dalle penne dello studio. Hamilton e al suo collaboratore Les Clark hanno lavorato nel 1934 al cartone The Goddess of Spring, una sorta di versione a cartoni animati del mito di Persefone. Loro due hanno creato proprio questo personaggio che è in qualche modo il modello della Biancaneve che vuole Disney. Persefone però è ancora un personaggio animato e quindi Hamilton gira le scene in cui è impegnata Biancaneve con una giovane modella, Marge Belcher, e quei filmati vengono copiati dagli animatori. In questo modo i movimenti del personaggio diventano assolutamente naturali, perché Biancaneve si muove proprio come Marge.
Marge nasce a Los Angeles nel 1919. Il padre, Ernest, è un coreografo che lavora per gli studi, ma soprattutto è uno di quelli che insegna a ballare alle star. Shirley Temple, Joan Crawford, Fay Wray, Betty Grable e Cyd Charisse sono alcune tra le allieve della sua lunga carriera. E naturalmente insegna anche alle sue due figlie. Marge è quella più portata. Si esibisce, ma soprattutto anche lei comincia a insegnare nella scuola del padre. Quando alla Disney serve una giovane ballerina che possa essere la modella per Biancaneve, quella sedicenne che ha già una grande esperienza è la scelta naturale. Per Disney sarà anche la modella della Fata Turchina e della vezzosa “ippopotama”, che è la protagonista della Danza delle ore in Fantasia. Di questa celeberrima scena Marge cura anche la coreografia. Alla Disney Marge conosce anche il suo primo marito, l’animatore Art Babbit, che è nella squadra che lavora sulla Regina cattiva.
Il matrimonio dura tre anni e Marge sposa il ballerino Gower Champion. E da quel momento diventa Marge Champion. I due sono sotto contratto per la MGM che cerca di farne i nuovi Ginger e Fred. Ovviamente è impossibile ripetere l’incredibile successo di quella straordinaria coppia di ballerini, ma Marge e Gower riescono a ritagliarsi un loro spazio nei musical degli anni Cinquanta. Marge, oltre a recitare, non smette di insegnare a ballare e di preparare coreografie sia per il cinema che per la televisione. Fa anche qualche apparizione a Broadway, ma anche a teatro il suo impegno è per lo più dietro le quinte: nel 1964 è la consulente per i numeri di danza di Hello Dolly!
Rimane una leggenda dello spettacolo americano. Nel 1984 fa la sua ultima apparizione in televisione: in una puntata di Saranno famosi è l’insegnante di danza classica della scuola che non fa ballare un’allieva solo perché, essendo nera, non la ritiene adatta alla danza classica, scatenando le proteste degli studenti e della professoressa Grant. Nel 2001, a ottant’anni, torna a Broadway: è Emily Whitman in un fortunato revival di Folies di Stephen Sondheim. La sua parte è quella di una ex ballerina delle Weismann Follies, sposata con Theodore e co-proprietaria con il marito di una scuola di danza. Quando canta Rain on the Roof ha ancora lo smagliante sorriso di Biancaneve.
Perché Hamilton Luske disegna Biancaneve anche un po’ con i tratti di quella giovane ballerina. E disegnare il viso di questo personaggio non è affatto facile, perché Biancaneve non deve solo essere bella, deve essere la più bella del reame. E Hollywood è un regno dove ci sono moltissime splendide regine. Biancaneve è un po’ Mary Pickford, la fidanzata d’America, che ormai ha abbandonato le scene e si avvia a un lungo e inesorabile declino. È un po’ Constance Bennett, una delle pochissime dive del muto che è riuscita a passare al sonoro. È un po’ Janet Gaynor, la prima attrice a vincere l’Oscar nel 1929 e nel 1937 protagonista di È nata una stella. Certo Biancaneve somiglia in qualcosa a tutte queste grandi regine del cinema, ma quello che ha reso immortale questo personaggio è che Biancaneve è solo Biancaneve. Ed è viva. Non credo sia un caso che proprio lei sia stata il primo personaggio a cartoni animati a ricevere una stella sulla Hollywood Walk of Fame, perché Biancaneve non è affatto un personaggio di fantasia.
Naturalmente Biancaneve deve avere anche una bella voce e saper cantare come un usignolo e questo si rivela una ricerca più ardua del previsto. Vengono fatti più di centocinquanta provini, ma nessuna riesce a convincere quelli della Disney e soprattutto Walt. Un giorno un assistente dello studio chiama al telefono un suo vecchio amico, il professore di canto Guido Caselotti. Guido è originario di Udine, ma si è trasferito da ragazzo negli Stati Uniti. È conosciuto non solo come organista e maestro di musica, ma anche perché è il marito di Maria Giuseppina Orefice, che in Italia è nota come soprano. L’assistente di Disney chiede a Guido se conosce qualche ragazza che abbia una bella voce e sappia cantare. La figlia più piccola di Guido, la diciannove Adriana, ascolta la telefonata da un altro apparecchio e comincia a cantare. Il padre si arrabbia, ma l’uomo di Disney dice che va bene, viene organizzato un provino con Walt e Adriana diventa la voce di Biancaneve.
È nata a Bridgeport nel Connecticut, ma dai sette ai dieci anni vive in Italia, perché la madre lavora per il Teatro Reale dell’Opera di Roma. Anche sua sorella maggiore Louise è una cantante e un’insegnante: una decina d’anni dopo il film insegnerà a una giovane cantante d’opera greca, tal Maria Callas.
Adriana riceve 970 dollari per doppiare Biancaneve. Il suo nome non compare nei titoli e Walt le impedisce di partecipare a programmi radiofonici, perché solo Biancaneve deve avere quella voce. E quello è stato il ruolo della vita: Adriana ha continuato a cantare le canzoni del film in spot promozionali del film, in speciali televisivi - il giorno del Ringraziamento del 1972 ha cantato con Julie Andrews - per le mostre su Biancaneve realizzate nei parchi creati dalla Disney. Adriana Caselotti si è ampiamente meritata il suo posto nelle Disney Legends.
Immagino che potrei stare qui a raccontarvi storie su Biancaneve ancora per parecchio tempo. Potrei raccontarvi di JoAnn Dean Killingsworth, la giovane ballerina e pattinatrice che il 17 luglio 1955 è stata Biancaneve in occasione dell’inaugurazione di Disneyland. È la prima volta che una persona in carne e ossa indossa il vestito di Biancaneve e per JoAnn sarà anche l’ultima: quello è un lavoro che è durato un solo giorno, eppure è stato il più importante della sua carriera.
Oppure potrei raccontarvi delle voci italiane di Biancaneve, perché nella prima edizione quando parla la voce è quella di Rosetta Calavetta, mentre quando canta è quella di Lina Pagliughi.
Rosetta è una regina del doppiaggio italiano. La sua voce, oltre alla mora Biancaneve, è quella di alcune bellissime bionde del cinema: Lana Turner, Marilyn Monroe, Doris Day, Veronica Lake, Kim Novak, Janet Leigh. Ma anche quella della terribile Crudelia De Mon.
Curiosamente Lina è un’italoamericana - nasce a New York, ma sua madre è di Albareto - che fa fortuna in Italia. Arriva a Milano per perfezionare gli studi di canto lirico e non tornerà più n America. Nel 1927 debutta ventenne come Gilda al Teatro Nazionale di Milano. Si rifiuta di prendere l’aereo e quindi per le tournée all’estero deve usare la nave. Per questo si esibisce prevalentemente in Italia, prima nei teatri e poi attraverso l’Eiar. È Mimi, Violetta, Rosina e diventa anche Biancaneve.
Ho confessato nella prima puntata di questa serie su Biancaneve che io - come Alvin Singer - preferisco la Regina cattiva. E per questo voglio finire con una storia su di lei. Perché Biancaneve non esisterebbe senza la sua crudele matrigna.
Nei primi appunti di Creedon la regina viene definita “grassa e matta”, insomma una sorta di Maga Magò. Ma a Walt questa idea non piace molto, vuole che sia una specie di Lady Macbeth, tanto bella quanto crudele. Probabilmente è stato lo svizzero Albert Hurter a pensare alla statua di Uta von Ballenstedt che si trova nella cattedrale di Naumburg. Uta, moglie del margravio di Meissen, scagionata da un’accusa di stregoneria, la donna più bella del Medioevo, gli è sembrata la perfetta Regina cattiva. E poi con gli occhi di Joan Crawford Grimilde non può che diventare la più letale dark lady della storia del cinema. Non rifiuteremo mai la tua mela.